Grecia “oltre” la Troika: il punto di Deliolanes

L’Eurispes.it incontra Dimitri Deliolanes, corrispondete della radio-televisione pubblica greca (chiusa dal precedente governo ed ora prossima alla riapertura) che vive da anni in Italia. Grazie ai suoi interventi nei media italiani e ai suoi libri, è diventato una sorta di “ponte” tra Roma ed Atene, un canale privilegiato per conoscere quello che si agita in Grecia e nei complessi rapporti con l’Unione europea. Recentemente, con La sfida di Atene (Fandango Libri), ha fotografato la svolta rappresentata dal governo di Syriza.

 

Dimitri, hai il polso della situazione in Grecia, e non hai celato la tua simpatia per la svolta di gennaio. Partiamo dalla situazione interna: come sta andando la sfida di Tsipras? A quasi due mesi dalla vittoria elettorale cresce il consenso al governo di Syriza o prevalgono dubbi e delusione?

Certamente oggi il governo greco ha un consenso superiore a quello che ha ottenuto nelle elezioni di gennaio. Parte consistente dell’elettorato, che allora non lo ha votato, approva le posizioni attuali di Tsipras nella trattativa con Bruxelles. Non mancano i delusi che lo accusano di aver rinfoderato alcune parole d’ordine della campagna elettorale, ma sostanzialmente in Grecia la maggioranza dei cittadini è per una soluzione negoziata con Ue e creditori, una soluzione difficile e contrastata che richiede tempi lunghi e il superamento di divaricazioni molto forti. Al di là dei toni duri utilizzati spesso dalla parti, per i greci l’obiettivo è solo uno: mantenimento dell’euro e rinsaldamento delle politiche europee.

Tsipras parla di emergenza umanitaria del popolo greco, ma allo stesso tempo rivendica il ripristino della sovranità nazionale. Non c’è contraddizione?

Come spesso capita, quello che arriva attraverso i media mainstream è strumento di battaglia diplomatica e politica, più che corretta informazione. I giornali tedeschi hanno sfruttato una doverosa iniziativa di Tsipras per dare l’immagine di una paese disperato e non riformabile. Il premier greco ha solo annunciato un intervento straordinario per trecentomila famiglie senza alcun reddito, così come fanno i maggiori governi europei contro le sacche di povertà assoluta. L’idea di un intero popolo alla fame non corrisponde alla realtà e fa comodo a chi vuole ridicolizzare la sua rappresentanza politica. L’economia greca è in grande difficoltà, più che negli altri paesi europei, ma il suo problema fondamentale è la gestione del debito. Tv e giornali di tutto il mondo preferiscono invece riprodurre le caricature della stampa conservatrice tedesca, dando prova – anche in Italia – di scarsa professionalità e di approssimazione. Da qui l’equivoco dell’emergenza umanitaria che colpirebbe un intero popolo. Per fortuna non è così. Venendo ora alla rivendicazione della sovranità nazionale, è vero che trattare con paesi e soggetti di cui la Grecia è debitrice non è facile, ma un conto è riconoscere e mediare, un altro è sottoscrivere diktat che vengono dai creditori che non sembrano interessati alla ripresa del paese, ma solo ai loro prestiti. La Troika, – o ex troika – questo ha fatto fino ad oggi, ma per fortuna non è riuscita a modificare la sostanziale adesione dei greci all’idea di Europa, intesa in primo luogo come lo spazio del diritto e della democrazia. I greci sono e rimangono, malgrado gli schiaffi e le miopie della Troika, convinti europeisti, e non solo per interesse.

Nelle ultime settimane è sempre più evidente che sull’asse Atene-Bruxelles si punta alla mediazione, mentre su quello Grecia-Germania prevalgono le ripicche reciproche che producono da una parte la minaccia di una Grecia cacciata dall’euro, dall’altra la riproposizione di un clima da secondo dopoguerra: riparazioni, debiti di guerra, fantasmi del nazismo. Quale è la vera strategia di Tsipras e del suo ministro dell’economia? Quale è il punto di caduta?

In primo luogo depreco l’aggressività che troppo spesso – da Atene come da Berlino – caratterizza gli scambi all’interno di una complessa trattativa che di tutto ha bisogno meno che di bordate isteriche. Fare la voce grossa è un sintomo di debolezza e di mancanza di lucidità. Il circuito mediatico valorizza proprio gli atteggiamenti più estremi ed aggressivi, ed in questo si rende, consapevolmente o meno, strumento di propaganda. Un esempio? La millantata minaccia di un’ invasione di profughi e terroristi nell’Europa del Nord – così è passata la vulgata – altro non era che la obiettiva considerazione dei rischi connessi ad una eventuale ulteriore destabilizzazione della Grecia nel Mediterraneo orientale, ovvero ai confini di un Medio Oriente in ebollizione. Certo, anche la storia pesa, e tra Atene e Berlino in modo particolare. La Grecia, infatti, non è stata liberata dall’occupazione nazista ad opera degli eserciti alleati, ma lo ha fatto da sola e a prezzo di un bagno di sangue e di distruzioni che hanno messo a terra l’intero paese. La Germania, lo sappiamo, per una serie di motivi è stata esentata dal pagamento delle riparazioni che altri paesi – tra cui l’Italia – hanno effettuato. Su questo dossier la ricca Germania di oggi dovrebbe mostrare un’apertura maggiore e dare almeno qualche segnale. Non si tratta di contrapporre o di bilanciare il sangue versato con gli interessi del debito pubblico, ma non si può neanche far finta che la questione non esista. Il diritto internazionale e gli impegni assunti tra gli Stati non possono diventare un esclusivo strumento nelle mani dei potenti di oggi, a scapito delle vittime di ieri. Passando al punto di caduta nel braccio di ferro che è in corso, io non considero “punto di caduta” un realistico accordo di medio e lungo periodo che permetta alla Grecia di risollevarsi e, conseguentemente, di rispettare i suoi impegni internazionali così come quello fondamentale di far vivere dignitosamente il suo popolo. La svolta di Tsipras vuole andare in questa direzione e la accuse alla Troika sono dirette proprio a una visione esclusivamente contabile e ragionieristica che prescinde dalla valutazione della situazione reale. Rispetto alla situazione greca l’Europa non può essere rappresentata solo dal board dei creditori. Da questo punto di vista la sfida di Atene può risultare utile anche ad altri paesi per far emergere la consapevolezza critica dei limiti e delle forzature dell’attuale modello europeo a guida tedesca e a “trazione” bancaria ed esclusivamente finanziaria. La Grecia ne è stata la principale vittima, ma proprio per questo ad Atene è stata elaborata con più forza e coerenza la risposta da dare alla crisi e al mancato sviluppo. Ne è autore l’attuale Ministro degli esteri di Tsipras, l’economista Nikos Kotsias, e svela i meccanismi con cui si governano i processi economici a vantaggio di alcune economie nazionali attraverso la gestione dei debiti pubblici.

La Troika e la Germania hanno fatto e fanno la voce dura. Ma in fondo non è “comodo” per gli altri paesi europei avere qualcuno che fa il “cattivo” ma che, così, garantisce i crediti dei singoli Stati?

Certamente la domanda è calzante. In termini di politica interna fa comodo a molti governi far esporre la Germania. Ciò nonostante sono evidenti le differenti sfumature tra Schauble da una parte e Hollande e Renzi dall’altra; inoltre, la nuova Commissione ha dato nelle ultime settimane segnali non indifferenti di scostamento da Berlino; tra mille tatticismi Juncker, come per altro il Parlamento di Strasburgo, tentano di far valere una certa autonomia da Berlino. Lo stesso vale per la Bce che, non a caso, è stimolata proprio da Tsipras a realizzare – come sta facendo – una politica espansiva, anche se non condivisa, ma anzi apertamente osteggiata, dalla Bundesbank.

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La Grecia è caratterizzata da una macchina dello Stato farraginosa con 700.000 dipendenti pubblici su 11 milioni di abitanti. Evasione fiscale strutturale ed ingiustizia sociale che non derivano solo dall’acuirsi della crisi del debito. Oltre all’emergenza finanziaria ci sono da ricostruire dalla fondamenta l’impianto di una nazione ed il senso stesso della comunità. Le sollecitazioni dell’Europa, in questo senso legittime, possono essere anche di stimolo?

È senz’altro così. E questa consapevolezza accomuna finalmente i settori più aperti dell’establishment europeo ed il nuovo governo greco. Il paese, quello attuale che versa nelle condizioni che conosciamo, non è in grado né di pagare i debiti né di riprendere un cammino virtuoso. L’Europa deve stimolare ed assistere questo processo e, a differenza della politica attuata per quattro lunghi anni dalla Troika e accettata dai precedenti governi di Atene, deve sostenere i cambiamenti necessari nell’amministrazione della cosa pubblica e le riforme improrogabili, a partire da quella fiscale. In questo senso, la scommessa di Tsipras consiste nell’avvicinare la Grecia all’Europa e l’Europa alla Grecia, non nel suo opposto.

 

 

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