La gestione del gioco pubblico è materia riservata allo Stato, che la esercita per mezzo dei Concessionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM).
I Concessionari operano in virtù della convenzione di concessione stipulata con l’ADM e, stante il ruolo attribuitogli dallo Stato, svolgono un servizio pubblico.
Alcuni dei compiti previsti dalla convenzione di concessione, fra cui quello di raccogliere il denaro frutto delle giocate dei giocatori, vengono delegati dai Concessionari a soggetti terzi (cosiddetti Terzi Incaricati alla Raccolta), iscritti in un apposito Albo pubblico.
I rapporti tra il Concessionario e i Terzi Incaricati alla Raccolta sono disciplinati sulla base di contratti che prevedono dei “requisiti minimi” indicati dalla convenzione di concessione.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 29 ottobre 2009, n. 22939), occupandosi di pubbliche concessioni affidate a soggetti terzi, ha chiarito che il contratto per mezzo del quale il Concessionario conferisce al soggetto terzo uno dei compiti affidati dalla concessione al Concessionario medesimo, rappresenta una sorta di “contratto di subconcessione”, che, naturalmente, non ha ad oggetto la concessione in sé, bensì comporta il semplice trasferimento al subconcessionario delle facoltà delegatagli dal Concessionario.
Dunque, il rapporto tra il Concessionario e il Terzo Incaricato alla Raccolta è un rapporto sui generis, qualificabile come “rapporto di subconcessione”, che non può essere classificato fra gli ordinari contratti di diritto privato, rientrando fra le concessioni amministrative: in virtù di tale concessione al Terzo Incaricato alla Raccolta è conferito l’esercizio di una pubblica funzione (sul punto, cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 30 aprile 2008, n. 17616).
In questo ambito, è sorto un contrasto giurisprudenziale, con dei risvolti pratici rilevantissimi, nel caso in cui il soggetto Incaricato alla Raccolta non restituisca il denaro raccolto al Concessionario.
In particolare, secondo un orientamento (a dire il vero minoritario e ormai risalente nel tempo), il Terzo Incaricato alla Raccolta commetterebbe il reato di appropriazione indebita, così “sminuendo” la funzione pubblica svolta dal Concessionario e dai soggetti da quest’ultimo incaricati ad effettuare la raccolta.
Questa interpretazione a mio parere “miope”, fornita dalla giurisprudenza, è stata indotta proprio dal ritenere che i rapporti tra il Concessionario e i soggetti Terzi fossero regolati da contratti aventi natura privatistica, senza considerare che tali contratti regolano comunque servizi pubblici, disciplinati dalla concessione.
Invero, la giurisprudenza di legittimità e di merito più recente è assolutamente unanime nel configurare, in casi come quello di specie, la fattispecie di reato ben più grave di peculato (ex multis, Trib. Isernia, sent. 24.06.2016; Trib. Torino sent. 20.02.2016; Trib. Roma, sent. 12.10.2015; Trib. Napoli, sent. 13.07.2015; Trib. Catanzaro, 23.06.2015; Cass. Pen., Sez. VI, 26.11.2015, n. 46954; Cass. Pen., Sez. III, sent. 30.04.2013, n. 18909; Cass. Pen., sent. 26 luglio 2007, n. 30541).
L’orientamento in questione evidenzia, in maniera del tutto condivisibile, che il Terzo Incaricato alla Raccolta riveste “quanto meno” la qualifica di incaricato di pubblico servizio e, dall’altra, che le somme raccolte attraverso gli apparecchi forniti dal medesimo soggetto Terzo Incaricato alla Raccolta (operante sulla base della concessione rilasciata al Concessionario) costituiscono certamente pecunia publica.
La Suprema Corte di Cassazione precisa, fra l’altro, che il denaro incassato dal terzo raccoglitore è di pertinenza della Pubblica Amministrazione sin dal momento della sua riscossione, a nulla rilevando, poi, le ripartizioni contrattuali dello stesso tra Stato, Concessionario e Terzo Incaricato alla raccolta, poiché esse attengono all’adempimento di successive e conseguenti prestazioni di natura civilistica, che presuppongono proprio l’incasso di denaro proveniente da una gestione monopolistica statale e, dunque, per definizione pubblico.
Non si tratta di una mera disquisizione terminologica (appropriazione indebita o peculato), ma di fattispecie di reato diverse, che comportano conseguenze pratiche totalmente distinte: 1) in tema di procedibilità: a querela di parte il reato di appropriazione indebita, d’ufficio il peculato; 2) in tema di pena: reclusione fino a 3 anni e multa fino ad Euro 1.032,00 per l’appropriazione indebita; reclusione da 4 a 10 anni e sei mesi per il peculato; 3) in tema di prescrizione: 7 anni e 6 mesi per l’appropriazione indebita, 12 anni e 6 mesi per il peculato; 4) in tema di misure cautelari: nel peculato è prevista la confisca per equivalente e la possibilità di applicare misure cautelari, mentre tali previsioni non sono applicabili per il reato di appropriazione indebita.
Alla luce di quanto sopra, il Concessionario dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che vanta un credito nei confronti del soggetto dal medesimo incaricato a svolgere la raccolta delle somme giocate, potrà denunciare il Terzo Incaricato resosi responsabile del reato di peculato, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.