Hai cominciato a correre.
Hai smesso di bere, di fumare. Ti sei messo a dieta.
Hai smesso di fare politica, di credere che le cose cambieranno. Hai dimenticato un pensiero forte. L’ideale che ti poteva sorreggere. Ti sei accorto di non essere parte delle cose. Di partecipare come credevi. Di avere diritti.
Ma non sei caduto.
Hai mantenuto i doveri, ma sono stanchi, confusi. Non ti fai più le domande giuste. E le risposte, sono conseguenze sbagliate. Ti ritrovi tra mille concetti, media che strillano il nulla giornaliero, persone che non ti rappresentano, che parlano tutti i giorni raccontandoti qualcosa che non ti servirà.
Parole diversamente abili.
E dal post-modernismo sei tornato al realismo. Per finire in questo irrealismo di maniera. Dove tutto potrebbe essere, ma non è. Tutti fermi in attesa, sospesi.
A cinquanta anni, come a quaranta e a trenta, non devi scherzare con il futuro, se non lo vedi chiaramente, se intimamente ne percepisci il sottile dolore. Devi lasciar cadere la penna sul tavolo, alzarti e ricominciare.
Domani continuerai a correre.
Hai scoperto che il tuo corpo, correndo, è capace di produrre endorfine. Una droga a costo zero. Ti renderai capace di affrontare la realtà che ti circonda. Correre, verso te stesso, la cosa più lontana che c’è.
Sarà l’unico modo per rimettere i piedi in terra.
Riavere, per un momento, la tua dimensione primitiva di fuggitivo, braccato da uno pterodattilo.
Persona pulsante di sangue, muscoli e ossa.
Correre per guardarti attorno, respirare a pieni polmoni la tua aria inquinata, ossigeno da tubi dorati di palombaro, in un’epoca di sogni social. E ricordare chi sei e perché, per un breve attimo in questa falsa eternità, ti è dato di essere, partecipare, volere.
Sembra un pensiero da inizio era. È solo un pensiero da deserto degli italiani.
Perché sei il Capitano Drogo del romanzo di Buzzati, e passi la vita in attesa dell’evento, del cambiamento, della risoluzione, restando immobile in casa, nel tuo lavoro, nelle tue scelte, nelle passioni che ti illudono.
Sei l’oppio del tuo tempo.
Un romanzo, Il deserto dei Tartari, che andrebbe letto con l’ansia della rivelazione.
Perché farsi rubare il futuro nell’attesa che qualcuno o qualcosa ci renda la vita, è solo una parte del male, che si nasconde e si perpetua.