La secolarizzazione: nuovi percorsi della fede o tramonto della religione?

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La religione è uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti l’identità di ciascun popolo, capace di generare conflitti ma anche iconografie attorno alle quali, nel corso del tempo, si sono costruite aggregazioni e sentimenti di appartenenza. Il tema della fede è centrale sia nella filosofia, che ne ha cercato di comprendere il significato (si pensi a Kant, che scrisse nel 1793 “La religione nei limiti della pura ragione”, opera fondamentale della Filosofia della religione), ma anche nella sociologia moderna, che a partire dal XX Secolo ne ha seguito la diffusione nella società e le ricadute su di essa. Uno dei fenomeni ravvisati con maggiore interesse nell’ultimo secolo è senza dubbio la secolarizzazione della società contemporanea. Di tale aspetto dell’essenza religiosa della società ne hanno scritto, parlato e dibattuto importanti studiosi, sociologi e non, dei quali vale la pena citare Nietzsche, che nella “Gaia scienza” anticipava di alcuni decenni un leitmotiv, che sarebbe stato poi ripreso durante tutto il secolo breve. Il filosofo tedesco affermava: “Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue?”, intravedendo nella laicizzazione della società l’aspetto caratterizzante lo sviluppo futuro della società. Del medesimo avviso, alcuni decenni più tardi fu il sociologo Peter Berger, il quale basò gran parte dei suoi lavori sull’idea secondo la quale la crescita e l’affermarsi della modernità, avrebbe avuto da contraltare una perdita del sentimento religioso. Nel 1968, in un articolo pubblicato sul New York Times, Berger sosteneva che nel XXI Secolo la fede religiosa sarebbe stata limitata a poche sette numericamente limitate: quasi cinquant’anni dopo, qual’è l’effettiva situazione? Può essere interessante ,circoscrivendo il fenomeno ad una specifica realtà come l’Italia, osservare i dati forniti dal sondaggio effettuato dall’Eurispes per il 28° Rapporto Italia sulla relazione tra gli italiani e la fede. Innanzitutto si può riscontrare che, a fronte di un calo della fiducia nei confronti delle istituzioni religiose rispetto all’anno precedente (52% nel 2015, contro il 62,5% del 2014) il 71,1% degli intervistati si dichiara cattolico credente, valore tuttavia in diminuzione rispetto al 75,2% del 2014; questi dati indicano senza dubbio che la fede religiosa è ancora preponderante nella vita del nostro Paese, sede per eccellenza della fede cattolica. Tuttavia la percentuale dei praticanti risulta essere quasi dimezzata rispetto a quella dei non praticanti (25,4% contro 45,7%). Significativa può inoltre essere l’analisi dei dati disaggregati per fasce d’età, che consente di capire quale potrebbe essere l’evoluzione futura dei percorsi della fede nella nostra società. Dai dati emerge che tra le persone più mature (di età superiore ai 65 anni) si registra il 75,8% di cattolici, seguiti dai 45-64enni (72,4%). Seguono i più giovani dai 25 ai 34 anni (70,8%), quindi i 18-24enni (66,4%) e, in ultimo, i 35-44enni (65,9%). Tuttavia fra i più giovani si registra il numero più esiguo di credenti praticanti (13,5% tra i 18-24 enni), dato rilevante anche tra i 25-34 enni. Valutando quindi i dati forniti dal sondaggio Eurispes, si può affermare che la religione, almeno in Italia, non è affatto scomparsa: del resto anche Zygmunt Bauman, che durante la sua vita contestò aspramente l’ideologia della secolarizzazione della quale Berger fu uno dei principali promotori, affermava che le religioni erano ancora vive e vegete e ancora ampia era la loro diffusione nella società. Semmai è possibile individuare percorsi differenti che la fede si costruisce: percorsi diversi da quelli predominanti nel passato, individuali e privatizzati e che ben si adattano alla struttura liquida della società moderna,  per scomodare nuovamente il grande sociologo Bauman; in altre parole può essere legittimo pensare ad una connessione tra il crescente numero dei credenti non praticanti  ed un abbandono delle forme religiose istituzionali e tradizionali, a favore dell’affermarsi della dimensione soggettiva del rapporto con i culti religiosi. Inoltre lo stesso Berger, già dagli anni Ottanta, riconobbe l’infondatezza delle teorie che lo avevano portato a pensare ad un mondo privo di culti, disegnando un’evoluzione del suo pensiero che si concretizzò nel testo “La desecolarizzazione del mondo” (1999), nel quale riconobbe l’immutata rilevanza sociale delle confessioni.

Non è certo questa la sede adatta a stabilire la veridicità delle diverse teorie che si sono susseguite nel tempo. Stando ai dati analizzati però, appare lapalissiano quantomeno il profondo legame che sussiste tutt’oggi tra la religione cattolica e gli italiani, evidenze che appaiono suffragare le posizioni di Bauman e del “secondo” Berger. Nonostante la globalizzazione e l’affermarsi della cultura del consumismo e del fast food, di una modernità che si pensava avrebbe messo all’angolo ogni forma di spiritualità, ben 7 italiani su 10 si professano cattolici credenti; forse non vi è modernità che tenga al tentativo, per cui  l’uomo si adopera sin dalle sue origini, di spiegare l’inspiegabile e di tendere a ciò che va oltre la sua capacità sensoriale: Dio non è ancora morto per adesso e probabilmente la sua scomparsa avverrà quando l’umanità smetterà di porsi problemi. Circostanza quanto mai improbabile.

 

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