Quale futuro per il lavoro delle donne in Europa?

Il report presentato lo scorso marzo da Eurostat presenta una selezione di dati sull’evoluzione della situazione delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro (dal 2008 al 2013) e mette l’accento sul divario nel trattamento salariale, che vede le donne europee retribuite il 16,4% in meno rispetto ai colleghi uomini. Ma il vero gap si articola su due assi: lavoro manageriale e lavoro a tempo parziale.
In Europa, infatti, nonostante i tanti sforzi degli ultimi decenni dei paesi membri impegnati in azioni congiunte a livello europeo e interno ad attuare delle politiche di pari opportunità, le donne, pur rappresentando il 46% della forza lavoro, nel 2013 erano sotto rappresentate tra le posizioni dirigenziali, per le quali erano presenti solo per un terzo (33%). Inversamente, le donne rappresentavano i due terzi degli occupati in campo amministrativo, nei servizi e nel settore commerciale.
Ma è il regime orario a rappresentare il divario più importante: nel 2013, in Europa, una donna occupata su tre (31.8%) lavorava a tempo parziale, contro meno di un uomo su dieci (8.1%).
Se si considera inoltre che in molti Stati europei il lavoro a tempo parziale tende ad accrescere il tasso di impiego delle donne (Svezia, Germania, Danimarca, Paesi Bassi e Austria hanno tutti un tasso di occupazione femminile al 70%, ma una proporzione di lavoratrici a tempo parziale di poco superiore al 30%), appare evidente come la variabile chiave sia la conciliazione tra maternità e lavoro.
Ed è proprio su questo fronte che anche l’ILO (International Labour Organization), in partenariato con l’Università di Manchester, ha deciso di attirare porre l’accento con la pubblicazione, sempre lo scorso marzo, di un report sul divario salariale legato alla maternità. (The motherhood pay gap: A review of the issues, theory and international evidence**).
Il rapporto presenta l’analisi comparata di differenti studi sulla condizione del lavoro femminile in vari paesi, aventi come oggetto due gruppi: donne con e senza figli. L’analisi spazia su più approcci disciplinari (dalla “svalutazione del capitale umano” in termini economici nel mercato del lavoro, all’impatto degli stereotipi sulla maternità sull’avanzamento della carriera per le madri in diversi contesti sociali ed istituzionali).
Il Parlamento Europeo, dopo circa sette anni da un primo progetto di armonizzazione fra gli Stati membri rispetto alla durata del congedo (fino a 20 settimane) e indennizzo di maternità, sta attualmente accelerando le negoziazioni.
Il vicepresente CE Timmermans, infatti, enunciando in sede Plenaria, a Strusburgo nel dicembre scorso, i punti chiave del lavoro della Commissione per il 2015, ha fissato a sei mesi il limite per un accordo sulla nuova direttiva in materia di maternità, nel corso dei quali Parlamento e Consiglio dovranno arrivare ad un compromesso.
L’appuntamento è quindi per maggio 2015, sperando in un’intesa che possa armonizzare la legislazione previdenziale europea in materia e possa dare una risposta forte in materia di protezione della maternità, in modo da colmare, sebbene in parte, il divario di genere nel trattamento salariale ancora così presente a livello europeo.
Accanto alla legislazione, una volta raggiunto l’accordo per una nuova direttiva, il grosso del lavoro sarà poi in termini di comunicazione istituzionale, di protezione del lavoro ma soprattutto di un cambio di prospettiva (da parte dei datori di lavoro, ma anche delle stesse donne) senza le quali una direttiva troppo ambiziosa rischierebbe di trasformarsi in una maggiore, più sottile discriminazione e in un ulteriore calo delle nascite.
Risulteranno allora essenziali, accanto alla comunicazione ed educazione delle parti, anche un vero approccio egalitario, che si rifletta in nuovi provvedimenti in materia di congedo di paternità e un reale sostegno delle infrastrutture una volta che i genitori riprenderanno, entrambi, il lavoro.

 

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