Sui fatti di Milano si è detto tanto, e io stucchevolmente, ma temerariamente ci ritorno.
Consapevole dei rischi di dire cose già dette, demagogiche e populiste. Anzi avverto il lettore. Potrebbe considerarle eversive, perché parlano di “democrazia incompiuta”, “deficit culturale”, “dittatura di strada”, “anarchia consapevole”, “riforma penale”.
Temi scomodi, specie per i giuristi ed i legislatori: che, quando sono in gioco principi democratici cristallizzati, come quello del libero pensiero e della libertà di manifestarlo, sono restii a dire che non si possono comprimere diritti di tanti a beneficio degli “pseudo diritti” di pochi.
I diritti si esercitano, e per questo sono tali, nell’ambito delle leggi che li regolano.
I nostri codici e la Costituzione reggono alle prove del tempo proprio perché sintesi e composizione mirabile di diritti e doveri che, ormai sulla carta, non hanno potuto che essere oggetto di “scopiazzamento” da parte delle civiltà che volessero darsi un “tono” di democrazia.
Ma quando uno degli articoli della Costituzione repubblicana che più di altri riconosce la nostra essenza di appartenenti a una comunità, il numero 3, viene continuamente disapplicato e vilipeso (lasciamone per ora stare degli altri), è tempo di intervenire. Prima di ogni riforma elettorale, prima di ogni celebrazione espositiva, prima di ogni giustapposizione di interessi economici, finanziari, politici, sociali.
L’uguaglianza formale e sostanziale. Così si definisce a scuola e nelle università.
Tutti i cittadini sono uguali, in estrema sintesi, e quelli che non si trovano nelle condizioni di esserlo, dovranno trovare nell’intervento dello Stato sovrano l’alleato risolutore di qualsiasi problema che abbia causato quella disuguaglianza. E’ una norma “cornice”, “programmatica”, a volerla definire con la dottrina.
Serve da pietra angolare per la costruzione di tutto l’ordinamento: di tutta la Carta dei diritti e doveri, dei codici a venire, dell’azione della magistratura, delle decisioni degli organi dello Stato, della regolazione dei poteri tra organi. E anche dell’azione dei tutori dell’ordine, quelle forze di polizia tanto e troppo spesso vituperate proprio perché chiamate – attraverso l’esercizio della forza dello Stato(?) – a ripristinare di fatto quella uguaglianza sostanziale che è stata in qualche modo minacciata a livello formale.
Ciò che le violenze di Milano dei soliti (ormai li conosciamo…ma non li prendiamo) black bloc pone più di ogni altra cosa in evidenza, drammaticamente, è che essi sono i veri arbitri dell’applicazione dell’art. 3 della Costituzione.
Decidono loro chi ha diritto di manifestare, se una manifestazione ha da tenersi, se uno può lasciare la sua auto parcheggiata in mezzo alla strada durante una pacifica rimostranza o una partita di calcio, se uno può uscire per strada e andare a lavorare o al parco mentre loro sono “in giro”, se un negozio chiude o apre, se un muro si imbratta, se un mezzo di trasporto parte ed arriva, se qualcuno di noi può prelevare soldi da un bancomat,e così via.
Qualcuno dei troppi ignoranti che in Italia aprono la bocca e danno ad essa un fiato, senza distinzione di mestiere, cultura, sesso, razza e religione, pensa che la colpa sia – a seconda delle simpatie o antipatie – del Ministro dell’Interno, del Presidente del consiglio di turno, dei questori, dei prefetti, della polizia, magari anche di chi, pur sapendo che ci sarebbe stata una manifestazione a rischio, ha lasciato la sua macchina parcheggiata al solito posto oppure ha deciso di tenere aperto il suo negozio.
Non è così. La colpa – ma se si tratta di reati tocca parlare anche di dolo, non dimentichiamolo – è di tutti coloro che da anni non ascoltano le grida di “uguaglianza” che vengono dalla società civile, continuando pervicacemente ed anacronisticamente a ritenere che anche i delinquenti, in fondo, hanno diritto ad una opinione e, magari, ad un carcere che non li faccia stare troppo a disagio. E anche di quanti pensano che un processo sia “giusto” anche se questo dura dieci anni, e nel frattempo i cittadini da risarcire restano i “diseguali”, perché i loro cari (vittime di stragi ed omicidi) o le loro cose distrutte hanno già subito, in fondo, il loro “ingiusto” processo.
Si badi bene. In questa “roulette russa” al vero colpevole non esistono responsabilità da ascrivere, in via diretta, alla magistratura e alle forze dell’ordine. Senza il loro lavoro (anche se a volte sbagliano come tutti) il caos sarebbe sovrano ed il nostro amato Paese somiglierebbe ad uno Stato sudamericano.
Io, e penso tutti i cittadini onesti, non vogliamo inchinarci a nessun padrone, tantomeno se incappucciato e munito di spranga e molotov. Questo tizio alle manifestazioni non arriva proprio, non ha diritto di andarci. E’ un “diseguale”. Per lui, per loro, l’uguaglianza di fronte allo Stato deve essere una chimera. Senza se e senza ma. Agendo immediatamente sulla repressione, con poteri finalmente degni di uno Stato democratico alle forze dell’ordine (oggi spaventate non certo da questi delinquenti, ma dalle conseguenze che un loro gesto di difesa di un debole possa causare non tanto a livello giudiziario, ma nei confronti di una parte di opinione pubblica buonista e tollerante per principio). Ma soprattutto sulla prevenzione, ad esempio con perquisizioni ante-manifestazioni a chi intende legittimamente andarci (ma chi ha il volto coperto va in galera!), con cavalli e idranti ai poliziotti (si guardino gli esempi degli altri Stati democratici nella repressione delle manifestazioni violente). Arresti differiti e custodia cautelare senza termini, fino ad un processo per direttissima con pene edittali maggiori di quelle ridicole oggi previste, senza attenuanti e “incensuratezze” che tengano.
L’occasione sono i prossimi provvedimenti legislativi in cantiere sulla sicurezza. Vediamo di non mancare l’ennesimo appuntamento.
Ranieri Razzante, avvocato, è docente di Legislazione antiriciclaggio presso l’Università di Bologna. Presidente AIRA, Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio, è consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.
Dirige l’Osservatorio sul Riciclaggio e Finanziamento del Terrorismo della Fondazione Bruno Visentini.