“Metti via il cellulare” è probabilmente la frase che un genitore pronuncia più spesso nella società tecnologica, popolata da mirabolanti e sempre più sofisticati strumenti della comunicazione digitale. “E’ record – ha scritto con la consueta sagace ironia Altan – ogni cellulare possiede un italiano”. Il rapporto tra l’individuo e gli oggetti appare ormai capovolto: loro ci dominano, modificando gli asset di relazione, ma cosa ancora più grave incidendo sull’immaginario e di fatto sulle scelte e sui comportamenti soprattutto dei nativi digitali, che vivono nella Rete in una “dimensione omeopatica”.
Aldo Cazzullo editorialista del Corriere della Sera, 51 anni piemontese di Alba, ha provato a rompere il muro del “silenzio da social”, quello strano fenomeno per cui ciascuno di noi mentre è impegnato a vantare migliaia di follow, scopre di essere tremendamente solo. Sta accadendo questo ai nostri ragazzi, che si specchiano nello schermo del telefonino sul divano di casa o peggio mentre sono a scuola, novelli “narcisi” rimangono abbagliati e storditi, fuori dal mondo reale, abitano una bolla virtuale in cui le coordinate dello spazio e del tempo hanno altre regole.
Metti via il cellulare (ed. Mondadori). Il titolo suona come una intimidazione, che rischia di cadere nel vuoto. Cazzullo, può bastare un libro, seppure di successo (più di 120mila copie vendute n.d.r.) per disciplinare il rapporto tra giovani e tecnologie?
“Certamente non basta, ma può essere un punto di inizio, un termine di riflessione che voglio sottoporre a tutte le famiglie, cominciando dalla mia. La generazione dei miei figli, Francesco che ha vent’anni e frequenta il secondo anno di Scienze Politiche alla Luiss e Rossana, che ne ha 17 e affronterà la maturità al liceo Classico Tasso di Roma vive connessa. Il cellulare non è, come per noi, un semplice telefono, ma una protesi imprescindibile del corpo, un trampolino per gettarsi nel mare vasto, affascinante ma anche pericoloso della rete”.
Negare l’importanza delle trasformazioni legate alla rivoluzione di Internet non rischia di rilevarsi come un esercizio inutile, oltre che dannoso?
“Non si tratta di questo. La rete può infatti essere uno strumento di coinvolgimento di massa, ma attenzione, non nasce in un contesto caratterizzato da una reale partecipazione politica, nasce come effetto di un individualismo esasperato”.
Non le sembra un paradosso in un’era che esalta il trionfo dei social network?
“Non lo è perché la Rete è il prodotto di una particolare forma di individualismo, che tende a degenerare nel narcisismo di massa. Il cellulare è uno specchio molto fedele di questo fenomeno. Non a caso l’immagine su cui siamo chini è sempre la nostra, vogliamo far sapere al mondo quello che stiamo pensando, vedendo, mangiando, per poi scoprire che agli altri non importa molto del nostro messaggio. Tutti parlano, ma nessuno in realtà ascolta, ognuno di coi cerca di farsi sentire, perciò alza la voce, tradendo un sentimento chiaro di frustrazione. Da qui scatta il meccanismo dell’insulto, il fenomeno degli “odiatori” è emblematico. Nessuno comincia una discussione in rete manifestando di essere d’accordo con l’interlocutore. Si sente il bisogno di insultare l’altro, di attaccarlo, magari trasformando le notizie vere in fake news, perché il falso è più attrattivo, oltre a risultare più seguito dal pubblico on line”.
“I nuovi servi della gleba digitale”
Claudio Magris ha sostenuto in un ampio intervento apparso sul Corsera di qualche giorno fa che: “siamo tutti servi della gleba digitale”. Come dargli torto se, come rivelano le ultime statistiche, tocchiamo il nostro cellulare più di 2600 volte al giorno?
“Il cellulare crea dipendenza, lo sappiamo tutti. Ogni secondo ci troviamo a controllare se per caso ci ha scritto qualcuno, con un danno notevole sul piano dell’economia dell’attenzione. A scuola i ragazzi, anche se seduti nello stesso banco, conversano utilizzando le faccine, perché hanno perso l’abitudine a guardarsi negli occhi. Sono tutti segnali che fanno riflettere e che devono indurci a mutare atteggiamento. Dopo l’euforia è venuto forse finalmente il momento di esercitare il pensiero critico”.
Facebook con due miliardi ha più seguaci del Cristianesimo ed ha una dimensione vasta una volta e mezzo l’Islam. Siamo di fronte a una platea che supera potenzialmente la forza di trascinamento di due grandi religioni monoteiste. Sarà per questo che ha preso piede il PASN (partito anti social network), che annovera tra i sostenitori nomi famosi, tra cui anche Chamath Palihapitiya, che proprio di Facebook è stato dirigente e che anche nelle aziende si comincia a parlare di “diritto alla disconnessione”?
“Qualcosa sta avvenendo, è scattata una molla, un processo di riconversione, che potrebbe stupire a tutta prima, ma che è spiegabile. Sono diverse le questioni sul tappeto che dobbiamo governare legate all’innovazione. Ricordiamoci che il cellulare e la rete portano a una frantumazione della cultura. Tutto quello che l’uomo ha dipinto, pensato composto scritto negli ultimi secoli viene letteralmente fatto a pezzetti e gettato nel web, tutto diventa leggero e volatile, viene disperso nell’aria come se fossero coriandoli”.
La rete non dovrebbe amplificare la trasmissione di questo enorme patrimonio?
“Solo superficialmente perché di fatto polverizza i contenuti delle grandi opere dell’ingegno. Lo dimostra il fatto che in pochi oggi sono disposti a comprare un dvd, ancor meno giornali e libri, per non parlare del teatro e del cinema. Il modello di fruizione è quello di youtube, che impegna pochi minuti”.
I suoi figli non hanno avuto nulla da ridire?
“Altro che. Sono stati pronti a ribattere: “Guarda papà che se vai a vedere la Quinta di Beethoven diretta da Abbado, ha più di 170mila visualizzazioni, i giovani senza Internet non ne saprebbero nulla…”. Peccato però, ho risposto, che il pezzo pop sud coreano, il balletto Gangnam Style, definito ballo ufficiale sabor dei Caraibi, conta circa tre miliardi di link”.
Il destino di Bulli e vittime
Un capitolo molto importante del saggio è dedicato ai bulli e alle vittime dei social. Come ci si può attrezzare per scongiurare questi pericoli?
“Il bullismo non è un fenomeno nuovo, esisteva anche nel passato, con la differenza che rimaneva nella stretta cerchia della classe. Adesso è divenuto “virale”, parola orribile che evoca virus, contagi, malattie. Un agente della polizia postale di Monfalcone in occasione della presentazione del libro, mi ha spiegato che la prova d’amore che i ragazzi chiedono più frequentemente nell’era di Internet è una foto intima. Molti non resistono alla tentazione e finiscono poi col postare la foto rendendola pubblica al fine di vantarsi e in qualche caso di vendicarsi per un rapporto finito. La denuncia alla Polizia arriva a quel punto tardiva. Mi viene da dire che era sicuramente più bello e meno insidioso conservare le esperienze sentimentali nel vecchio diario, chiuso con un lucchetto”.
La scrittura corale di questo libro è un’esperienza che ha determinato un cambiamento nell’ambito dei rapporti con i suoi figli?
“Si è aperta tra noi una finestra più ampia di dialogo e di confronto. Ho notato inoltre che Francesco e Rossana usano il cellulare un po’ meno e un pò meglio, nel contempo penso di essere riuscito a comprendere appieno l’importanza che ha quest’oggetto per loro. Ma il risultato più importante è stato innescare una comunicazione molto forte tra nonni e nipoti. L’amore a cerchio di vita tra le generazioni è una cosa meravigliosa, che non deve essere spezzata. Vale lo stesso ragionamento per il meccanismo di trasmissione della memoria, che sembra essersi perso, lacerato dalla dittatura del presente imposta dalla Rete. Il passato è come se non esistesse. E’ un fatto gravissimo”.
Per insegnanti, ma anche per i genitori una difficoltà in più. In conclusione Le chiedo: come va affrontata?
“Con determinazione. “Essere stati è la condizione per essere” sosteneva un grande storico degli Annales come Fernand Braudel. Sia a scuola che in famiglia bisogna riattivare la molla fondamentale della memoria. I racconti dei nonni sono interessanti oltre che fondamentali proprio perché servono a innestare le difficoltà dell’oggi in un contesto storico, attraverso una trama di connessioni spazio temporali che i ragazzi non possono ignorare. Ricordiamoci che ogni generazione ha avuto le sue guerre da affrontare. Quella dei nostri figli deve essere combattuta e vinta contro la sfiducia e la rassegnazione. Per avere successo occorrono armi morali, più che materiali, e una robusta attrezzatura culturale”.