Rifugiati, Roma “perde” il 30% dei posti assegnati

Accoglienza è un termine di cui si fa un gran uso sulla stampa e in politica. Nel dibattito pubblico, in verità, genera sempre reazioni contrastanti e spesso espressione di diffusi luoghi comuni. Per questa ragione, ogni contributo volto a fare chiarezza risulta sempre utile. È da accogliere, dunque, con interesse lo studio prodotto dalla cooperativa In Migrazione sul sistema di accoglienza di Roma Capitale. Nella realtà capitolina convivono centri di accoglienza che hanno investito nella qualità e sono attenti a rispettare norme e procedure, soprattutto nell’interesse dei loro ospiti, ed altri che, invece, persistono nella logica dei grandi numeri e di servizi improvvisati. La stessa inchiesta “mondo di mezzo” mette in luce la complessità del settore e le sue contraddizioni.

Lo studio pubblicato da In Migrazione, accurato nei dati puntualmente assunti da documenti ufficiali, ha denunciato la mancanza, dal 1° luglio del 2017, di 786 posti per richiedenti asilo e rifugiati nel sistema di accoglienza SPRAR di Roma Capitale. Per la prima volta dopo anni, viene dichiarato, “l’Ufficio Immigrazione di Roma Capitale non riesce a soddisfare le legittime richieste di accoglienza, con liste di attesa che tornano a diventare particolarmente lunghe”. La prima conseguenza di questa inadempienza viene fatta scontare agli stessi richiedenti asilo che finiscono col trovare, come luoghi di residenza, solo spazi improvvisati (strade periferiche, piazze, parchi pubblici).

Roma Capitale si è proposta e ha ottenuto, come nel triennio precedente, 2.774 posti d’accoglienza del sistema virtuoso dello SPRAR (di cui 6 posti dedicati a persone con disagio mentale). In proporzione alla popolazione residente nella Capitale, si tratta dello 0,1%, ovvero di una persona accolta ogni 1.000 abitanti (senza contare che una parte dei centri è stata aperta dall’Amministrazione in altri Comuni della Città metropolitana).

Di questi 2.774 posti, fa sapere ancora In Migrazione, l’amministrazione capitolina è riuscita ad affidarne, attraverso procedura pubblica, soltanto 1.988, lasciando vaganti 786 posti (quasi il 30% in meno). La fonte da cui deriva lo studio è istituzionale e si tratta della Determinazione Dirigenziale di Roma Capitale sull’Aggiudicazione della Procedura aperta per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata in favore di adulti e famiglie in centri SPRAR – Annualità 2017/2019 (n° protocollo QE/52901/2017).

Le criticità non riguardano solo i numeri non raggiunti con il bando. A tre anni dall’avvio dell’inchiesta Mafia Capitale, afferma In Migrazione, resisterebbe a Roma un sistema d’accoglienza fondato sul monopolio con quasi il 70% dei posti SPRAR affidati alle solite grandi cooperative. I big dell’accoglienza riescono ancora a monopolizzare il settore, trasformando un sistema sociale e di servizi in un affare economico.

In Italia i progetti dello SPRAR si caratterizzano come centri di dimensioni medio-piccole. Roma Capitale ha, invece, scelto un’altra strada, con inevitabili conseguenze sulla qualità dell’accoglienza e sull’impatto che questo sistema può determinare sulla comunità ospitante. Sono, infatti, 1.255 (il 63% del totale) i posti d’accoglienza concentrati in 14 centri di grandi dimensioni (con oltre  60 posti) e in soli 7 centri d’accoglienza SPRAR di Roma vengono ospitati oltre 100 richiedenti asilo e rifugiati. Difficile immaginare che con questi numeri si riesca ad investire in qualità e ad accompagnare in modo professionale i richiedenti asilo e rifugiati verso l’inclusione sociale e lavorativa. Queste criticità derivano ora dalla strutturazione formale di un bando che già prima dell’aggiudicazione decideva di premiare le cooperative più “forti” e incentivare centri di accoglienza di grandi dimensioni, tradendo lo spirito della buona accoglienza e dello SPRAR.

In Migrazione rileva tre gravi criticità nel bando redatto da Roma Capitale (Fonte: Capitolato speciale descrittivo del bando):

1) La dotazione minima da impiegare nella relazione d’aiuto con gli ospiti non è proporzionata al numero di utenti accolti, fatti salvi gli operatori di base non specializzati richiesti nella misura di uno ogni otto ospiti. La dotazione minima delle figure specialistiche, quali l’assistente sociale, lo psicologo, l’operatore legale e l’educatore professionale, non sono collegati al numero di ospiti. In altre parole per gestire un centro di 10 o 100 ospiti il bando chiede la stessa dotazione minima di personale specialistico. Diventa conveniente quindi puntare sui grandi numeri piuttosto che sui piccoli centri. Da notare che nella dotazione minima del gruppo di lavoro da impiegare non è prevista la figura del mediatore culturale.

2) Il finanziamento espresso in pro-die pro-capite (33,25 euro a persona accolta al giorno) non varia in proporzione alle dimensioni del progetto d’accoglienza. Sebbene sia evidente che l’aumento delle dimensioni abbatta i costi di gestione, Roma Capitale non ha voluto proporre un pro-die pro-capite più alto per i centri piccoli (che faticano a coprire i costi di gestione) e più basso per i centri grandi (che compensano con le economie di scala). Un fattore che rende conveniente puntare sui grandi numeri.

3) Il numero massimo di ospiti per centro di accoglienza è stato fissato in 120, un vero e proprio invito per proporsi con grandi strutture.

La questione accoglienza resta un tema centrale per ogni Amministrazione (locale e nazionale) che può essere gestita in modo adeguato solo a fronte di una chiara volontà politica, innanzitutto competente, capace di una programmazione adeguata, di alto profilo istituzionale e scientifico, che decide, con convinzione, di investire sul tema anche per evitare situazioni di grave speculazione e di tensione sociale.

 

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