L’Europa federale è l’obiettivo cui dobbiamo puntare: un autentico passo avanti nella storia dell’umanità. Per la prima volta, Stati sovrani nazionali (in gran parte) a forte differenza etnica e linguistica, seppur con valori comuni nella cultura e in politica, realizzeranno Istituzioni democratiche sovranazionali, offrendo un esempio di civiltà e di progresso a tutto il mondo. Mi complimento con l’Eurispes, che ha aperto il dibattito sulla riforma dell’Europa. Del resto, già il nostro Risorgimento aveva capito che la Federazione era l’unica strada da percorrere, pena incorrere in conflitti devastanti. Tutto, poi, puntualmente accaduto, con le due guerre mondiali e la perdita di importanza del continente su scala mondiale.
Non si insegna mai agli studenti, e non si ricorda mai nei manuali, che già nel 1867, a Ginevra, il meglio dell’intelligenza europea, da Victor Hugo a Fedor Dostoevskij, sotto la presidenza di tale Garibaldi Giuseppe, convocò le “assise democratiche europee”. Lo scopo era di imitare il modello federale adottato dagli Stati Uniti d’America e, nel ’48, dai cantoni svizzeri. Ovvero dar vita agli Stati Uniti d’Europa. Con la nostra rete “l’Università per l’Europa. Verso l’unione politica”, a cui collaborano docenti di Università anche non italiane, siamo andati dal Presidente della Repubblica, a chiedere che la formazione all’Europa diventi obbligatoria nelle scuole e nelle Università. Con qualunque Governo, questo deve essere un impegno per l’immediato futuro: ma come si fa ad essere cittadini europei e non saper nemmeno distinguere – come capita anche ai maggiori giornali ‒ fra Consiglio europeo, Consiglio Ue e Consiglio d’Europa (che non c’entra niente con la Ue)?
Non possiamo contare qualcosa, a Bruxelles, se la preparazione dell’uomo della strada è questa. E con la nostra Rete siamo andati anche a Bruxelles, nel novembre scorso, a ricordare ai membri del Parlamento europeo che la strada per gli Stati Uniti d’Europa era stata già tracciata dal nostro eroe nazionale. Quell’obiettivo, dunque, non è altro che il completamento del nostro Risorgimento, e l’Italia deve essere fra i protagonisti.
Prendersela con il “braccino corto” dei tedeschi non basta. In realtà, interesse nazionale italiano ed interesse europeo coincidono, come diceva già Altiero Spinelli. Le nostre migliori qualità nazionali saranno salvate proprio dall’Europa federale. O preferiamo invece ‒ soprattutto ora che il Grande Fratello d’Oltreatlantico cerca di dividerci ‒ diventare invece appendice, terra di conquista (e noi saremo i primi) dei poteri globalizzanti? Occorre anche riprendere il dialogo con quelle componenti della politica americana che lavoravano per un’intesa fra le due sponde dell’oceano, al fine di esercitare un benefico effetto su tutto il mondo.
Il “sì” o il “no” all’Europa sono determinanti per il nostro futuro. Lavoriamo su punti concreti, magari partendo dall’Eurozona, come suggeriva il titolo del convegno Eurispes della scorsa settimana. Sfruttiamo il dinamismo di Macron, per avviare – o meglio, esigere ‒ un circuito positivo fra aumento del bilancio dell’Unione e finanziamento delle ricerche, con relativi settori produttivi, che si occupano delle nuove risorse energetiche e dei nuovi settori del progresso scientifico-imprenditoriale. Così riusciremo anche a motivare i giovani, a dar loro generosi obiettivi di interesse generale, e magari anche a tenere le nostre società all’altezza delle sfide mondiali più importanti.
Vi sono poi questioni strategiche su cui ancora si conserva il silenzio più assoluto. Per esempio: chi ci dà la sicurezza che nessuno sia in grado di ricattarci, avendo in mano il bottone dell’intero sistema informatico, da cui dipende ormai ogni attimo della nostra vita di tutti i giorni? L’Europa deve metterci al riparo da una minaccia così assoluta, e il Parlamento europeo deve occuparsene al più presto. Un’Europa unita, attiva e solidale avrebbe un effetto positivo e pacificante anche con Asia ed Africa (orde di migranti annesse).
A proposito di Parlamento Europeo, l’istituzione “più democratica di tutte” che si dice di voler valorizzare: non si è mai discusso, fino ad oggi, della sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona, secondo la quale le maggioranze di questa Istituzione non corrispondono alla vera volontà dei cittadini europei, perché i paesi più piccoli si ritrovano un numero di deputati esageratamente gonfiato rispetto agli Stati grandi. La sentenza critica anche la Corte di Giustizia, in cui ci sono tanti giudici quanti i membri dell’Unione. In effetti, nella Corte suprema Usa sono solo nove, a vita, che tutti conoscono. E forse è più facile fidarsi di loro.
Critichiamo spesso i burocrati di Bruxelles, ma la realtà è che le attuali Istituzioni non sono abbastanza efficienti e legittimate. Il processo deve essere concluso. Diamo dunque ai cittadini tedeschi tutti i deputati che spettano loro. E in cambio, a parte i soldi, sarà più ragionevole esigere il completamento del processo di integrazione.
Nella sentenza della Corte di Karlsruhe si indica il progetto di Costituzione europea fatto approvare da Coudenhove-Kalergi nel 1951 come il più federale di tutti. Cominciamo a rispolverare anche quello. Prevede una Camera dei Rappresentanti pienamente rappresentativa e un Senato con caratteristiche importanti. Primo: gli Stati più grandi avranno più di due senatori per ciascuno, a differenza di com’è negli Usa, perché le disparità di dimensioni fra noi sono più grandi e perché così si viene incontro alle varie Catalogne o Lombardie (Sicilie?) che minacciano secessioni o pressappoco. Secondo: i senatori saranno espressione dei Parlamenti nazionali. Sia Usa che Svizzera sono partiti così: con senatori eletti dai Parlamenti degli Stati membri, per passare più tardi al voto popolare. Un percorso che l’Europa potrebbe imitare.