Il fenomeno dell’usuraio della scrivania a fianco

Il ceto medio è sotto usura. Impiegati, liberi professionisti, ma anche pensionati: la crisi morde e a rivolgersi agli strozzini non sono più solo gli imprenditori o i giocatori d’azzardo. Negli ultimi cinque anni il 52% dei soggetti che si sono rivolti agli ambulatori della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura (Fai) dislocati sul territorio nazionale sono persone con un reddito fisso, le famiglie della porta accanto. Un fenomeno in crescita specie al Nord, terra di conquista delle mafie.

L’estendersi a macchia d’olio del credito sommerso, è da considerarsi come una diretta conseguenza del declino economico del Paese. Le famiglie italiane assistono al progressivo e inesorabile sgretolamento del proprio potere d’acquisto. Lo testimoniano i risultati della rilevazione effettuata dall’Eurispes nel 2015: il 71,5% degli intervistati constata una riduzione della propria capacità di far fronte alle spese e fare acquisti con le proprie entrate (il 31,2% “molto”; il 40,3% “abbastanza”) e il 32,3% ha dovuto ridurre addirittura le spese mediche. Ed è proprio di fronte allo strenuo tentativo degli italiani di rispondere alla crisi evitando il drastico taglio dei consumi, che nasce un nuovo prototipo di malvivente: l’usuraio dal “colletto bianco”. Il superamento, almeno parziale, della figura dello strozzino incarnata dal classico criminale di quartiere, è legato strettamente al cambiamento del profilo delle vittime, che non sono più solo imprenditori in affanno o giocatori d’azzardo. E neppure dei pensionati in crisi da seconda o terza settimana, bensì dei lavoratori a reddito fisso.

Si tratta di una figura sociale nata nell’ultimo biennio e figlia del ricorso al credito al consumo.  Sono i componenti dell’esercito del “pagherò”, i figli della società dell’iperconsumo, che non hanno intenzione di fare un passo indietro di fronte alla cattiva congiuntura economica. Così, il telefono cellulare si cambia anche a costo di chiedere un finanziamento che non sarebbe strettamente necessario (nel 2013 il 37,6% delle persone che sono ricorse al credito al consumo hanno acquistato un Pc o un cellulare), lo stesso vale per l’automobile (il 46,4%) o gli elettrodomestici (il prodotto più acquistato a rate, dal 49,9%). Tutto questo è legato al valore simbolico che hanno acquisito gli oggetti nel nostro vivere sociale e che, come si vedrà in seguito, ha messo in moto un meccanismo che ha ridisegnato i profili sia dell’usuraio che dell’usurato. Il superamento, almeno parziale, della figura dello strozzino incarnata dal classico criminale di quartiere, è legato strettamente al cambiamento del profilo delle vittime. Con riferimento a queste ultime infatti, non si tratta più (e non solo) degli imprenditori in affanno o dei giocatori d’azzardo. E neppure dei pensionati in crisi da seconda o terza settimana, bensì dei lavoratori a reddito fisso. Le nuove vittime sono gli impiegati che gonfiano le linee di quell’esercito del “pagherò” che non accetta di dover ridurre i consumi e si rifugia, in maniera illusoria e spesso del tutto dannosa, nel credito al consumo.

L’usura dilaga al Nord. Se nel 2010 un’indagine effettuata dall’Eurispes su un campione rappresentativo di 1.191 cittadini italiani aveva fotografato per la prima volta la portata dirompente dell’usura nelle regioni del Sud (il 25% del campione si era dichiarato a conoscenza di persone che si rivolgevano agli usurai per ottenere prestiti), oggi l’emorragia di legalità ha contagiato anche il Nord. È quanto emerge dagli ultimi dati nazionali elaborati dal Ministero dell’Interno sulla base delle denunce, degli arresti e delle fattispecie di reato.

Numero dei reati: le denunce, gli arresti e le vittime di usura in Italia
Anni 2011-2013 Valori assoluti

grafico usuraFonte: Ministero dell’Interno. Dati consolidati per gli anni 2011-2012, non consolidati per il 2013.

Numero dei reati suddivisi per regione: le denunce, gli arresti e le vittime di usura
Anno 2013 – Valori assoluti
grafico usura 2
Fonte: Ministero dell’Interno. Dati consolidati.

I numeri più recenti, relativi al 2013, sono eloquenti. A livello generale, in Italia, il fenomeno si è espanso. I reati riscontrati dalle Forze dell’ordine sono cresciuti del 30%: da 352 del 2011 ai 450 del 2013. Scorrendo i dati a livello locale, si nota un forte incremento del fenomeno nelle regioni del Centro-Nord. In Emilia Romagna in particolare, i reati di usura sono aumentati del 219%, schizzando dai 21 del 2011 ai 67 nel 2013, con 31 denunce e 43 vittime accertate. Lo stesso trend caratterizza la Lombardia, dove imperversa la criminalità organizzata e il numero delle denunce è cresciuto del 54% (da 48 nel 2011 a 74 nel 2013 ). Anche il Lazio presenta una criminalità da usura in crescita: gli arresti nell’ultimo anno sono incrementati di oltre il 20% rispetto al biennio precedente.

A finire nelle spire degli usurai sono sempre di più le donne, nel Lazio in un numero addirittura superiore a quello degli uomini: 617 contro 598, nel 2013.

L’incremento dei casi trattati dalla Federazione italiana delle associazioni antiracket e antiusura del Lazio negli ultimi 10 anni | Anni 2004-2013
Tabella 1 usura

Fonte: Federazione italiana delle associazioni antiracket e antiusura (Fai).

I dati del Viminale sono puntuali, ma fotografano purtroppo la punta dell’iceberg, visto che, come è comprensibile, solo una minoranza tra le vittime trova il coraggio di denunciare i propri carnefici. Ciò – sottolinea la Confesercenti – è dovuto anche ai limiti della legislazione vigente. Almeno per gli imprenditori infatti rivolgersi all’Autorità giudiziaria non sarebbe conveniente, poiché anche qualora la vittima riuscisse a far arrestare l’usuraio, da un punto di vista civile ciò determinerebbe un peggioramento delle condizioni di vita dell’azienda. Una notazione di non poco conto, considerando anche che le piccole e medie imprese, che costituiscono il 99% delle imprese attive in Italia, oltre alle difficoltà congiunturali e strutturali, sono costrette a scontrarsi con la difficoltà di accesso al credito, dovuta in parte all’entrata in vigore dell’accordo di “Basilea 2”. Quest’ultimo impone regole molto più stringenti nell’erogazione del credito da parte degli intermediari finanziari: non viene più valutata in maniera soggettiva per ogni singolo caso dagli operatori del mercato, ma viene concessa in base ad un rating assegnato alle aziende. Essendo queste considerate a rischio di tenuta economica, i prestiti vengono concessi con il contagocce e a condizioni tutt’altro che convenienti. Come è facile immaginare, in un contesto di questo tipo i criminali hanno vita facile (Eurispes, Rapporto Italia 2010).

Ma quanti sono gli usurai in Italia? Secondo le stime di Sos Impresa, l’associazione nazionale di Confesercenti per la difesa dal racket e dall’usura, gli usurai attualmente in attività sarebbero 40mila.

Di questi, molti operano al Nord – terra di conquista delle mafie – colmando, a danno della collettività, il vuoto lasciato dalle Istituzioni e dagli organismi di tutela. Basti pensare che su 33 associazioni iscritte negli elenchi del ministero dell’Economia e deputate a gestire i fondi di prevenzione, solo sei agiscono dalla Toscana in su.

L’usuraio della scrivania a fianco. La nuova frontiera dell’usura, che coinvolge adesso un cospicuo numero di soggetti a reddito fisso, prende le mosse dal combinato disposto tra crisi e spinta ai consumi. Sono sempre di più gli individui che, pur non disponendo delle risorse economiche necessarie, non riescono a rinunciare agli acquisti superflui. La motivazione è da ricercarsi in quella che Gilles Lipovetsky (2007) definisce “società della felicità paradossale”. Nel corso degli ultimi trent’anni infatti, l’accelerazione e la moltiplicazione dei consumi sono andate di pari passo con lo sviluppo tecnologico; contemporaneamente l’ethos consumista ha permeato i rapporti valoriali. Così, accanto alla sollecitazione edonistica, nell’individuo abita un’ansia perenne da insoddisfazione. Si vive immersi in un sistema senza limite apparente, in continua espansione, sostenuto dal gusto del rinnovo dei beni che va al di là della passione per l’affermazione dell’identità individuale. È il nuovo per il nuovo, destinato a diventare una sorta di sete inestinguibile che chiede – ancora più che alle mode – ai concetti stessi di rinnovarsi trasversalmente. È la “tendenza” intesa come spinta costante al cambiamento, possederla è il valore ultimo.

In molti casi, denunciano le strutture impegnate nel contrasto all’usura, è proprio questa la ragione che, ancorché inconsapevolmente, induce i soggetti a esporsi economicamente oltre le proprie ragionevoli possibilità, fino a lasciarsi intrappolare nella rete degli strozzini.

Come? Tra i fattori scatenanti vi è sicuramente il ricorso massiccio ai prestiti tramite società finanziarie. Il meccanismo, spiega il presidente onorario dell’antiusura Tano Grasso, è semplice e pericoloso allo stesso tempo: mette a rischio migliaia di soggetti a reddito fisso, dagli impiegati ai pensionati. Del resto, la variazione della tipologia degli usurati che sono ricorsi negli anni agli sportelli della Federazione antiusura, è emblematico. Se nel 2004 la categoria più vessata dagli usurai era quella dei commercianti – storicamente i più esposti alla minaccia della criminalità – tre anni più tardi a fianco a loro sono arrivati i dipendenti. Il fenomeno, tuttavia, non si è assestato, ma è andato in crescendo e nel 2009 il numero dei salariati ha superato quello degli imprenditori. La forbice tra le tipologie di vittima continua ad allargarsi in misura direttamente proporzionale all’ingigantirsi del fenomeno.

Molte vittime infatti, pur di cambiare l’auto, il cellulare o per assicurarsi una vacanza di lusso, stipulano due o più contratti di finanziamento per cifre esigue ma con tassi di interesse anche oltre il 10%. Ogni finanziaria, al momento della stipula del contratto, non controlla se il soggetto abbia già altri finanziamenti in essere, perché in caso di insolvenza potrà sempre avvalersi sul Tfr. Così, chi percepisce uno stipendio medio di 1.200 euro al mese, a fronte dei due o tre finanziamenti attivi, si ritrova a dover sbarcare il lunario con meno della metà dei soldi. La sofferenza economica cresce con il passare delle settimane e la difficoltà di ciascun individuo viene percepita anche all’interno del suo contesto lavorativo. Non di rado, i colleghi si trasformano in aguzzini.

L’usura nel pubblico impiego. In questo modo sono nati gli usurai del pubblico impiego. Criminali improvvisati, con il colletto bianco o con il camice da paramedico, che dopo essersi accorti delle difficoltà dei colleghi, offrono con atteggiamenti amichevoli dei piccoli prestiti, ma successivamente pretendono interessi altissimi. Lo testimoniano gli ultimi casi riscontrati dalla Federazione antiusura nelle strutture sanitarie, ad esempio.

Di seguito si illustrano alcuni casi emblematici.

Campania — A Napoli i procedimenti penali sono attualmente in corso. Sul banco degli imputati due caposala del Policlinico: individui incensurati che, subodorato l’affare dei prestiti, si mettono all’opera. Come? Si offrono di prestare piccole somme di denaro ai colleghi in difficoltà, come se fosse a titolo di favore. Dopo alcune settimane però, iniziano a pretendere dalle vittime il 10% mensile del capitale. In un anno esigono il doppio della somma prestata inizialmente. In un caso gli inquirenti hanno messo fine alla dinamica estorsiva documentando lo scambio di denaro proprio all’interno del reparto di Pediatria: un dettaglio che rende la misura della gravità del fenomeno.

Un caso analogo è venuto alla luce a Caserta. In quella città la squadra mobile su mandato del gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile del 2011 esegue un ordinanza di custodia ai danni di un 45enne dipendente della Asl presso la direzione sanitaria dell’ospedale di Piedimonte Matese. L’uomo aveva prestato ai colleghi somme di denaro a tassi di interesse tra il 10 e il 20% mensile. R.V., che era anche presidente di una Onlus, colpisce una prima collega tra il 2009 e il 2010, prestandole 5mila euro in varie tranche. Ma, compresi gli interessi maturati nel corso del tempo, pretende che gliene vengano restituiti ben 270mila. Considerato che la vittima non è in condizioni di poterlo accontentare, la costringe a stipulare tre polizze vita per un importo di 120mila euro, delle quali si fa indicare come beneficiario esclusivo. Ottenuto il massimo dalla prima collega, agli inizi del 2010 il 45enne punta una seconda vittima. Questa volta si tratta di un uomo, impiegato nello stesso ufficio e rimasto a corto di denaro a causa dei troppi finanziamenti accesi contemporaneamente. Lo testimonia l’esiguità della cifra richiesta: solo 2.500 euro. Nel corso dei 12 mesi successivi, calcolando gli interessi, l’aguzzino si intasca esattamente il doppio.

Emilia Romagna — Cambia la regione, ma non il luogo né la modalità della condotta criminale. Ancora un ospedale, ancora uno strozzino in camice verde. Questa volta la storia si svolge a Correggio, in provincia di Reggio Emilia e ha per protagoniste tre infermiere, una delle quali svolge il compito di intermediaria e procacciatrice di “clienti”: questo è quello che hanno accertato i magistrati che l’hanno condannata a tre anni di reclusione, uno in meno rispetto alla collega usuraia. La vittima, una 45enne di origini calabresi, nel maggio del 2011 ottiene un primo prestito da 5mila euro a un tasso di interesse del 70% annuo. In cambio, infatti, consegna 24 cambiali in bianco da 500 euro l’una, per un valore complessivo di 12mila euro. Il secondo prestito di 2.500 euro, lo ottiene nella primavera del 2012 a un tasso addirittura superiore: del 154%. In cambio la donna consegna 7mila euro in cambiali. Il debito però aumenta a ogni scadenza evasa, l’impiegata-strozzino passa alle minacce, che si fanno sempre più pressanti, finché la vittima, esasperata, dopo aver già sborsato 15mila euro, non regge più la situazione e decide di denunciare tutto alla Guardia di Finanza.

L’usura nelle imprese private — I prestiti a scopo estorsivo non si verificano solo nel pubblico impiego, ma anche all’interno delle piccole e medie imprese, la spina dorsale dell’Italia produttiva. La disperazione (figlia della crisi) genera, ad esempio, piccoli criminali travestiti da camerieri d’albergo, pronti a far fruttare con il ricatto anche solo la propria tredicesima. Ha denunciato il fatto ai ai carabinieri della compagnia di Posillipo, a Napoli, D.W.A., una dipendente di un hotel affacciato sulla riviera di Chiaia. La donna nel marzo del 2008 aveva ottenuto sotto forma di prestito da una collega, l’esigua somma di 1.000 euro, dovendone poi restituire 1.200 il mese successivo. La vittima era stata costretta dunque a corrispondere un interesse del 20% a fronte delle minacce e delle percosse ricevute. La denuncia di una sola usurata, in questo caso ha permesso agli inquirenti di portare allo scoperto la rete di prestiti fuorilegge organizzata dalla cameriera-usuraia, nella quale erano cadute anche altre dipendenti dello stesso albergo. Anch’esse costrette a subire intimidazioni e violenze affinché corrispondessero un interesse che non era stato reso noto al momento del prestito.

Prestiti illegali tra parenti — L’usura si annida anche tra le mura domestiche. Uno degli ultimi casi è avvenuto in Umbria. Nel cuore di Perugia, già capitale dello spaccio di droga, accade di imbattersi nelle vicende come quella scoperta dalle Forze dell’ordine nel novembre scorso. I protagonisti sono moglie e marito, in grave difficoltà economica e che decidono di chiedere un prestito di 40mila euro alla sorella di lei. L’accordo si raggiunge in fretta: i soldi saranno restituiti mensilmente con rate e interessi stabiliti. Per una decina di mesi il patto viene onorato, finché la coppia, ancora a corto di liquidità, non riesce più a versare ai parenti il capitale ottenuto in prestito. Le minacce si fanno progressivamente più violente e le vittime, stremate, decidono di denunciare. Si scoprirà che i familiari pretendevano il 6% di interesse mensile. Da luglio 2009 ad aprile 2010 avevano ottenuto 2.400 euro al mese.

Questi sono solo alcuni dei casi emersi finora, i più emblematici. Microstorie che tratteggiano i contorni di un nuovo fenomeno che finora è stato relegato alla conoscenza pressoché esclusiva degli esperti del settore. Le decine di ambulatori antiusura sparsi lungo la Penisola, del resto, costituiscono un osservatorio privilegiato per comprendere le dinamiche che hanno portato il ceto medio a cadere in questa spirale. Il declino di una classe sociale ormai ridotta a brandelli, inizia nel 2002, con le prime avvisaglie dell’aumento dell’inflazione a cui corrisponde un incremento del prezzo dei beni di consumo e dei prodotti alimentari del 29%. È l’epoca della crisi da quarta settimana (poi divenuta terza o addirittura seconda) e dei poveri in giacca e cravatta: gli impiegati ancora in attività, ma separati e con i figli a carico, costretti a dormire in macchina perché lo stipendio è troppo basso per potersi permettere di pagare un secondo affitto. Sono figure sociali oggi arcinote, ma all’epoca sconosciute, che si muovevano il più possibile nell’ombra per nascondere la propria condizione di indigenza e delle quali l’Eurispes si accorse prima degli altri. Ecco, i poveri in giacca e cravatta sono stati le prime vittime di una crisi che incede inesorabile e travolge altri pezzi di società, producendo effetti a catena, come la “nascita” degli usurai nel pubblico impiego. Un contesto nel quale usuario e usurato divengono le due facce della stessa medaglia.

Il prezzo pagato dalle imprese. Secondo il più recente Rapporto di Sos Impresa, nell’ultimo biennio il numero dei commercianti coinvolti nei rapporti di usura è sensibilmente aumentato e oggi possono essere stimati in non meno di 200mila. Inoltre, poiché ciascuno s’indebita con più strozzini, le posizioni debitorie possono essere ragionevolmente stimate in oltre 600mila. E ciò che più preoccupa è il fatto che in almeno 70mila casi, il debito sia stato contratto con associazioni per delinquere di stampo mafioso finalizzate all’usura. Gli interessi si sono ormai stabilizzati oltre il 10% mensile, ma come detto, crescono il capitale richiesto e gli interessi restituiti. Nel complesso il tributo pagato dai commercianti ogni anno, a causa di questa lievitazione, si aggira intorno ai 20 miliardi di euro, non meno.

In Campania, Lazio e Sicilia si concentra un terzo degli imprenditori coinvolti. Ed è sufficiente guardare all’entità dei sequestri patrimoniali disposti dall’Autorità giudiziaria nei confronti degli usurai, per rendersi conto dell’enorme fatturato che ruota intorno a questo genere di reati. Al numero delle aziende coinvolte occorre infatti sommare gli altri soggetti in campo, dai piccoli artigiani ai pensionati: sono oltre 600mila le persone invischiate, cui vanno aggiunte non meno di 15mila immigrati coinvolti in situazioni limite, tra le attività parabancarie e l’usura vera e propria. La cosiddetta usura etnica, infatti, è un fenomeno in crescita e colpisce principalmente le comunità filippine, cinesi e sudamericane.

 Il numero dei commercianti vittime di usura suddivisi per regione – Valori in miliardi di euro e percentuali
Tabella 2 usura
Fonte: XIII Rapporto Sos Impresa, “Le mani della criminalità sulle imprese”.

Un’impresa su due registra un peggioramento generale dei propri livelli di sicurezza rispetto all’inizio dell’ultima crisi finanziaria (a partire dal 2008). Il dato è più accentuato nelle grandi aree urbane del Centro-Sud e in alcuni settori in particolare: tabaccai, venditori su aree pubbliche e benzinai su tutti. Risultano in crescita i furti – per il 68% delle imprese –, i crimini come la contraffazione e le rapine, in aumento per circa il 55% degli imprenditori. Si attesta intorno al 30%, invece, la crescita dei delitti strettamente collegati alle mafie, come l’usura, le tangenti negli appalti e le estorsioni. In particolare, otto imprenditori su 100 dichiarano di aver ricevuto minacce o intimidazioni con finalità estorsiva. Undici di questi, inoltre, affermano di conoscere altre aziende soggette a ricatti o intimidazioni.

È significativo anche l’ulteriore dato che vede in calo il numero degli imprenditori che ritiene le minacce subite provenienti dalla delinquenza comune: oltre il 50% è convinto di avere a che fare con la criminalità organizzata. Non può che destare preoccupazione, infine, la natura delle minacce subite. Se per il 59% degli intervistati i criminali si sono limitati a offendere le vittime con pressioni psicologiche, il 35% ha subìto danneggiamenti alla proprietà e il 7% è stato vittima di aggressioni fisiche.

I commercianti italiani dunque si sentono minacciati dalla malavita e i dati dell’ultimo Rapporto presentato  da Confcommercio (dicembre 2014) pongono all’attenzione delle autorità e dell’opinione pubblica, il profondo deficit di legalità avvertito dagli imprenditori.

 

 

 

 

 

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