Integrazione, il modello italiano non esiste. Spoto: “Nelle scuole le maggiori difficoltà”

Qual è il rapporto tra le diverse religioni che convivono in Italia? I non cattolici riescono a praticare il loro culto? Quali sono i principali ostacoli all’integrazione? Gian Stefano Spoto, giornalista, ex vice-direttore di Raidue e corrispondente Rai dal Medio Oriente, traccia la sua analisi. «In Italia, il sistema di integrazione è un “non sistema”».

In che modo, a suo giudizio, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, la cultura indiana ha cominciato a far sentire la sua influenza nel nostro Paese?
Gli anni Sessanta furono l’epoca del grande balzo in avanti dell’economia italiana. Uno sforzo immane, che richiese, soprattutto nelle regioni del Nord, sacrifici, disciplina e lasciò poco tempo (e pochi mezzi) per viaggiare, per lo svago e per la stessa cultura. La percezione, prima della consapevolezza, del boom economico, spinse i vari ceti a comportamenti molto distanti e spesso contrapposti: da una parte l’esibizione non di rado pacchiana dei simboli della ricchezza acquisita in breve tempo, grazie a lavoro, intuizione e iniziativa privata. Dall’altra, ribellione in senso lato e ricerca di spiritualità alternative, spesso, confuse. Politica e Chiesa cattolica condizionarono fortemente un’Italia in cui molti giovani avevano voglia di guardare altrove. Il ’68 fu un’esplosione di proteste e di idee più orecchiate che interiorizzate. La guerra in Vietnam mitizzò, nella mente di molti, anche i meno incolpevoli. Delusioni, ricerche spesso spontanee di nuove verità determinarono un “tutti contro tutti”, in battaglie talvolta talmente contorte da produrre mostri come il nazi-maoismo. In tutto questo, la voglia di spiritualità si fece largo, specie nei delusi da queste guerre ideologiche confuse e strumentalizzate dal cinismo dei politici di carriera. Idoli della musica e dello spettacolo esercitarono, come nei casi di George Harrison e John Lennon, un potere mediatico straordinario: le loro frequentazioni e l’ostentata dipendenza da santoni indiani coinvolsero un immenso e variegato popolo di aspiranti a una spiritualità fatta in gran parte di simboli, colori, profumi, parole incomprensibili e spesso mal riprodotte. Iconograficamente, la Due Cavalli con quattro ragazzi barbuti e capelluti rappresentava l’Italia avventurosa, sognatrice, ascetica part-time che attraversava tutta l’Asia (Afghanistan compreso, allora) fino all’India. Erba facile, incontri con altri giovani. Poi qualcuno rimaneva, anche se pochi sceglievano luoghi sacri come Varanasi consacrando la propria vita e attendendone sereno la conclusione. Chi restava, talvolta, lo faceva per un’eternità che si risolveva in qualche anno. Poi il ritorno alla realtà italiana con silente vittimismo di essere fuori tempo e perciò escluso da molte possibilità di lavoro. Oggi la situazione è stabilizzata su numeri modesti.

Qual è l’atteggiamento prevalente in Italia nei confronti delle religioni diverse da quella cattolica?
Mai come ora le religioni sono state collegate con la politica, nella mente dei più. Non si può dire che la difesa del Cattolicesimo come religione sia un moto spontaneo fra gli italiani, battezzati, ma raramente praticanti. Nell’odierna “Italia contro”, nella politica, nei social, si procede per abbinamenti. Ma è chiaro che una certa destra, affrancata dalla follia del nazi-fascismo, difende Israele, e lo fa non avendo nulla in comune con la religione ebraica: lo fa semplicemente per avversare la causa palestinese, sostenuta dalle sinistre, oppure per un certo neo-liberismo. Il timore degli attentati e, in generale, dell’estremismo, induce paura nei confronti dell’Islam, sospetto nei confronti degli immigrati, ma in questo la religione c’entra ben poco. Quanto alle altre religioni, sono quasi ignorate in quanto minoritarie, non invadenti e non contrapposte a un mondo cattolico generalmente tollerante e poco militante. Le sette, poi, fidelizzano pochi, soprattutto soggetti giovani e di mezza età, mentre per la stragrande maggioranza della popolazione diventano una sorta di luoghi comuni del fastidio discreto e talvolta folcloristico, suscitando ironia. Va detto che spesso l’opinione pubblica considera sette religioni vere e proprie, le cui connotazioni (Testimoni di Geova, Mormoni) siano tali da sdoganare luoghi comuni che ne sminuiscono il prestigio, ma che nascono da metodi di diffusione, i cui risultati sono interessanti.

Quali sono, a suo avviso, i rapporti tra le diverse religioni che convivono nel nostro Paese?
Il mondo ebraico parte dalla religione e arriva alla solidarietà e alla cooperazione. La stessa cosa si può dire di alcune comunità protestanti, prima fra queste la valdese. Quanto al contatto con gli altri culti, a parte i dibattiti e i convegni finalizzati a confronti storico-culturali e a una maggiore tolleranza, non ci sono moltissime occasioni di discussione, in senso strettamente religioso. Semmai ci può essere cooperazione su temi specifici, mentre par quanto riguarda i temi religiosi, mi sembra che ci sia una sorta di non luogo a discutere. O quasi.

Secondo la sua esperienza, gli abitanti non cattolici hanno la possibilità, vivendo in Italia, di svolgere le proprie pratiche religiose?
Il mondo ebraico, in Italia, è una sorta di realtà stabilizzata e poco porosa, mai messa in discussione dalla caduta del fascismo in poi, se non da estremisti. Semmai, come si diceva, le fibrillazioni possono avvenire al traino di dispute politiche. E per alcune parti politiche l’Islam diventa simbolo di destabilizzazione se non di timore o addirittura terrore. Le moschee esistenti vengono viste come potenziali covi di terroristi e quelle, talvolta grandi, in progetto, sembrano ad alcuni un arretramento della civiltà occidentale che concede quello che nei paesi islamici difficilmente viene accordato. Le altre minoranze religiose non costituiscono argomento di discussione, almeno in termini di grandi numeri.

In quali ambienti, a suo avviso, si riscontrano le maggiori difficoltà di integrazione tra cittadini di religioni diverse? A scuola, nelle strutture sanitarie, nei luoghi di lavoro, ecc.?
Ovviamente i più frequenti terreni di scontro sono i luoghi pubblici, le scuole, gli ospedali, i tribunali. Ma anche in questo, come negli altri casi, la religione non è soggetto, ma oggetto del contendere. La scuola, comunque, è uno degli ambienti dove la contesa scaturisce da un grande numero di pretesti, a cominciare da prevalenza di alunni e studenti musulmani, fino al crocifisso in aula, al velo indossato dalle ragazze fino alle proposte di insegnamento del Corano. Ancora una volta il protagonista delle dispute è, dunque, l’Islam. Lo avversa chi teme un’invasione che ponga, se non in minoranza, almeno in difficoltà, la supremazia della civiltà non tanto cattolica, quanto occidentale. Le pratiche discriminatorie nei confronti dei diritti delle donne, la stessa trasmissione di integralismi fra padri e figli sono elementi destabilizzanti. Un esempio fortemente stridente è quello del Nord industriale, che attira maggiori interessi in quanto produce ricchezza, assiste con timore alla contrapposizione fra stili di vita in cui quello minoritario sembra allargarsi sempre di più, e, in molti casi, non si rassegna ad accettare le regole della nazione ospitante, ma tende a imporre, almeno all’interno di vaste comunità, le proprie.

Quali sono, secondo lei, i principali ostacoli all’integrazione di chi professa religioni diverse da quella cattolica nella società italiana?
Un dibattito socio-politico è in corso da anni sull’eccessivo diffondersi di simboli religiosi islamici, tesi sostenuta dalle destre, mentre la sinistra, pur rispettosa della religione cattolica, tende a minimizzare questo fenomeno, preoccupandosi, invece, anche se con grande cautela, di non urtare la sensibilità degli immigrati musulmani con l’eccessivo predominio di simbologie cristiane. Dubito che questo clima si attenuerà in un’Italia in cui, a differenza di altri paesi europei, nessun Governo si è mai posto correttamente il tema dell’integrazione, sociale prima che religiosa, e del corretto inserimento degli immigrati. Non mi risultano, invece, conflitti di rilievo fra e nei confronti delle altre religioni, troppo minoritarie per essere legate a schieramenti politici.

Secondo lei, da che cosa hanno origine episodi di esclusione o ostilità nei confronti degli stranieri presenti in Italia? Anche la diversità religiosa riveste un ruolo?
La cultura religiosa non è diffusissima in Italia. Sono molto diffusi, invece, i pregiudizi. Dunque, l’ostacolo maggiore all’integrazione è costituito da luoghi comuni spesso falsati sui costumi religiosi dei non cristiani. Riguardo ai musulmani, curiosamente, esiste una sorta di controllo della loro aderenza ai dettami religiosi, controllo esercitato da chi non solo è al di fuori di queste logiche, ma quasi sempre le conosce per sentito dire, in modo impreciso e nebuloso. È motivo di compiaciuta polemica il consumo di bevande alcoliche da parte di alcuni, e persino il look occidentale di donne che si stanno integrando. Al contrario, vengono criticate quelle che non lo fanno. L’italiano medio, comunque, ha il pregio di ricredersi e, nelle relazioni interpersonali quotidiane, riconosce i meriti di chi è diverso, ma onesto, collaborativo, e ne diventa amico, finendo per difenderlo da pregiudizi e, di conseguenza, contribuendo alla cultura dell’integrazione, nel proprio ambiente, nella vita quotidiana. A parte motivi socio-politici, l’emarginazione o l’esclusione di minoranze avvengono spesso per paura: attentati, stragi insinuano il dubbio che ogni persona di razza e religione diverse possa essere un estremista, un violento, un assassino. C’è chi analizza ogni banalità, spesso colta senza troppa attenzione, per far montare il castello di sospetti. L’italiano non è di per sé razzista, ma la paura crea situazioni talvolta assurde, e la religione cattolica, spesso richiamata come valore, ma mai professata, diventa una crociata improvvisata per altrettanto improvvisate difese di valori rozzamente contrapposti.

Che cosa potrebbe favorire una maggior integrazione degli stranieri nella società italiana?
Il sistema, o, realisticamente, il non-sistema italiano di integrazione degli stranieri, in qualche modo, favorisce la negligenza nell’apprendimento di lingua, cultura basilare e di tutto ciò che avvicina a noi chi ha radici molto lontane. Una sorta di cane che si morde la coda: pochi strumenti per l’integrazione, poca volontà di integrarsi. Paesi con un colonialismo più strutturato del nostro hanno accolto immigrati fin da quando noi emigravamo. In Francia e Gran Bretagna, ad esempio, gli immigrati hanno diritti e doveri ben definiti. Questo non preserva dalle sommosse nelle banlieue o dalle centrali del terrore che possono esplodere. Ma il modello è quello giusto, quello italiano non esiste. Una speranza sta nell’integrazione dei ragazzi a scuola, anche se ci vorranno diversi anni perché questa possa trasmettersi nel mondo del lavoro e nella società in generale.

Alla luce delle sue conoscenze, si sentirebbe di evidenziare la differenza di fondo fra l’Induismo e la cultura religiosa che connota in generale il mondo occidentale?
Credo che ogni religione sia in qualche modo immagine dell’umanità che rappresenta. L’Induismo in Occidente è appannaggio di chi cerca una strada alternativa, una sorta di protesta dell’anima contro un conformismo che respinge. Ma, essendo lontano dalle logiche e dai meccanismi basilari, mentali, sociali e, perciò, anche spirituali dell’Occidente, l’Induismo è spesso vissuto come una libertà culturale, un’opzione per chi vuol volare lontano da automatismi eccessivamente pragmatistici. È pur vero che un viaggio in India porta a conoscere realtà molto contrastanti, ma di indubbio fascino, non solo superficiale, ma anche profondo per coloro che vogliano realmente approfondire. Dunque, l’Induismo può essere non solo immagini iconografiche, ma anche un’alternativa alla caduta di valori del mondo occidentale.

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