Altro che impulso alla imprenditoria giovanile o ancora di più roboante sostegno alla editoria. Quello che è successo alla piccola casa editrice di libri per bambini Momo di Roma è emblematico dello scarso interesse per questo settore a tutto vantaggio dei grandi editori. Otto fogli formato A4 affissi sui muri da mano ignota ma che annunciavano una iniziativa ludica e culturale per i bambini di un quartiere romano, hanno provocato a Momo Editrice, otto multe da parte del Comune. Notificate da solerti vigili urbani del Campidoglio, per migliaia di euro, rischiano di far chiudere una bella realtà utile per la coesione sociale. L’Eurispes esprime la sua solidarietà a questa piccola casa editrice che dovrebbe essere l’emblema dell’Italia “che fa”, senza mai dimenticare chi rimane indietro, e invece si trova ancora al centro di un caso senza soluzione. La storia di Momo racconta anche della distanza e della mancanza di ascolto tra le Istituzioni e i cittadini. Dal Campidoglio neanche una voce. Eppure, basterebbe un atto del Sindaco per liberare la Momo dal peso di multe che ne determinerebbero la chiusura; secondo noi ingiusta, al punto che l’Istituto, su indicazione del Presidente Gian Maria Fara, ha deciso di offrire un sostegno economico.
Abbiamo intervistato Mattia Tombolini, uno dei soci della casa editrice, multata a sua insaputa.
Mattia Tombolini, quanto è difficile per una piccola casa editrice vivere in questo “oceano pieno di squali”?
È abbastanza difficile. Questi “squali” sono tanti e diversi, rappresentati intanto dal contesto che abbiamo intorno, il primo è quello dell’emergenza culturale enorme che c’è in questo Paese. Più che altro, quando si decide di mettere su una piccola impresa, nell’ambito italiano si entra in contatto con gli squali del mercato, quindi le distribuzioni e tutto quello con cui lavoriamo quotidianamente.
Qual è l’attività di Momo, la vostra casa editrice, in particolare, che cosa fate?
Nello specifico facciamo libri per bambini e per ragazzi, e nasciamo proprio con questo intento. Proveniamo da esperienze editoriali precedenti, principalmente nell’ambito della saggistica, una cosa ben diversa. Ci siamo resi conto, ad un certo punto, che a noi interessava di più trovare un modo di interagire con le nuove generazioni, aprire un dialogo: Momo cerca di fare principalmente questo. Da un anno e mezzo abbiamo una collana che si chiama “Libri monelli” che è proprio la collana centrale, dedicata a bambini tra i 6 e i 9 anni, ma che in realtà sviluppa anche libri per più età, quindi anche per l’adolescenza oppure per l’infanzia, o per i più piccoli. È un progetto che nasce un po’ da un certo ragionamento: da una parte, questa enorme emergenza culturale, dall’altra un abbandono scolastico molto forte, hanno fatto sorgere la necessità, secondo noi, di ripartire e rimettere al centro l’elemento culturale, e del libro come strumento.
Sei molto giovane, prima di che cosa ti occupavi?
Per cinque anni ho lavorato in una casa editrice di saggistica svolgendo vari ruoli. Prima ancora ho fatto l’Università, ma durante la mia vita ho lavorato sempre, facendo il cameriere, il fattorino, ho lavorato in albergo: ho fatto tutti i lavori precari che conosciamo.
C’è stata un’occasione particolare che ti ha fatto virare verso questo lido dell’editoria per ragazzi?
Con Gianmarco Mecozzi, il redattore di Momo, lavoravamo in una cooperativa che organizzava fiere per editori indipendenti e dopo un paio di fiere in qualche modo non ci bastava più quel tipo di soggetto con il quale ci relazionavamo. Abbiamo organizzato un evento pensato proprio per i ragazzi e ci siamo accorti che c’è stato un buon ritorno dell’evento in sé. Ci siamo accorti che il settore dell’editoria per ragazzi era l’unica in crescita in Italia, però allo stesso tempo questa crescita non significava un’occasione per avere più contenuti, più qualità e così via. Al contrario, vedevamo un riprodursi delle stesse cose anche nell’editoria per ragazzi, e così abbiamo pensato che c’era la necessità di fare un lavoro strutturato, di portare i nostri contenuti dentro questo àmbito.
Questo modo di far fruire il libro vi è costato qualcosa. È successo che un piccolo evento vi ha portato su tutti i giornali e vi vede ancora protagonisti di un caso senza soluzione.
Sì, organizzando un evento, insieme ad altre realtà. Era una festa pensata per settembre, quindi dopo il lockdown, dopo tutte le situazioni che hanno interessato in maniera negativa l’infanzia, i ragazzi e così via, un evento pubblico, gratuito, pieno di laboratori, incontri, escursioni nel Parco di Aguzzano. Per fare questo, nella comunicazione che era affidata alle tante realtà, ai singoli (ognuno faceva da testimonial), qualcuno ha pensato di stampare dei manifesti ed attaccarli su un muro del quartiere di San Lorenzo pieno di manifesti e di scritte; i manifesti non sono stati attaccati al Colosseo! Qualcuno evidentemente li ha segnalati, da quello che stiamo ricostruendo, una di queste associazioni di cittadini che, dopo un lockdown pesante, hanno pensato, invece di essere solidali, di segnalare una festa che era proprio l’intento opposto, con una logica che è quella di dire “ma a noi non interessa cosa c’è sul muro, che cosa si pubblicizza, il punto è che non deve esserci”. I vigili ci hanno notificato 8 multe, una per ogni manifesto che era sul muro, di oltre 400 euro. Possiamo discutere di quanto sia abusivo mettere dei manifesti, di quanto sia illegale, il punto è che chi li ha messi, secondo me non ha fatto nulla di male; dopodiché non siamo neanche stati noi, noi la paghiamo perché hanno fatto riferimento a noi, perché c’era il nostro nome. Come Momo durante il lockdown abbiamo fatto le consegne ai bambini con uno sconto altissimo, regalavamo disegni, i colori (perché non si trovavano più); abbiamo fatto dei pacchi solidali nei quali regalavamo libri. Ci siamo messi in gioco perché eravamo appena nati e la chiusura era un rischio altissimo.