Allegato – Il MES

ALLEGATO

L’origine del MES risale al 2 febbraio 2012, attraverso la sottoscrizione di un nuovo Trattato, al di fuori di quello dell’Unione (il TFUE) sottoscritto da 17 paesi. È stato anticipato da altri due meccanismi precedenti, nati per far fronte alla crisi finanziaria del 2008, alla luce dei limiti della BCE, prima che Draghi lanciasse il Qe. La prima versione dell’11/7/2011 viene approvata con un nuovo Trattato, al di fuori di quello dell’Unione e dell’Eurozona, come fosse un nuovo Fondo Monetario Internazionale (FMI), trattando i paesi che condividono la stessa moneta come degli “estranei”. Si tratta di un organismo “intergovernativo”, fuori dalle Istituzioni europee. Non sono servite quasi a nulla le osservazioni addotte durante discussione del nuovo regolamento, partita nel 2019 e più volte rinviata, lasciando la sostanza praticamente immutata.

I contenuti della riforma. Il meccanismo, così com’è rimasto, non è molto diverso da quello precedente. Lo scopo è sempre quello di evitare il contagio di una eventuale crisi sistemica, ma senza prevedere gli strumenti di prevenzione per venire incontro preventivamente alle esigenze degli Stati Membri dell’Eurozona in difficoltà. La concessione di prestiti, è fatta sempre sotto rigide condizionalità negative. In più rafforza il potere decisionale del suo direttivo, l’organo di governo affidato ad un gruppo di tecnici al di fuori di ogni controllo democratico e forniti di immunità (anche se amministrano fondi pubblici). È rimasto il mandato di “prestare” a chi ha il debito “ritenuto” sostenibile secondo i parametri attuali, secondo “il punto di vista del creditore”. Praticamente, il solo organo tecnico del MES ha il potere di stabilire, in via autonoma, la solvibilità o meno di uno Stato, senza alcun controllo democratico e del “comune interesse dell’Unione”, secondo il Trattato. È scomparso l’obbligo di ristrutturare il debito “prima” della concessione dei prestiti, ma è rimasta la sostanza. Infatti, non si tiene conto del rischio temuto, fonte di speculazione, che mette a rischio i paesi per l’accesso al mercato, così come quello ai “prestiti precauzionali”, quelli capaci di evitare che si sviluppi una crisi finanziaria. Sembra una banca d’affari. È legato alla politica di austerità e alla politica di emergenza nata con la crisi finanziaria precedente. Conserva la logica contenuta nel patto di stabilità. Vi è stato invece inserito il back stop, cioè la garanzia di ultima istanza per il Fondo Unico di Risoluzione che interviene in caso di “fallimento” delle banche. Anche se questo potrà consentire di sbloccare una delle riforme dell’Eurozona rimasta in sospeso, si tratta di un compito improprio rispetto a quello originario di salva-Stati e non salva-banche. Inoltre, anche il nuovo MES resta al di fuori del TFUE a conferma del rapporto di sfiducia tra debitori e creditori che, finora, ha avvelenato il negoziato sulla Unione economica e monetaria.