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Leve fiscali per la coesione: un nuovo patto redistributivo

di
Gabriele Cicerchia

L’analisi dei divari territoriali in Italiadopo averne ripercorso le radici storiche e le manifestazioni attuali – non può fermarsi ad una mera enunciazione descrittiva ma occorre individuare gli strumenti concreti attraverso i quali superare una frattura che da oltre un secolo frena lo sviluppo nazionale. Fiscalità di vantaggio, rafforzamento amministrativo e partecipazione dal basso sono i tre pilastri su cui si potrebbe tentare di costruire un “nuovo modello di coesione”. Significa passare dall’enunciazione del problema alla definizione di una strategia strutturale, capace di trasformare le risorse disponibili in sviluppo reale e inclusivo.

Fiscalità di vantaggio basata su perequazione e incentivi intelligenti

La fiscalità può diventare il motore di un nuovo patto redistributivo. L’obiettivo non è creare privilegi permanenti o distorsioni di mercato, ma usare il fisco come strumento perequativo e incentivante¹. Un credito d’imposta strutturale per gli investimenti in innovazione e transizione ecologica realizzati nel Mezzogiorno, ad esempio, potrebbe rappresentare una svolta. L’incentivo andrebbe legato non solo all’entità dell’investimento, ma anche al mantenimento di specifici livelli occupazionali, con particolare attenzione a giovani e donne, categorie più penalizzate². Un secondo strumento riguarda la decontribuzione mirata. Nelle province con disoccupazione superiore alla media nazionale (oltre il 20% in alcune aree della Calabria e della Sicilia, contro il 5% di regioni come Lombardia o Veneto³), si potrebbe introdurre un taglio dei contributi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. L’incentivo non sarebbe un “contributo a pioggia” ma andrebbe calibrato in base all’indice di disoccupazione locale, così da concentrare gli effetti dove il mercato del lavoro è più fragile, frenando l’esodo di talenti.

Accanto a queste misure, è opportuno rafforzare e ampliare le Zone Economiche Speciali (ZES). Non solo nei poli portuali, ma anche nelle aree interne e montane, prevedendo un regime semplificato e aliquote ridotte per le PMI che operano in filiere locali (agroalimentare di qualità, turismo sostenibile, artigianato)⁴. Si tratterebbe di trasformare i territori periferici in laboratori di sviluppo circolare, senza entrare in competizione con le grandi aree metropolitane. La chiave è evitare che tali strumenti diventino un “salvadanaio” per imprese in difficoltà: devono essere acceleratori di processi virtuosi, temporanei e monitorati periodicamente sulla base di criteri misurabili (PIL pro capite, tasso di occupazione, qualità dei servizi pubblici).

Rafforzare la pubblica amministrazione è una condizione necessaria

Il vero collo di bottiglia è la debolezza della pubblica amministrazione locale. Non basta stanziare fondi se mancano competenze tecniche per progettarli e gestirli⁵. Nel ciclo 2014–2020, l’Italia ha speso solo il 43% dei fondi strutturali disponibili, contro una media Ue del 55%⁶, con punte di inefficienza al Sud. Una risposta potrebbe essere l’istituzione di “task force” inter-amministrative composte da ingegneri, economisti, giuristi e project manager, da assegnare ai comuni più fragili. Questi team, a rotazione o su richiesta, affiancherebbero le amministrazioni nella progettazione e nell’attuazione dei bandi, garantendo qualità e tempi certi. Altrettanto cruciale è la formazione continua. Un Programma Nazionale per le PA locali, finanziato da PNRR e fondi strutturali, potrebbe offrire percorsi pratici su gestione dei fondi europei, digitalizzazione dei servizi e programmazione urbana sostenibile. L’obiettivo non è solo colmare vuoti, ma creare una rete di “campioni” della buona amministrazione, capaci di trasferire competenze agli altri enti⁷. Infine, occorre incentivare la cooperazione intercomunale. Molti piccoli comuni non dispongono delle risorse per gestire progetti complessi: l’aggregazione di servizi e funzioni, attraverso hub territoriali di competenza, permetterebbe di superare la frammentazione e di accedere a iniziative di maggiore impatto.

Partecipazione e inclusione: un PNRR dal basso

Il PNRR è un’occasione storica, ma rischia di rimanere un’operazione “calata dall’alto”. Per evitare che i fondi rafforzino solo chi è già forte, è necessario garantire una reale partecipazione dei territori. Gli enti locali, le imprese e la società civile devono essere coinvolti sin dalle prime fasi di ideazione dei progetti⁸. Un modello efficace potrebbe essere l’obbligatorietà di forum di co-progettazione a livello locale, aperti a cittadini e stakeholder. In molte città europee questo approccio ha dimostrato di rafforzare la legittimità e la sostenibilità delle scelte, riducendo i conflitti successivi⁹. Al tempo stesso, i bandi dovrebbero premiare i partenariati territoriali. Un punteggio aggiuntivo potrebbe essere assegnato ai progetti che uniscono un’università del Nord e un’impresa del Sud, o una grande città e un comune interno. In questo modo la disparità diventerebbe occasione di scambio e crescita reciproca. Fondamentale, infine, la trasparenza. Piattaforme digitali di monitoraggio accessibili ai cittadini, con dati in tempo reale sull’avanzamento dei progetti e l’utilizzo dei fondi, sono lo strumento più efficace per rafforzare fiducia e senso di appartenenza

Lezioni europee: Germania e Spagna

Il confronto con altri paesi europei mostra che i divari territoriali possono essere affrontati con strategie coerenti. La Germania, dopo la riunificazione del 1990, ha ridotto le distanze tra Est e Ovest grazie al Solidaritätszuschlag, un’imposta temporanea che ha finanziato massicci investimenti infrastrutturali e produttivi¹⁰. Parallelamente, il sistema di perequazione fiscale tra Länder (Finanzausgleich) ha assicurato livelli minimi di servizi pubblici ovunque, trasformando la solidarietà in un progetto nazionale condiviso¹¹. La Spagna, invece, ha sfruttato con efficacia i fondi europei. Le Comunidades Autónomas hanno dimostrato una capacità amministrativa superiore a quella delle regioni italiane, gestendo direttamente le risorse e adattandole alle esigenze locali. Investimenti mirati (alta velocità ferroviaria, cluster produttivi regionali) e decentramento efficiente hanno consentito di ridurre disuguaglianze storiche, pur senza eliminarle del tutto¹².

Leve fiscali e coesione, verso un nuovo patto redistributivo

Il confronto europeo evidenzia tre priorità per l’Italia:

  • un sistema di perequazione finanziaria solido, basato sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che impedisca all’autonomia differenziata di trasformarsi in “secessione dei ricchi”¹³;
  • investimenti strategici e non assistenziali, capaci di generare sviluppo autonomo e duraturo, sul modello tedesco;
  • rafforzamento amministrativo e semplificazione burocratica, seguendo l’esempio spagnolo. Solo combinando solidarietà redistributiva e capacità amministrativa, l’Italia potrà superare la storica “doppia velocità” e costruire un futuro di vera coesione nazionale. Il nuovo patto redistributivo non può essere solo una misura fiscale: deve essere un progetto politico condiviso, che trasformi la disparità territoriale da fattore di divisione a motore di sviluppo comune.

Note

  1. Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale, Rapporto annuale sulla coesione, 2023.
  2. SVIMEZ, Rapporto sull’economia del Mezzogiorno, 2024.
  3. ISTAT, Occupati e disoccupati, 2024, dati regionali.
  4. Commissione Europea, Handbook on Special Economic Zones, 2023.
  5. Corte dei Conti, Relazione sulla capacità di spesa degli enti locali, 2022.
  6. DG REGIO, Cohesion Report, 2022.
  7. Formez PA, Competenze per la PA, 2023.
  8. Barca, F., Un nuovo approccio alla coesione territoriale in Europa, 2009.
  9. OECD, Citizen Participation in Public Decision Making, 2021.
  10. Bundesministerium der Finanzen, Der Solidaritätszuschlag, 2020.
  11. BMF, Finanzausgleich zwischen den Ländern, 2023.
  12. Ministerio de Hacienda, Fondos Europeos en España 2014–2020, 2022.
  13. Legge n. 42/2009 e art. 116, c. 3, Costituzione.

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