La Toscana è considerata una regione virtuosa sotto il profilo della qualità: alla sua filiera ortofrutticola e vitivinicola viene in genere associata una non comune trasparenza e tracciabilità dell’industria della trasformazione e della distribuzione agroindustriale. Sebbene questo sia indubbiamente vero, sembra nel contempo essenziale indagare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro, della salute e dell’accesso alle cure dei lavoratori e delle lavoratrici di origine straniera in Toscana.
Le coltivazioni rappresentano il 61% del valore della produzione dell’agricoltura regionale toscana
Il valore della produzione dell’agricoltura Toscana nel 2022 sfiorava i 3,2 miliardi di euro collocando la regione al 9° posto dopo Lombardia (oltre 8 miliardi), Emilia-Romagna, Veneto, Sicilia, Puglia, Piemonte, Campania, e Lazio (dati Istat, 2023). L’esame dei comparti dell’attività agricola mostra che le coltivazioni rappresentano il 61% del valore della produzione dell’agricoltura regionale, gli allevamenti incidono per il 15%, le attività connesse alla produzione agricola per il 10% e per il restante 14% le attività di agriturismo, trasformazione del latte, frutta e carne, produzione di energia rinnovabile. Occorre poi evidenziare la propensione degli imprenditori agricoli toscani verso una strutturazione delle proprie aziende più capitalizzata di quanto non avvenga, mediamente, a livello nazionale. Particolarmente rilevante è l’apporto del lavoro familiare che copre mediamente il 74,6% del fabbisogno complessivo aziendale, mentre l’apporto di lavoro fornito dai salariati e dagli avventizi, italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, è del 25,4%.
La produzione principale risulta l’olivicoltura che coinvolge oltre 36mila aziende, seguita dalla viticoltura e dalla produzione di colture fruttifere
Secondo i dati del Settimo Censimento Generale dell’Agricoltura realizzato dall’Istat nel 2021, in Toscana si contano oltre 52mila aziende agricole, ossia il 28,3% in meno rispetto al censimento del 2010. La produzione principale risulta l’olivicoltura che coinvolge oltre 36mila aziende, seguita dalla viticoltura e dalla produzione di colture fruttifere. Questi comparti sono anche quelli dove si riscontrano l’ingresso e la permanenza in produzione delle componenti bracciantili di origine immigrata, in particolare nelle fasi di raccolta, una percentuale non irrilevante di incidenti sul lavoro, una sottovalutazione della questione ambientale e della salute del lavoratore, soprattutto nel caso di infortuni, e varie forme di disagio abitativo. Nel corso del 2022 il numero verde del progetto SATIS (Sistema Antitratta Toscano Interventi Sociali) ha ricevuto 567 chiamate e gestito 203 situazioni di sfruttamento del lavoro.
Infortuni sul lavoro e salute dei lavoratori agricoli in Toscana
Secondo le principali fonti statistiche italiane, alla fine del 2022 i lavoratori immigrati complessivamente occupati nel settore agricolo erano circa 155mila, rappresentando il 18% della forza lavoro. Si tratta di una componente fondamentale e non marginale, tanto da produrre il 15,7% del Pil del comparto. I lavori svolti dagli immigrati, anche in agricoltura, sono in genere più pericolosi e meno protetti dal momento che risulta statisticamente più probabile il decesso in caso di grave infortunio. Rispetto al quadro nazionale, la situazione in Toscana risulta sostanzialmente coerente. A fronte del 42,5% di immigrati impiegati sul totale degli occupati nel settore agricolo, in Toscana gli infortuni registrati che nel 2021 hanno coinvolto lavoratori non italiani sono stati il 26% del totale. La sproporzione tra questi dati sembra confermare l’ipotesi che non sempre gli infortuni sul lavoro vengano denunciati, restando completamente a carico del lavoratore straniero in termini di sofferenza fisica, psicologica e precarietà. Diverso è lo scenario riguardante gli infortuni mortali. Nel 2021, infatti, su 9 morti sul lavoro nel settore agricolo toscano, 2 erano di origine immigrata. Il dato era invece di 4 su 10 nel 2020.
I lavoratori mostrano patologie varie dovute alla loro esposizione a molte ore di lavoro quotidiano, spesso faticoso e pericoloso, senza alcun controllo medico
Infortuni e malattie professionali sono da mettere in relazione alla totale assenza o comunque all’inadeguatezza di momenti di informazione e formazione. Un esempio di sfruttamento e caporalato in Toscana rispetto al problema della salute dei lavoratori lo si è rilevato nell’ottobre del 2024 dalla Compagnia dei Carabinieri della Provincia di Pisa, quando nei campi di Casciana Terme Lari sono stati individuati 21 lavoratori, di origine subsahariana e regolarmente presenti sul territorio nazionale, impiegati senza regolare contratto, per molte ore al giorno e senza il rispetto obbligatorio delle misure di prevenzione e tutela della loro salute e incolumità. I lavoratori impiegati mostravano patologie varie dovute alla loro esposizione obbligatoria a molte ore di lavoro quotidiano, spesso faticoso e pericoloso, senza alcun controllo medico. Inoltre, era del tutto evidente la difficoltà dei lavoratori di accedere alle strutture sanitarie pubbliche per via di orari di lavoro assai lunghi, per la scarsa mobilità, per la scarsa conoscenza dei propri diritti.
I fattori di rischio della manodopera straniera
I fattori di rischio dei lavoratori agricoli stranieri in Toscana sono riconducibili alle dimensioni della povertà materiale, culturale e relazionale dei lavoratori di origine immigrata e derivano, nel contempo, dalla dimensione lavorativa, dal degrado abitativo, dalla povertà alimentare, dalle condizioni igieniche precarie, dall’assenza di supporto familiare, dalle difficoltà di accesso ai servizi, compresi quelli sanitari, quando non discriminazione, isolamento e malessere psicologico. La precarietà dell’inserimento sociale, intrecciandosi con una routine quotidiana estremamente onerosa in termini di fatica fisica e con le condizioni di povertà sopra ricordate, facilmente espone i lavoratori di origine immigrata a pratiche come l’abuso di farmaci, in particolare analgesici e antinfiammatori non steroidei. Nel caso in esame, quello toscano, l’età media di assunzione di tali sostanze è alta, trattandosi in genere di persone di 40 anni in su. Salvo i casi più gravi che hanno visto l’intervento del 118 e il ricorso alle cure in emergenza e urgenza, gli incidenti sul lavoro non vengono, anche in Toscana, spesso registrati come tali e gli infortunati si limitano a sospendere l’attività lavorativa per lo stretto necessario a un minimo recupero.
Un terzo dei lavoratori immigrati non ha mai incontrato un medico del lavoro, nonostante quasi tutti risultino assunti con regolare contratto
Secondo i dati ufficiali registrati dagli Enti operanti in Toscana, un terzo dei lavoratori immigrati non ha mai incontrato un medico del lavoro, nonostante quasi tutti risultavano assunti con regolare contratto. Così, oltre a riproporre il tema della legalità e del lavoro nero, si delinea anche quello più specifico della sicurezza sul lavoro: dalla valutazione del rischio, alla sorveglianza sanitaria, fino alle azioni di formazione e informazione. L’acquisizione di una cultura della salute e sicurezza sul lavoro si conferma essere, anche in Toscana, un percorso complesso e non scontato. Per i lavoratori stranieri le difficoltà possono aumentare per l’effetto combinato dei molti elementi di diversità del paese di arrivo, dissimile per cultura, lingua e utilizzo della tecnologia, per il diffondersi della logica mercantile anche in àmbito sanitario, con un accesso alle cure sempre più selettivo, minandone l’universalità e penalizzando le persone meno dotate di risorse materiali, culturali e relazionali. Garantire a tutti i lavoratori un livello sufficiente di alfabetizzazione sanitaria anche in medicina del lavoro e prevenzione degli infortuni vuole dire limitare la portata delle disuguaglianze di salute nell’ambito lavorativo. Dare nuovo valore al momento di incontro tra medico e paziente/lavoratore, in particolar modo quando l’incontro avviene tra culture diverse, implica porre al centro non il potenziale rischio ma la persona.
In Toscana i lavoratori immigrati più vulnerabili, in linea con altre regioni italiane, sono quotidianamente esposti ad esperienze di deprivazione della loro condizione di salute
In Toscana i lavoratori immigrati più vulnerabili, in linea con altre regioni italiane, sono quotidianamente esposti ad esperienze di deprivazione della loro condizione di salute: in parte a causa dell’alta incidenza di infortuni, più o meno gravi e non sempre denunciati; in parte a causa della loro inadeguata conoscenza dei rischi e della mancata consapevolezza dei diritti e delle tutele, con una seria possibilità del profilarsi nel medio periodo di disturbi fisici e mentali. La situazione è aggravata dalla mancata presa in cura di questi lavoratori fragili da parte del sistema sanitario: il loro unico contatto con un professionista della salute risulta quello con il medico del lavoro. In attesa di una ridefinizione del rapporto con la medicina di base da parte dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione internazionale, il medico del lavoro potrebbe svolgere un ruolo importante rispetto a quanto previsto dalla legge nella tutela della loro salute.
*Marco Omizzolo, sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes.