La discussione pubblica intorno al conflitto in Ucraina continua a concentrarsi sulle mappe del fronte, sulle controffensive e sulle prospettive territoriali. Eppure, dietro la dimensione visibile della guerra si muove una trattativa molto più profonda, che attiene alla struttura economica del paese e alla collocazione dei suoi asset produttivi nel sistema internazionale. L’ipotesi avanzata dall’economista Emiliano Brancaccio – secondo cui il nuovo piano americano per la pace guarda meno ai confini e più ai diritti di proprietà – invita a spostare l’attenzione verso il nodo economico della crisi. La stabilità dell’Ucraina del dopoguerra dipenderà, infatti, dalla regolazione dei capitali e dalla tutela degli investimenti nei settori strategici: energia, metallurgia, agricoltura industriale, infrastrutture logistiche. In questa prospettiva, uno degli snodi cruciali riguarda la presenza dei capitali russi all’interno del tessuto economico ucraino. La possibilità, implicita in alcune ipotesi circolate negli ambienti diplomatici, di riconoscere parte di questi asset in un quadro di compromesso, costituirebbe una novità rilevante. Significherebbe accettare che il conflitto non si risolva semplicemente con una delimitazione territoriale, ma attraverso una ridefinizione dei rapporti di proprietà e delle condizioni di ingresso degli investimenti stranieri nel paese.
Bruxelles aveva immaginato con l’Ucraina una zona di libero scambio globale concepita per integrare il paese nello spazio economico europeo
Questa dinamica produce un effetto diretto sulla posizione dell’Unione europea. Dal 2007, Bruxelles aveva immaginato con l’Ucraina una “zona di libero scambio globale e approfondita”, concepita per integrare il paese nello spazio economico europeo, riducendo progressivamente la dipendenza da Mosca. L’obiettivo – rafforzato dopo il 2014 – era costruire un allineamento economico e normativo che escludesse, di fatto, il capitale russo. Oggi, però, se la pace dovesse incorporare la tutela degli asset russi, l’intero impianto originario della strategia europea verrebbe messo in discussione. L’eventuale adesione dell’Ucraina all’Ue, a queste condizioni, si trasformerebbe in una prospettiva complessa: da un lato, un paese formalmente integrato nell’acquis comunitario; dall’altro, un’economia attraversata da interessi russi consolidati, difficili da neutralizzare senza aprire nuovi fronti di instabilità. La contraddizione sarebbe interna all’architettura stessa dell’Unione, che da anni tenta di costruire una politica industriale orientata alla sicurezza economica e alla riduzione delle vulnerabilità strategiche.
Il vero nodo riguarda la capacità dell’Ue di incidere nel processo di pace, che sembra muoversi soprattutto nel rapporto tra Washington e Mosca
Il vero nodo riguarda dunque la capacità dell’Ue di incidere nel processo di pace. La trattativa che si profila sembra muoversi soprattutto nel rapporto tra Washington e Mosca, con la Cina sullo sfondo come fattore di equilibrio sistemico. L’Europa appare più spettatrice che protagonista, priva di un coordinamento politico-militare unitario e dotata di strumenti finanziari importanti ma non sufficienti a determinare da sola l’esito della ricostruzione. Il ruolo della BEI, dei fondi per la resilienza e dei nuovi programmi di sicurezza economica potrebbe contribuire a riequilibrare questa situazione, ma solo a condizione che l’Unione riesca a definire una strategia comune all’altezza della posta in gioco.
Se la pace in Ucraina verrà costruita “seguendo il denaro”, allora la dimensione economica non sarà un elemento accessorio, bensì il fondamento
Se la pace in Ucraina verrà effettivamente costruita “seguendo il denaro”, come suggerisce Brancaccio, allora la dimensione economica non sarà un elemento accessorio, bensì il fondamento dell’assetto futuro del paese e del suo collocamento geopolitico. Il quadro che emerge è quello di una ricomposizione basata non soltanto su criteri diplomatici, ma su garanzie agli investitori, accordi sulle catene del valore, regolazione delle infrastrutture critiche e apertura controllata dei mercati.
La guerra in Ucraina ha dimostrato quanto l’Europa sia esposta alle vulnerabilità dei mercati globali
Per l’Unione europea, questa situazione rappresenta una sfida cruciale. Le ambizioni di espansione normativa devono ora confrontarsi con l’esigenza di una presenza geoeconomica più solida, capace di incidere realmente sulla definizione degli assetti postbellici. L’Ue può scegliere se rimanere ai margini del negoziato, lasciando che la sua sicurezza economica venga definita da attori esterni, oppure se rafforzare la propria autonomia strategica, dotandosi degli strumenti necessari a governare l’interdipendenza nel suo vicinato orientale. La guerra in Ucraina ha dimostrato quanto l’Europa sia esposta alle vulnerabilità dei mercati globali e quanto sia indispensabile, per garantirsi stabilità, riconoscere la centralità della dimensione economica nei processi di pace. “Seguire il denaro” non è solo un metodo analitico, ma il criterio attraverso cui si definirà il futuro equilibrio fra Bruxelles, Kiev e Mosca. In questo scenario, la capacità dell’Ue di svolgere un ruolo attivo nella ricostruzione ucraina sarà un banco di prova decisivo per misurare la sua reale autonomia strategica nel nuovo ordine internazionale.

