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La nuova grammatica del populismo in Europa, un riflesso delle società occidentali

di
Marco Omizzolo*

Pubblichiamo l’intervista con Camille Chenaux, docente svizzero-italiana, dottoressa di ricerca in Relazioni internazionali (Roma Tre) e docente di Contemporary Italian Politics, Italy and EU e Organized Crime presso IES ABROAD Roma

Il suo nuovo libro si intitola Crisi dello Stato-nazione e populismi europei (Carocci, 2025). Per quali ragioni ha sentito la necessità di studiare il populismo europeo e quali sono i risultati prevalenti che sono emersi dalla sua ricerca?

Iniziai a scrivere la mia tesi di dottorato nell’ormai lontano 2018, a Roma, quando ancora si parlava del Governo italiano come del “primo Governo populista puro in Europa”. Mi riferisco al Governo giallo-verde tra M5S e Lega (cosiddetto “Conte I”) in essere dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019. Sempre nel 2018, si continuava a commentare il Referendum sulla Brexit di soli due anni prima e delle conseguenze economiche che aveva causato e continuava a causare, soprattutto per i cittadini inglesi. Conobbi in quel periodo studenti inglesi e ricordo che ci si confrontava sulle nuove regole circa futuri possibili scambi accademici tra i paesi dell’Unione europea e la Gran Bretagna, consci che il tradizionale modello Erasmus + non avrebbe più funzionato in quel nuovo contesto. Negli Usa c’era la prima presidenza Trump, alle elezioni del 2017 ‒ presidenziali in Francia e federali in Germania ‒ era evidente come la continua crescita del Front National(diventato Rassemblement National nel 2018) e dell’Alternative für Deutschland (AfD), stessero imprimendo un cambio di rotta politico nel mondo occidentale, una svolta che andava considerata seriamente. Il 20 novembre del 2018 il quotidiano The Guardian pubblicò un articolo di Matthijs Rooduijn che fece molto scalpore e iniziava in questo modo: “Populism is sexy”. Stava così per essere ridisegnata una nuova grammatica politica in Europa e ne ero consapevole. È stata quella consapevolezza che mi portò a studiare il populismo, in quel tempo in cui il fenomeno in questione stava diventando un vero e proprio “concetto alla moda”. Ricordo che mentre i miei colleghi del dottorato lamentavano una carenza di materiale circa i loro argomenti di ricerca, per me il problema sembrava essere l’opposto, consapevole che da quel momento in poi mi sarei dovuta confrontare con una infinita quantità di fonti. E grazie a quello studio lungo e continuo di una gran massa di materiali accademici, scientifici, mediatici, compresi cosa fosse il populismo. Sono giunta alla conclusione che il populismo appartiene ad una categoria di partiti politici a sé; pertanto, non va confuso con i soli partiti di estrema destra, come si è spesso fatto l’errore in Europa. È chiaro e limpido che ci sia una sovrapposizione in molti casi, ma non sono la stessa cosa e sovrapporli non aiuterebbe in nessun modo a comprenderne le caratteristiche, anzi… Mi piace, inoltre, sottolineare che il mio punto di vista è diverso da molti studiosi che fanno ricerche sul populismo. La maggior parte lo studia partendo dall’idea che il populismo sia il male assoluto, io non parto da quell’idea, ma considero il populismo come il riflesso di ciò che sta accadendo nelle nostre società occidentali e, in quanto tale, assolutamente necessario. Solo attraverso il nostro riflesso sarà possibile vedere in modo tangibile ciò che siamo diventati ed acquisire gli strumenti indispensabili per poterci evolvere e migliorare. Inutile chiudere gli occhi, o voltarsi davanti a quel riflesso o ancora criticarlo, discolpandosene. È ovvio che dal 1989, con l’illusione di avere raggiunto quel Mankind di Francis Fukuyama, siamo piombati in un buio ideologico senza precedenti, ma se sapremo accettarlo e comprenderlo, quel riflesso potrebbe essere l’input per un nostro risveglio da quel sonno durato più di trenta anni.

Nel libro lei analizza in particolare il caso italiano e quello tedesco. Perché e quali sono i punti in comune e le differenze prevalenti?

Ci sono tre motivi che hanno fatto ricadere la mia scelta su questi due casi. Il primo nasce da un particolare interesse oltre che affinità personali per i due contesti nazionali in questione. Vivo in Italia dal 1998 e posso dire che l’Italia è il mio paese di adozione, seppure io sia nata in Svizzera, il mio cuore “batte anche italiano”. Poi, ho lavorato tanti anni sulla Germania, analizzandone i diversi momenti storici dal Secondo dopoguerra, passando per il processo di democratizzazione della Germania dell’Est, a seguito della caduta del Muro di Berlino, sino ad arrivare alla situazione odierna. Inoltre, è un paese del quale ho assaporato pienamente la cultura durante il mio percorso Erasmus a Berlino tra il 2014-2015, proprio all’indomani della nascita dell’allora nuovo partito populista tedesco di destra: l’AfD.

Il secondo motivo è quello che segue la logica sartoriana: sappiamo che le comparazioni alle quali sensatamente attendiamo sono tra entità i cui attributi sono in parte condivisi (simili) e in parte non condivisi. Per questo motivo, la scelta è ricaduta su Italia e Germania, paesi diversi per alcuni aspetti; la Germania, parte della cosiddetta Mitteleuropa, rappresenta il crocevia di una duplice tensione centro-periferia, secondo la teoria delle fratture di Stein Rokkan e Seymour M. Lipset (1967): una frattura interna che vede l’ex Germania occidentale come centro e i nuovi Länder dell’Est come periferia e una frattura esterna che riguarda la Germania nella sua integrità nazionale, in qualche modo il centro europeo, parte dei paesi creditori (seppure oggi in recessione) in opposizione ai paesi “poveri” d’Europa, considerate le periferie. L’Italia, rappresenta, invece, il Sud europeo, segna la parte meridionale del confine dell’Europa unita e, affacciandosi direttamente sul mar Mediterraneo, separa l’Europa dal Sud del mondo: il continente africano. Tuttavia, sono anche due paesi che condividono molte caratteristiche: con la fine della Seconda guerra mondiale, in Germania finiva il nazismo e in Italia il fascismo, da quel momento entrambi i paesi erano legati allo stesso destino, ovvero, la realizzazione di un’Europa forte ed unita, erano tutti e due parte dei sei paesi fondatori dell’Unione europea, con i loro rispettivi statisti Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi; in ambedue i contesti nazionali, la Democrazia cristiana risultò essere centrale, in Italia fino all’inizio degli anni Novanta, mentre in Germania continua ancora oggi ad esserlo con il noto partito della Christlich Demokratische Union Deutschlands (CDU/CSU), il quale, con Friedrich Merz, dallo scorso maggio è a capo del governo di Grosse Koalition; inoltre, sia l’Italia che la Germania, seppure in maniera diversa, presentano una tradizionale divisione geo-politica: in Italia Nord-Sud, in Germania Est-Ovest (nel caso tedesco a seguito del processo di riunificazione).

Il terzo motivo, il più ovvio, è quello di aver deciso di studiare il populismo europeo. Per riuscire a darne una esaustiva definizione (cosa che tento di fare nel secondo capitolo del volume) Italia e Germania apparivano essere due casi emblematici, poiché sono oggi due culle di ben cinque fenomeni riconosciuti come populisti europei: due populismi di destra (AfD, Lega), due di sinistra come nel caso italiano dell’odierno Movimento 5 Stelle (M5S) e tedesco di Die Linke (seppure nel corso del libro ci si renda conto che quest’ultimo appaia essere il meno populista tra i cinque casi di partiti presi in considerazione) o addirittura ibridi o rosso-bruni come nel caso del nuovo Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) tedesco. Quest’ultimo verrà, invece, identificato come il modello puro di populismo europeo.

Lei analizza anche quelle che definisce macro-fratture. Di che cosa si tratta?

L’ipotesi dell’intero volume è che il populismo europeo sia causato dalla crisi dello Stato-nazione, da una parte alimentato dal fenomeno della globalizzazione, ma dall’altra generato, anche e soprattutto, dal processo di costruzione europea, che avrebbe inevitabilmente ingigantito e portato all’esasperazione gli effetti della globalizzazione. Creando un nuovo contesto socioeconomico, sia la globalizzazione che l’europeizzazione, sommata a quest’ultimo, avrebbero iniziato a mettere a dura prova l’identità degli Stati-nazionali europei e di conseguenza la democrazia, indissolubilmente legata alla salute degli stessi, e avrebbero dato origine ad un “nuovo cleavage transnazionale”, una frattura che anteporrebbe i “vincitori” ai “vinti” di questo nuovo ordine. In questo inedito contesto, tra l’altro permeato dall’uso dei social media, si è iniziato ad assistere ad uno smarrimento dei cittadini e della figura del politico tradizionale, catapultati in una realtà dagli equilibri completamente cambiati e, poiché sconfinati, spesso imprevedibili. Nel frattempo, le verità oggettive sono diventate secondarie rispetto alla percezione soggettiva della realtà, alle emozioni ed alle convinzioni personali sempre più forgiate dalla diffusione di informazioni, a prescindere dal loro essere essere vere o false e fuorvianti. Il “nuovo cleavage transnazionale” viene così presentato a sua volta come il macro-contenitore delle quattro ipotetiche fratture (politica, culturale, economica e sociale) sulle quali, secondo la tesi del volume, si baserebbero oggi i sistemi partitici europei. Ed è proprio nella presentazione di queste quattro fratture che si trova parte dell’originalità del volume, poiché è attraverso di esse che si giunge all’ambizioso obiettivo di spiegare e collocare il fenomeno populista europeo. Il populismo europeo, sposando l’idea di un ritorno al sistema del passato fondamentalmente legato all’identità nazionale e dunque lontano dall’idea di un mondo globalizzato ed in Europa, europeizzato, pretenderà dar voce ai “vinti” di questo nuovo sistema, a prescindere dal loro essere di destra o di sinistra, adottando inevitabilmente posizioni pertinenti con l’idea di un ritorno alla centralità dello Stato-nazionale.

Quali sono le principali caratteristiche tra il populismo di destra e non di destra che lei analizza?

Mi collego all’ultimo paragrafo della risposta precedente per affrontare questa nuova domanda. L’idea è che tutti i populismi europei siano legati alla dimensione nazionale. Si evidenzia come questo legame si manifesti a livello politico e culturale (atteggiamenti tendenzialmente di esclusione soprattutto nei confronti degli immigrati, a discapito di un atteggiamento di inclusione) nei populismi che sposano ideologie di destra; e a livello politico ed economico (con l’adozione di politiche fortemente protezionistiche, piuttosto che liberiste e legate alla nuova dimensione della globalizzazione) nel caso dei populismi di sinistra. Nel libro si parla, dunque, di un populismo politico-culturale nel caso dei populismi di destra e di populismo politico-economico nel caso dei populismi di sinistra. Il BSW viene presentato come il populismo europeo puro poiché è evidente il forte legame con l’idea di un rafforzamento dello Stato-nazionale in modo trasversale, mischiando posizioni anti-immigrazione sul fronte culturale e protezionistiche sul fronte economico. Un elemento che differenzierebbe i populismi di sinistra da quelli di destra è il tipo di antagonismo, prettamente verticale nei primi, quello di popolo-élite ed orizzontale e verticale nei secondi, dove al tradizionale antagonismo popolo-élite, comune a tutti i populismi, si andrebbe ad aggiungere un antagonismo popolo nazionale-immigrato, costruendone una triangolazione, dove spesso l’élite verrebbe così accusata di difendere maggiormente gli outsider o immigrati a svantaggio del cittadino nazionale. Tuttavia, nonostante tale peculiarità legata all’ideologia di appartenenza, in tutti i casi di populismi europei presi in considerazione è evidente il loro voler dare una risposta alla crisi dello Stato-nazionale, seppur lungo fratture diverse gli uni rispetto agli altri, come appena detto.

Una ulteriore testimonianza della forte relazione tra partiti populisti e contesto nazionale nel quale agiscono sta nel fatto che appare più facile vedere due partiti populisti, della stessa nazione e di diverso orientamento ideologico, adottare simili posizioni, piuttosto che due partiti populisti di uno stesso orientamento, ma di nazioni diverse; non a caso abbiamo una moltiplicazione di gruppi parlamentari europei sul fronte populista di destra. Pensiamo al grande tema del riarmo, e a quanto possano apparire simili le posizioni del M5S di Conte e della Lega di Salvini, seppure risultino di ideologie tradizionalmente opposte in riferimento alla sola e classica dicotomia destra-sinistra. Possiamo dunque parlare, in tal senso, di una sovrapposizione, oggi, di due polarità, di una tradizionale opposizione destra-sinistra alla quale siamo sempre stati abituati a ragionare a livello nazionale, e che continua ad esistere, e di una nuova dualità, “vincitori”-“vinti” o “sistema”-“antisistema”, prettamente legata alla dimensione sovranazionale. L’errore che fanno, oggi, molti partiti tradizionali o mainstream è quella di continuare a giocare solamente sulla tradizionale dicotomia destra-sinistra, sottovalutando o facendo finta di non vedere quella nuova. Quest’ultima si è infatti venuta a creare trasversalmente in Europa (e non solo), interferendo inevitabilmente con i vari contesti nazionali ed è assolutamente necessario prenderla in considerazione se si pretende voler fare politica in questa nuova dimensione mondiale.

Resta un’ultima fondamentale domanda: l’Europa può uscire dal populismo vigente e dalla crisi dello Stato-nazione oppure è destinata a svolgere un ruolo sempre più marginale nel mondo? In sostanza, quale futuro ci aspetta?

Tante sono le sfide in Europa: come far fronte alla terribile centralità del ritorno della guerra e, soprattutto, della comparsa di un nuovo modello di guerra “ibrida”? Come regolamentare e gestire la presenza dell’intelligenza artificiale, trasformandola unicamente in un’arma positiva e non distruttiva? Come comportarsi di fronte al crescente uso dei social media e alla circolazione di fake news? Come affrontare i cambiamenti climatici e, soprattutto, come far accettare il nuovo mercato delle energie rinnovabili alle persone più disagiate, sulle quali inevitabilmente grava, nell’immediato, il peso economico della transizione ecologica, per quanto assolutamente necessaria? E la questione dell’immigrazione: come pensiamo di affrontarla in modo coeso tra ventisette Stati che hanno storia, lingua, governi, posizioni geografiche ed interessi diversi? Tutte sfide alle quali non si può più pensare di dare una risposta prettamente nazionale. Viviamo in un mondo troppo interconnesso, fortemente intrecciato e globalizzato.

Dobbiamo ripartire proprio dall’Ue, è d’obbligo, oggigiorno, costruirne una versione forte e credibile, passando dall’accettazione di ciascun cittadino europeo dell’essere entrati in una nuova era, o quella che Scholz definì non tanto tempo fa “una svolta epocale”. Le democrazie occidentali devono rimettersi in discussione facendo i conti con l’idea di un superamento dei confini nazionali. Il futuro dipenderà da questi due fattori. Possiamo svolgere un ruolo centrale oppure marginale, ma bisogna svegliarsi, riconoscere, cogliere la crisi ed affrontarla, non serve lamentarsi e basta. Il piano di Mario Draghi per l’Europa era un grido di aiuto. Il populismo è solo il sintomo di un malessere delle nostre democrazie, chi vota populismo grida aiuto. In tal senso, dobbiamo riconoscere che il populismo ha saputo dar voce a quelle grida di sofferenza, di frustrazione, di annichilimento di una grande fetta della società impoverita dal quindicennio di poli-crisi, sul cui impatto mi dilungo molto all’interno del volume. Non serve condannare e basta, non serve distruggere e criticare per averla vinta, è un momento storico in cui serve prendere coscienza della nuova dimensione in cui viviamo, che non è più legata solamente all’identità nazionale, ed agire di conseguenza, elaborando alternative, edificando nuove identità “positive”, e cercando “ponti” senza scavare, invece, vortici. È anche verso questa direzione che la sinistra in Europa deve avviarsi se vuole riprendersi definitivamente un ruolo di rilievo nella nuova società; e qui torno alla prima risposta data in questa intervista: inutile voltare le spalle a quel nostro riflesso nello specchio, è ora di accettarlo, accudirlo, ed agire in un’ottica costruttiva e di fiducia: questo è quello che cerco sempre di trasmettere ai miei giovani studenti, loro sono l’avvenire e non devono arrendersi alla negatività di un presunto futuro già tracciato e di conflitto, ma lavorare per un futuro insperato e pieno di amore.

*Marco Omizzolo, sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes.

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