Da Napoli a Gioia Tauro, via alle Zone Speciali per far decollare il Sud

È un acronimo che sa di esotico, sconosciuto alla stragrande maggioranza degli italiani. ZES, ovvero Zone Economiche Speciali, aree geograficamente limitate, con un regime amministrativo, economico e fiscale di favore. La loro fioritura è decisiva per il decollo di molti poli del nostro Mezzogiorno, ma non solo. E, una volta tanto, il nostro Governo ha battuto sul tempo tutti gli altri: siamo il primo Paese dell’Europa comunitaria, e in assoluto dell’Europa Occidentale, ad averle introdotte, con due decreti della Presidenza del Consiglio firmati l’11 maggio scorso, che interessano aree portuali e retroportuali di Calabria e Campania, Gioia Tauro e Napoli in testa. Di ZES parliamo con la più alta autorità nazionale e addirittura una delle più importanti a livello internazionale in materia, l’avvocato Maurizio D’Amico, Segretario Generale dell’Advisory Board della Femoza, la Federazione Mondiale delle Zone Franche e delle Zone Economiche Speciali, con sede a Ginevra.

Avvocato D’Amico, che cosa sono, in poche parole, le ZES?
Aree con un’estensione generalmente maggiore di una Zona Franca doganale, nelle quali vigono leggi più liberali di quelle del paese ospitante. Godono di un particolare regime doganale (se all’interno del loro perimetro sono istituite con norme statali zone franche doganali), di esenzioni fiscali, agevolazioni amministrative e anche infrastrutturali, nonché di prestazione di servizi a favore delle imprese. Al mondo, è la Cina il paese di gran lunga leader nelle ZES. Dobbiamo considerare che ormai più del 25 per cento del commercio mondiale si svolge attraverso Zone Speciali intese in senso lato.

Ma legalizzarle, in Italia e in Europa, non costituisce una violazione della concorrenza, un aiuto di Stato?
No. Intanto, fra tutte le agevolazioni previste nelle ZES, la questione può essere sollevata solo su quelle fiscali. Ma il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, all’articolo 107 le rende possibili, per esempio quando siano finalizzate «a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita è anormalmente basso o si registra una grave forma di sottoccupazione». Paesi come la Polonia, la Lituania, la Lettonia sono stati fortemente aiutati da queste deroghe. La Polonia, in particolare, è riuscita ad ottenere l’autorizzazione a mantenere tale tipologia di agevolazioni fino al 2026 per 14 zone economiche speciali.

In Italia sono in condizione di ritardo economico le aree del Mezzogiorno. Ma come si è arrivati a varare le ZES?
Sono rimasto sorpreso dalla velocità dell’intervento. Dalle prime riunioni tecniche del 2016, alle quali ho partecipato a Palazzo Chigi, in meno di due anni sì è giunti alla legge n.123/2017, contenente “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno” e, adesso, ai due primi decreti attuativi della Presidenza del Consiglio, che riguardano Calabria e Campania. Verranno poi interessate le altre Regioni del Sud, e anche l’Abruzzo e il Molise, definite Regioni in transizione.

Quali sono le ZES prescelte per Campania e Calabria?
La condizione era che le ZES comprendessero almeno un’area portuale, collegata alla rete transeuropea dei trasporti. Oltre alle aree portuali, quelle retroportuali, anche di carattere produttivo, gli aeroporti e gli interporti. Non possono invece essere comprese le aree residenziali. Da Napoli a Salerno, da Battipaglia a Castellammare di Stabia e, naturalmente, a Gioia Tauro. Ogni Regione ha un limite massimo di superficie in ettari, dove poter inserire le ZES.

Ma in che cosa consistono le agevolazioni approvate? E sono adeguate?
Accanto alle procedure semplificate e a regimi procedimentali speciali, alle agevolazioni infrastrutturali, dal punto di vista fiscale è previsto il credito di imposta, accordato a chi investe nella zona, in relazione al costo dei beni strumentali acquistati fino al 31 dicembre 2020 per progetti, ciascuno, fino a 50 milioni di euro. È già qualcosa, ma per aumentare in quelle aree la capacità di attrazione degli investimenti diretti esteri, sarebbe stato auspicabile introdurre incentivi fiscali ancor più marcati: non crediti, che impongono un pagamento anticipato e prevedono poi una restituzione cronologicamente dilazionata, ma agevolazioni ed esenzioni vere e proprie. D’altra parte, il nuovo bilancio pluriennale dell’Unione, 2021-2027, imporrà modifiche e magari sarà l’occasione per intervenire nuovamente sul piano normativo.

A proposito di porti, è un autentico paradosso che il 40 per cento delle navi che attraversano Suez preferiscano Rotterdam ai più vicini scali italiani. Perdiamo milioni di contributi e di fatturato ogni anno.  Con le ZES qualcosa potrà cambiare?
L’obiettivo è proprio questo: creare quelle infrastrutture, quei collegamenti stradali, autostradali, ferroviari, quelle piattaforme logistiche che rendano competitivi i nostri porti. La Cina, dicevo, è nettamente il paese guida, e nel 2013 ha varato il progetto One Belt One Road, anche noto coma “Nuova Via della Seta” che attraverso una rete di infrastrutture di trasporto e di comunicazione influenzerà i flussi commerciali, finanziari e culturali tra l’Europa e l’Estremo Oriente per almeno i prossimi cinquant’anni: dobbiamo assolutamente essere della partita. Lo scorso anno il premier Gentiloni ha indicato alle autorità cinesi, in occasione dell’OBOR Summit di Pechino, i porti di Trieste, Venezia e Genova, in nessuno dei quali sono attualmente presenti agevolazioni assimilabili a quelle previste nelle ZES, con la sola eccezione delle agevolazioni doganali a vantaggio del porto franco friulano. Considerato che la maggior parte delle merci originarie dall’Estremo Oriente sono prodotte o provengono da ZES, per fare in modo che a destinazione trovino analoghi regimi con agevolazioni business oriented, forse sarebbe il caso di correre ai ripari perché i cinesi ci mettono poco a cambiare strada, e occorrerebbe fare in modo di coinvolgere nel progetto anche i porti meridionali.

Ma non è una follia aver perso tanti anni, anzi lustri, decenni, segnando così l’arretramento del Mezzogiorno?
Certo che lo è, e speriamo adesso in un recupero di attenzione, di interventi, di efficienza, che deve coinvolgere le Regioni meridionali. Ma dico di più: il nuovo Governo, quando potrà finalmente diventare operativo, dovrà utilizzare le ZES secondo una loro ulteriore funzione già sperimentata con successo all’estero, ossia come una sorta di laboratori sperimentali di politiche innovative in campo economico, finanziario e commerciale, per esempio agevolando il mercato del lavoro, attirando investimenti per insediamenti industriali ecosostenibili, come tali più costosi, ecc. E, una volta tarati gli interventi, estenderli al resto del Paese. Insomma, sembrano questi gli àmbiti ideali per realizzare la concertazione fra la politica ed il mercato.

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