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I consumi delle famiglie, metà degli italiani rinuncia a spese necessarie e svaghi

di
redazione

La dinamica dei consumi rappresenta uno dei termometri più sensibili del benessere reale delle famiglie, ma anche della loro fiducia nel futuro. Nel corso dell’ultimo anno, in un contesto economico caratterizzato da segnali contraddittori come l’inflazione in rallentamento, redditi in lenta ripresa e persistente incertezza geopolitica, le famiglie italiane hanno mostrato una cautela crescente nelle scelte di spesa, influenzate sia dal peso accumulato durante le recenti crisi, sia dalle aspettative ancora fragili per il futuro. La riduzione dell’inflazione, pur rilevante sul piano macroeconomico, non ha ancora prodotto un miglioramento percepito nei bilanci familiari, in parte a causa del permanere di prezzi elevati per beni e servizi essenziali, in particolare nei settori alimentare, abitativo ed energetico. A ciò si aggiungono fattori di natura psicologica e comportamentale, come il bisogno diffuso di contenere le spese, evitare imprevisti e posticipare consumi non indispensabili, che si traducono in strategie di rinuncia, ridimensionamento e, in molti casi, nell’adozione di pratiche alternative di pagamento.

L’84% del campione ha dichiarato di aver osservato un incremento dei prezzi al consumo

Il Rapporto Italia 2025 ha esplorato non solo il livello di consumo ma anche le strategie di adattamento messe in atto dalle famiglie italiane, con particolare attenzione alle aree più critiche: rinunce, compressione della spesa, ricorso al credito e impatto delle nuove modalità di acquisto. Alla domanda sulla percezione dell’andamento dei prezzi in Italia nell’ultimo anno, quasi la totalità del campione (84,1%) ha dichiarato di aver osservato un incremento, seppur con differente intensità: per il 48,3% i prezzi sono molto aumentati, mentre per il 35,8% si tratta di un aumento più contenuto. Solo una quota marginale di intervistati ritiene che i prezzi siano rimasti invariati (12,2%) o diminuiti (3,7%). Guardando ai dati per area geografica emergono alcune differenze: nel Sud e nel Nord-Ovest si registra la quota più alta di intervistati che ritengono i prezzi molto aumentati (rispettivamente 53,1% e 53%), seguiti dal Centro (46,5%). Il Nord-Est si distingue per una percezione più sfumata dell’aumento (41%), suggerendo una lieve propensione a valutazioni meno drastiche rispetto al resto del Paese. Le risposte che indicano una stabilità dei prezzi si distribuiscono in modo relativamente omogeneo, oscillando tra il 9,1% del Nord-Ovest e il 14% del Sud. Nelle Isole si registra la percentuale più alta di quanti hanno avvertito una diminuzione dei prezzi (10,9%) in totale; un dato nettamente superiore alla media del resto d’Italia.

Nei piccoli comuni è più alta la quota di chi ritiene che i prezzi siano molto aumentati, meno nei centri medi e grandi 

Per dimensione del comune di residenza, si evidenzia una sensazione ampiamente condivisa di aumento generalizzato del costo della vita, con alcune variazioni interessanti in base al contesto urbano. In tutti i comuni, indipendentemente dalla dimensione, oltre otto cittadini su dieci dichiarano che i prezzi sono aumentati. Tuttavia, si osservano alcune differenze nell’intensità del giudizio: nei piccoli comuni è più alta la quota di chi ritiene che i prezzi siano molto aumentati (51,7%), mentre nei centri medi e grandi questa percentuale scende rispettivamente al 47,6% e 47,1%, compensata da una maggiore incidenza della risposta “un po’ aumentati”. Questa distribuzione suggerisce una maggiore radicalizzazione del disagio sentito nei contesti più piccoli, dove l’effetto dei rincari potrebbe essere avvertito con maggiore impatto, anche per la minore disponibilità di alternative competitive nei consumi quotidiani.

Il 45,3% di chi ne aveva necessità ha rinunciato alla badante, mentre il 40,2% ha ridotto le spese per estetista, parrucchiere o articoli di profumeria

L’indagine Eurispes ha interrogato il campione sulle strategie e i comportamenti messi in atto per riuscire a contenere le spese. Il comportamento più diffuso è stato il rinvio di uno o più acquisti necessari, indicato dal 59,5% degli intervistati, segue la rinuncia alla babysitter, tra coloro che ne avevano bisogno, con una quota del 54%, e la riduzione delle uscite (ristorante, pizzeria, locali), segnalata dal 50,1%, e una percentuale analoga (50%) ha dichiarato di aver ridotto viaggi o vacanze. Il 45,3% di chi ne aveva necessità ha riferito di aver rinunciato alla badante, mentre il 40,2% ha ridotto le spese per estetista, parrucchiere o articoli di profumeria. Il 38,2% ha rimandato lavori o ristrutturazioni in casa, il 37,5% ha dichiarato di aver pagato in nero alcuni servizi (tra cui ripetizioni, riparazioni, assistenza domestica, medici, ecc.) e poco meno (37,2%) sono quanti hanno rinunciato ad altre forme di aiuto domestico, come il personale per le pulizie o il giardiniere. La scelta meno adottata è stata il noleggio di abiti o accessori in occasione di cerimonie, indicata dal 14,5% del campione. Nel complesso, più della metà degli italiani si è trovato costretto a fare rinunce anche per spese necessarie (acquisti di cui aveva bisogno, badante). La metà ha sacrificato gli svaghi (viaggi, vacanze, uscite).

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