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I nuovi fondamentali e il cambiamento italiano

di
Alberto Mattiacci*

I fondamentali sono importanti: stanno a fondamento di qualcos’altro; sono il quid su cui tutto si regge e innalza. Sono il punto di connessione stabile fra una base e la naturale, insopprimibile, tensione umana a far leva e protendersi verso l’alto. Un esempio per tutti: lo sport. Lì i fondamentali sono quelle abilità tecniche di base che consentono l’esercizio della pratica sportiva a un livello minimo accettabile. Si apprendono e, quando finalmente assorbiti in gesti spontanei, potenziano i talenti o surrogano le mancanze. Vi sono, poi, fondamentali in economia (se non rispettati, si fallisce), nella musica (l’improvvisazione si può avere solo se si è solidi nei fondamentali), in matematica (le basi logico-formali che gli consentono di eseguire questa particolare forma di pensiero).

L’arte umana del vivere ha saputo dunque individuare dei fondamentali in ogni attività e proprio su di loro ha fondato intere strutture

  • sui fondamentali si basano i programmi educativi e formativi, ispirando la visione delle discipline scientifiche e le regole del loro progredire attraverso la ricerca;
  • sui fondamentali si basano le professioni, le pratiche di base che ciascun mestierante, in ogni campo, deve acquisire e dominare;
  • sui fondamentali è costruita ogni abilità, che proprio a partire da essi si sviluppa e ramifica, cercando sempre di superarli in performance;
  • sui fondamentali poggia il patto sociale, il sistema di pensiero che organizza una civiltà e dalla cui qualità ne deriva il successo o meno.

La tesi è che tanto dello smarrimento nei confronti del futuro oggi nasca sia dal riemergere che dalla messa in discussione dei fondamentali

Oggi (come ieri), la contaminazione profonda fra i popoli è all’opera su molti fondamentali, per cambiarli o sostituirli con altri, più aderenti al corpaccione pingue della contemporaneità occidentale – che inizia a patire qualche difetto di postura e un certo inflaccidirsi dei muscoli. Immersi nel vortice dell’illusione forse abbiamo confuso i percorsi di cambiamento con i loro motori e il risultato è percepire un certo senso di indeterminatezza, anche nei fondamentali. Pensiamo al lavoro – un tempo elemento centrale dell’identità individuale e collettiva – e alla famiglia – un tempo cellula basilare della società. La tesi è che tanto dello smarrimento che oggi si registra nei confronti del futuro, in particolare nelle generazioni più mature, nasca sia dal riemergere che dalla messa in discussione dei fondamentali.

I fondamentali riemersi: difesa, demografia, debito pubblico

I fondamentali riemersi: alcuni sono tornati di stretta attualità e rilevanza in questo primo quarto di secolo, “grazie” ad accadimenti shock (es. la guerra in Europa) o a nuove consapevolezze (es. l’invecchiamento della popolazione). Oggi, fuori dal vortice, ne capiamo finalmente il senso profondo e perciò ne vediamo l’impatto potenzialmente negativo sul nostro futuro.

Ne bastano tre per dare il senso dell’idea:

  • la demografia significa mettere l’Uomo al centro dei processi economici, sociali e politici. Calo della popolazione, invecchiamento, denatalità, immigrazione ed emigrazione, sono parole che, compiuto quel movimento lì, acquistano senso economico (es. la spesa pensionistica sarà sostenibile?) e politico (es. come contrastare la fuga dei cervelli?);
  • la difesa significa prendere atto che l’Uomo sa anche essere aggressivo, al di là delle apparenti convenienze economiche (come Putin insegna) e che una collettività saggiamente governata deve anche essere in grado di presentarsi con un profilo di forza che funga da deterrente verso cattive intenzioni. Improvvisamente, scopriamo di essere vulnerabili, disarmati, aggredibili;
  • il debito pubblico esprime il grado di libertà di una collettività nel decidere del proprio futuro. Il bilancio dello Stato è infatti uno strumento attraverso il quale si costruisce e nutre il patto sociale e avere margini di discrezionalità nella spesa pubblica è la conditio sine qua non del confronto fra parti. Facciamo finta di non vedere che nessuna parte politica sarà mai in grado di cambiare davvero il Paese, perché deprivata delle leve operative per farlo.

I fondamentali in discussione

Una collettività si regge anche sul fatto di dare per scontate delle scelte, perlomeno pro tempore e per un tempo non breve. Quando queste invece entrano nella disponibilità dell’opinabile, nell’assoluto relativismo, nel “vale tutto”, si rischia di perdere il punto nave e, soprattutto, la linea di rotta, con effetti non positivi e, soprattutto, imponderabili. Vediamone un paio a titolo di esempio: 

– la famiglia significa definire la forma standard dell’organizzazione delle persone all’interno dell’architettura sociale. Le forme tradizionali erano semplici: assegnavano in via esclusiva la funzione riproduttiva all’unione, ufficializzata e non scindibile, fra un uomo e una donna. Quel modello è stato progressivamente smantellato dal mutamento sociale e non sostituito da uno standard di pari forza strutturante, bensì da un ventaglio di soluzioni relative e parziali. Quanto il calo demografico dell’Occidente, ad esempio, dipenda da questo fatto è ignoto ma non pare improbabile che vi sia un qualche legame;

– la democrazia liberale che è sorta dalle ceneri dei totalitarismi del Novecento è quel sistema politico che unisce i princìpi della democrazia – elezioni libere, partecipazione e rappresentanza dei cittadini – con la tutela dei diritti fondamentali e delle libertà individuali, garantita da istituzioni indipendenti e da un solido stato di diritto. È in pericolo, perché in discussione: sarebbe inefficiente, lenta, farraginosa; ma anche il principio del voto universale è messo sotto accusa. Forse farebbe bene a tutti leggere Come sfasciare un paese in sette mosse la cui autrice, Ece Temelkuran, vive in esilio dalla Turchia, formalmente democratica ma – e mi fermo qui.

Non è l’idea di futuro ad essere in crisi nelle persone, quanto piuttosto la collocazione dell’individuo rispetto al dinamismo dei fondamentali

Vista da questa prospettiva, perciò, non è tanto l’idea di futuro ad essere in crisi nelle persone, in particolare del mondo Occidentale – come molti autorevoli osservatori oggi sostengono – quanto piuttosto la collocazione dell’individuo rispetto al dinamismo dei fondamentali. In più, e oltre, l’individuo non trova più la collocazione spaziale giusta rispetto alla sorgente del cambiamento: patisce uno spiazzamento laterale rispetto al luogo dove accadono le cose, che lo separa, genera distanza e dunque quel senso di inferiorità, incomprensione e inadeguatezza che fa sentire esclusi e finiti. Quante volte sentiamo dire: “io ormai sono vecchio”, “noi di un’altra generazione ormai …”, “un tempo funzionava così ma ormai…”. “Ormai” is the new black dei nuovi apocalittici à la Umberto Eco, insomma.  Immersi nel vortice dell’illusione, molti non percepiscono più con entrambi i piedi le basi del vivere su cui li hanno sempre poggiati, fiduciosi; altri osservano e non mettono a fuoco la realtà: gli uni e gli altri, smarriti (e disillusi), si chiamano fuori.

*Alberto Mattiacci, Presidente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.

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