Lo smart working nella pubblica amministrazione è uno dei “temi caldi” del dibattito amministrativo e organizzativo nel contesto ordinamentale italiano, soprattutto alla luce delle strategie di implementazione attuate dopo l’ondata pandemica e, al contempo, alle valutazioni di alcune multinazionali che, in controtendenza rispetto al mondo pubblico, stanno facendo marcia indietro sul tema. Tuttavia non è possibile inquadrare il fenomeno solo dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, intendendolo come una modalità alternativa di lavoro al presenza fisica in ufficio, non è più, dunque, una semplice strategia aziendale di flessibilità organizzativa ma va considerato, come sottolinea parte della letteratura, anche come strumento di politica territoriale, capace di favorire il ripopolamento delle aree montane e interne.
Declino demografico, perdita di servizi e diminuzione delle opportunità economiche delle aree montane e interne
Negli ultimi anni si è assistito a una crescente attenzione verso i fenomeni di spopolamento[1] delle aree montane e interne[2] in Italia, con conseguente declino demografico, perdita di servizi e diminuzione delle opportunità economiche. Il Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne attua una sorta di “zonizzazione” dividendo i territori in quattro categorie, in relazione alla loro capacità di contrastare o meno lo spopolamento. Le ultime proiezioni ISTAT confermano un dato preoccupante e, per certi versi, angoscioso: entro il 2043, si prevede che oltre l’82% dei comuni delle aree interne perderà popolazione. In questo scenario spesso fatto di misure sovrapposte tra vari programmi nazionali e comunitari, emerge la novità rappresentata dalla Legge 12 settembre 2025, n. 131 rubricata “Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane”, in cui ha particolare importanza la tematica dello smart working.
Lo smart working emerge oggi come possibile leva di rigenerazione territoriale
Lo smart working, inizialmente promosso come misura di lavoro agile per migliorare l’equilibrio vita-lavoro e ottimizzare tempi di spostamento, emerge oggi come possibile leva di rigenerazione territoriale. Ma in che modo lo smart working può integrarsi con una serie di politiche pubbliche per diventare uno strumento efficace di ripopolamento nelle zone montane? La Legge 12 settembre 2025, n. 131 introduce incentivi per imprese e lavoratori che scelgono modalità di lavoro agile nei comuni montani, con sgravio contributivo variabile nel tempo.
L’incentivo ha carattere progressivo ed è articolato su un periodo di cinque anni:
- per gli anni 2026 e 2027: l’esonero è totale (100%), fino a un limite massimo di 8.000 euro all’anno per lavoratore;
- per gli anni 2028 e 2029: l’esonero si riduce al 50%, fino al limite massimo di 4.000 euro all’anno;
- per l’anno 2030: l’esonero scende al 20%, con un limite di 1.600 euro all’anno.
Per poter usufruire dell’esonero, le imprese devono farsi promotrici dello strumento del lavoro agile come modalità ordinaria e i lavoratori devono soddisfare tutte le seguenti condizioni:
- Avere un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato;
- Non aver compiuto 41 annialla data di entrata in vigore della legge;
- Svolgere stabilmente la prestazione in modalità di lavoro agile;
- Lavorare e risiedere in un comune montano con meno di 5.000 abitanti;
- Aver trasferito la propria abitazione principale e domicilioda un comune non montano a quello montano in cui si lavora.
Queste misure rappresentano un punto di svolta perché legano l’occupazione flessibile a incentivi strutturali, non solo temporanei, inseriti in una cornice normativa nazionale.
Certamente lo smart working da solo non basta, serve un sistema integrato con altri strumenti e politiche che giocano un ruolo chiave
La misura, nel contesto normativo attuale, appare particolarmente interessante soprattutto perché ribalta un paradigma (legato solo alla presenza di incentivi fiscali a tutela delle zone montane) ma immagina un nuovo regionalismo basato sulla organizzazione dei servizi sui territori più svantaggiati e lo fa anche attraverso una policy legata alla maggiore attrattività delle zone montane con nuovi insediamenti lavorativi rivolti a smart workers o a nomadi digitali. Certamente lo smart working da solo non basta, serve un sistema integrato con altri strumenti e politiche che giocano un ruolo chiave, già in atto o proposte, che completano il quadro, come illustrato nella tabella.
| Politica / Misura | Descrizione | Benefici attesi |
| Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) | Coinvolge decine di aree montane e interne, con programmi specifici per servizi essenziali (istruzione, salute, mobilità), incentivi per imprese locali, sviluppo di circuiti attrattivi per la qualità della vita. | Migliore accesso ai servizi, rallentamento del declino demografico, maggiore attrattività residenziale. |
| Investimenti regionali dedicati | Es. la Regione Emilia-Romagna ha stanziato 100 milioni di euro per intervenire su servizi, infrastrutture, attrattività nelle aree interne e montane del suo territorio. | Miglioramento della qualità di vita, nuove opportunità occupazionali, rafforzamento delle comunità locali. |
| Legge sulla Montagna & finanziamenti nazionali per servizi | Con fondi per Comuni montani destinati a garantire e potenziare scuole, trasporto locale, accesso ai servizi sanitari, infrastrutture fisiche (strade) e digitali. | Riduzione delle disuguaglianze territoriali, consolidamento dei presidi territoriali. |
| Agevolazioni fiscali / contributive | Iniziative che prevedono sgravi per imprese che operano in zone montane; incentivi per chi si trasferisce nei territori; bonus per la natalità nei comuni con popolazione molto ridotta. Es.: misure per nuclei familiari, contributi per l’acquisto o ristrutturazione di prime case. | Incentivare la residenzialità stabile, attrarre famiglie giovani, stimolare domanda immobiliare e attività economiche locali. |
| Interventi su istruzione e contrasto alla dispersione scolastica | Programmi specifici per garantire scuole funzionanti, classi pluriclasse, docenti e ATA incentivate. L’emendamento presentato assicura risorse aggiuntive per combattere la dispersione in montagna. | Migliore mantenimento della popolazione giovanile, riduzione dell’esodo verso centri urbani, maggiore equità educativa. |
| Innovazione, formazione e ricerca locale | Es: living labs per la montagna che promuovono ricerca applicata, supporto alle istituzioni locali, trasferimento di tecnologia, formazione. | Sviluppo di capacità locali, nuove imprese tecnologiche o green, occupazione qualificata. |
| Iniziativa Leader e Gruppi di Azione Locale | L’iniziativa Leader, gestita dai Gruppi di Azione Locale (GAL), è un approccio di sviluppo rurale partecipativo che promuove la crescita socio-economica delle aree rurali attraverso la collaborazione tra il pubblico e il privato e la gestione di fondi europei. I GAL definiscono una Strategia di Sviluppo Locale (SSL) su misura per il loro territorio, identificando punti di forza e debolezza per realizzare progetti che rispondano ai bisogni reali degli abitanti e sostengano settori come l’agricoltura, il turismo, l’artigianato e i servizi. | Integrazione e politiche di animazione territoriale e di sviluppo rurale con logica multilevel (Commissione UE-Stato-Regioni-Comuni e Privati) |
Analizzando le misure esistenti e quelle potenziali, emergono alcuni modelli e interazioni efficaci:
- Residenza lavorativa permanente o quasi permanente: lo smart working[3] potrà essere stabilmente usato come modalità prevalente, non come ripiego. Implica trasferimento della residenza nei territori montani, che può essere incentivato (bonus casa, sgravi fiscali, etc).
- Hub ibridi locali / coworking rurale: creazione di spazi professionali condivisi che consentano connessione, infrastruttura tecnica, interazione sociale, formazione. Questi hub possono fungere da punto di attrazione per lavoratori da remoto, startup, freelance, nomadi digitali, ciò consentirebbe anche di implementare una rete turistica e ricettiva nuova, vocata alla ospitalità di questo tipo di lavoratori.
- Mobilità e connessioni fisiche e digitali: oltre alla connettività digitale, è essenziale garantire la mobilità: trasporto pubblico locale, manutenzione stradale, collegamenti con centri maggiori per accesso ai servizi, soprattutto immaginando lo sviluppo ferroviario di certe zone del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno.
- Servizi essenziali localizzati: scuola, sanità, servizi amministrativi. Se chi vive in montagna non ha accesso a scuola di buona qualità, medico, farmacia, trasporto, il vantaggio dello smart working si riduce drasticamente. La sfida della politica e dell’amministrazione, nel futuro prossimo, sarà chiaramente l’organizzazione dei servizi sui territori, soprattutto dei territori più svantaggiati.
- Incentivi demografici: bonus natalità, sostegno alle famiglie, contributi per persone che trasferiscono la residenza, incentivi per imprese locali, per agricoltura di montagna, turismo eco‐sostenibile.
- Governance locale forte e partecipativa: coinvolgimento dei comuni, delle comunità montane, delle associazioni locali, per progettare interventi che rispondano ai bisogni reali; uso della partecipazione per monitoraggio e adattamento delle politiche.
Le potenzialità sono enormi e sono la dimostrazione che lo spopolamento delle aree interne non si combatte con i muri, ma con le persone, e non solo con case ristrutturate e agevolazioni senza identità, ma con scuole, ospedali, trasporti, lavoro e attività ricreative e culturali.
Nonostante l’apparente potenziale, permangono ostacoli importanti:
- Infrastrutture digitali inadeguate o assenti: molte zone montane non dispongono di banda larga o connessione stabile, rendendo difficile lo smart working.
- Carenza di servizi essenziali: scuole, medici, trasporti; la loro assenza indebolisce l’attrattività residenziale.
- Vincoli demografici e culturali: il ritorno o la scelta di vivere in aree isolate richiede cambiamenti non solo materiali ma anche culturali (accesso, mentalità, abitudini).
- Sostenibilità economica: gli incentivi devono essere sufficientemente duraturi e non solo temporanei; le imprese devono trovare un’economia locale che supporti redditi adeguati.
- Rischio di marginalizzazione digitale: la digitalizzazione può esacerbare disuguaglianze se alcuni territori restano tagliati fuori o se non si prestano attenzioni a inclusività digitale.
Mettendo a sistema smart working e politiche territoriali integrate si può generare un circolo virtuoso
Mettendo a sistema smart working e politiche territoriali integrate si può generare un circolo virtuoso: lo smart working attira persone, che richiedono servizi locali; questi servizi diventano sostenibili economicamente grazie a una popolazione più stabile; l’economia locale si rafforza, generando opportunità occupazionali; il territorio diventa attrattivo per altri, generando ulteriore ripopolamento. Tuttavia, per fare ciò serve che le politiche siano coerenti nel tempo e finanziate adeguatamente; calibrate sulle diversità territoriali (altitudine, accessibilità, vocazione ambientale/economica); partecipative, con soggetti locali che abbiano voce e ruolo e valutate con indicatori di lungo periodo (popolazione, natalità, numero di famiglie che si trasferiscono, livello di servizi, qualità della vita percepita).
smart working, incentivi economici, servizi, infrastrutture, educazione e governance devono essere parte di una visione strategica unitaria
Il paradigma dello smart working come misura di lavoro flessibile ha superato i confini organizzativi e oggi si configura come un potente strumento di politica territoriale, se inserito in un quadro di politiche integrate per il ripopolamento delle aree montane. L’Italia, con la “legge Montagna 2025”, la Strategia Nazionale Aree Interne, le politiche regionali, dispone già di un ecosistema normativo promettente. Si accoglie, dunque, con enorme favore la norma del 2025 sperando che sia solo un piccolo primo passo per uno sviluppo concreto e più integrato possibile. Il successo delle successive iniziative richiederà che le misure non restino isolate: smart working, incentivi economici, servizi, infrastrutture, educazione e governance devono essere parte di una visione strategica unitaria. Solo così le terre alte potranno tornare non solo a essere abitate, ma vissute come luoghi di opportunità e benessere.
[1] Sul punto da consultare G. Macchi Jánica, A.A. Palumbo, Introduzione, in Iid. (a cura di), Territori spezzati. Spopolamento e abbandono nelle aree interne dell’Italia contemporanea, Roma, 2019, 9: «Ciò che è inteso sommariamente come ‘abbandono’, risulta essere un processo storico-geografico di longe dureé che inizia con la crisi agraria degli anni Ottanta dell’Ottocento e che, dall’ultimo dopoguerra, aumenta progressivamente la velocità e la portata, fino a generalizzarsi e capillarizzarsi, investendo anche quelle aree piano-collinari non interessate dalla crescita urbana e dalle attività terziarie. L’abbandono degli spazi agricoli e di altre aree produttive, con lo spopolamento degli insediamenti di riferimento, si presenta oggi come un fenomeno assodato, in grado di alterare le condizioni sociali, economiche e culturali dell’intero stivale e mostra, in organica relazione con i movimenti di scala globale, forti squilibri e scompensi territoriali segno di una vera e propria nuova stratificazione spaziale».
[2] Si cita testualmente la Strategia nazionale per le Aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance, 9: «il processo di marginalizzazione non ha interessato le Aree interne in modo omogeneo, tanto che in alcuni territori si può osservare che: a) la popolazione è rimasta stabile o è cresciuta); b) le risorse ambientali e culturali sono state oggetto di progetti di valorizzazione; c) sono state realizzate forme di cooperazione tra comuni per la produzione di alcuni servizi di base. Si tratta di fattori che, presumibilmente, segnalano anche la presenza di buone capacità di governo da parte delle comunità locali».
[3] Dalla “Lettera Aperta al Governo e al Parlamento” dei Vescovi delle Aree Interne (CEI) «s’incoraggi il controesodo con incentivi economici e riduzione delle imposte, soluzioni di smart working e co working, innovazione agricola, turismo sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, piani specifici di trasporto, recupero dei borghi abbandonati, co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità, telemedicina».

