Pubblichiamo l’intervista a Stefano Da Empoli, Presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)
Professore, quanto impatta l’Intelligenza Artificiale generativa nell’àmbito della salute?
Credo che la salute sia uno degli àmbiti di maggiore importanza per questo tipo di tecnologia. L’elemento a mio avviso di partenza è però un uso consapevole ed eticamente responsabile dell’Intelligenza Artificiale nella sanità. I benefici riguardano sia i pazienti, con i loro bisogni di cura sia il Sistema Sanitario e i suoi collaboratori, con la sua necessità di garantire assistenza e prestazioni all’altezza. Si può rendere più efficiente, più veloce e più rispondente l’interfaccia tra il Sistema Sanitario e i singoli cittadini. Ma occorre sempre partire dal presupposto che questi tool non possono sostituire il rapporto tra i medici (e gli altri professionisti della sanità) e i pazienti bensì devono essere soprattutto indirizzati a coadiuvarlo.
Quali sono le applicazioni principali dell’IA generativa in sanità?
Per i pazienti la possibilità di “orientarsi” preliminarmente: di fronte a un certo problema o a determinati sintomi, già oggi prima di interrogare un medico si effettuano ricerche su Google ottenendo risultati un po’ misti, magari buoni in alcuni casi, soprattutto da parte di chi ha conoscenze pregresse, o la pazienza di continuare a cercare, o la fortuna di aprire il link giusto. Al netto di potenziali rischi, che sicuramente ci sono e non vanno ignorati, queste piattaforme di IA generativa possono dare ai pazienti qualcosa in più, una prima risposta già pronta, utile per capire a quale professionista potersi rivolgere o come organizzare un primo intervento in caso di necessità. E per difendersi dalle famose allucinazioni in cui possono incappare, il mio suggerimento è quello di interrogare almeno due sistemi di IA generativa, verificando se la risposta è univoca. Un secondo àmbito di applicazione riguarda il supporto al medico. Quest’ultimo, infatti, ha la possibilità di sfruttare gli strumenti di IA accelerando il processo di diagnosi e riducendo, al contempo, i margini di errore. Può ottenere inoltre supporto da un punto di vista amministrativo, il che incrementa il suo tempo per curare, relazionandosi con più pazienti o con la possibilità di dedicare loro maggiore attenzione. Per il sistema sanitario nel suo complesso, l’IA generativa offre due benefici. Il primo: ci permetterà di conoscere meglio e prima la domanda di salute da parte dei cittadini, adeguando così i servizi e l’organizzazione delle prestazioni. In altri termini, possiamo programmare più efficacemente. Il secondo beneficio: aumentano le possibilità di offrire dei servizi che in termini commerciali chiameremmo di customer service, a partire dalle chatbot. Per fare un esempio, tali chatbot potrebbero consentire ai cittadini di comprendere più velocemente a quale struttura o tipo di professionista rivolgersi all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. Una specie di Virgilio in quello che spesso è un inferno per i cittadini comuni, che infatti per non sapere né leggere né scrivere affollano il pronto soccorso più vicino a casa. Inoltre, si potrebbero automatizzare ulteriormente i servizi di prenotazione degli esami o delle visite specialistiche. Poi c’è anche un’altra area fondamentale dell’IA generativa in sanità: la sua applicazione al processo di scoperta o formulazione di nuove molecole, chiamata Drug Discovery.
A proposito proprio di Drug Discovery, che cosa cambia di preciso nel modello di business?
Cambia che aumenta moltissimo l’efficienza del processo di sviluppo dei farmaci lungo tutte le fasi, diminuendo i costi e accelerando i tempi di immissione sul mercato, dunque a beneficio sia delle aziende sia dei pazienti. Inoltre, a prescindere dalle loro dimensioni, queste tecnologie mettono le aziende più innovative in condizione di competere meglio. In questo senso, è una buona occasione anche per l’Italia dove sappiamo che ci sono molte aziende medio-piccole.
In letteratura, fino a qualche anno fa, si distinguevano le imprese capital intensive da quelle labour intensive. L’IA cambia qualcosa in questo dualismo?
Sappiamo che l’uso e lo sviluppo di modelli di IA sono al momento particolarmente gravosi dal punto di vista dei costi operativi. In particolare per i costi computazionali. Vi è poi, sicuramente, anche una componente di spese aggiuntiva per trovare e trattenere le risorse umane migliori, i cosiddetti “talenti”. Secondo me, dipende molto dal tipo di attività economica e da come la si intende svolgere. Infatti, conosciamo aziende molto piccole o relativamente piccole, con poche decine di persone, che riescono a sviluppare modelli molto sofisticati. In termini generali, la componente di capitale resta prevalente rispetto ai costi per il lavoro. Anche se questo non vale sempre: basta pensare allo sviluppo dei modelli open source e alla possibilità, utilizzandoli, che un’azienda può trarne per sviluppare i propri modelli. Ciò riduce in maniera sensibile il fabbisogno di capitale. Sarà sempre il fattore umano, tuttavia, a fare la differenza.
Gli esperti sostengono che il paradigma dell’assistenza sanitaria dovrà cambiare. A cominciare dalla medicina del territorio che, già oggi, soffre di un deficit di risorse umane e di risorse finanziarie. L’IA può sostenere questi cambiamenti strutturali, ad esempio con riferimento alla medicina del territorio?
Certamente. Il paziente, formato a utilizzare questi strumenti in modo appropriato, così come gli stessi medici di medicina generale, possono trarre notevoli benefici.
Parliamo dei rischi più importanti che l’IA comporta.
Nel mio libro, L’economia di ChatGPT (Egea), il cui sottotitolo è Tra false paure e veri rischi, tra le false paure colloco i rischi esistenziali e catastrofici. Al momento, il rischio che noi tutti perderemo il controllo e verremo uccisi o resi schiavi da questi strumenti – c’è qualcuno che sostiene che abbastanza presto potremmo addirittura diventare una sorta di animali domestici dell’IA – io onestamente non lo vedo. E penso che non accadrà neanche quando si raggiungerà la cosiddetta Artificial General Intelligence, cioè un livello di IA pari o addirittura superiore rispetto a quella umana. Credo invece che esistano dei rischi concreti di cui dovremmo occuparci. Ne vedo soprattutto tre. Il primo è il rischio dell’allucinazione, il fatto che l’IA inventi le risposte quando non le conosce. È chiaro che quando parliamo di una sfera così sensibile, come la salute, gli effetti connessi ad eventuali errori di imprecisione da parte dell’IA si fanno decisamente pericolosi. Il rischio è accresciuto dal fatto che l’allucinazione è mascherata da una risposta che appare del tutto sensata, almeno all’occhio meno esperto. Il modo per difendersi è verificare sempre l’affidabilità e la veridicità di una fonte con una seconda fonte di IA. E comunque, soprattutto quando si prendono decisioni rilevanti, resta necessario rivolgersi a un medico. Gli altri due rischi sono sicuramente quelli della privacy e della cybersecurity. Per la privacy è evidente che c’è una questione riconducibile alla sensibilità dei dati, che vale ancora di più in questo àmbito rispetto ad altri in quanto i dati personali sono spesso dati sensibili. Sappiamo che c’è ancora molto dibattito su quanto, davvero, questi strumenti risultino compliant con le regole sulla privacy. Per quanto riguarda la cybersecurity, siamo a conoscenza che i principali attacchi avvenuti negli ultimi anni, non solo in Italia, hanno riguardato proprio strutture sanitarie. In alcuni casi, l’obiettivo sono stati i sistemi sanitari nazionali stessi. È chiaro che l’appropriazione di informazioni e il loro possibile disvelamento attirino molto i criminali della Rete. Serve una risposta forte, sebbene complessa in quanto i sistemi sanitari hanno delle ramificazioni particolarmente elevate, un perimetro ampio e svariati potenziali anelli deboli.
Parliamo dell’Italia. A che punto di sviluppo siamo rispetto alla capacità di cogliere le opportunità delle quali ci ha parlato in precedenza?
Ci sono delle eccellenze, e certamente sono stati fatti investimenti importanti come quelli per il Fascicolo Sanitario Elettronico il cui completamento, a lungo aspettato, è stato un passo molto rilevante. Ora, però, questo Fascicolo Sanitario Elettronico bisogna usarlo perché il tema importante, evidentemente, non è disporre di uno strumento quanto usarlo nel migliore dei modi. La prima priorità per fare un cambio di passo come sistema è, a mio avviso, quella delle competenze. Senza il giusto livello di competenze questi sistemi rimarranno appannaggio di una nicchia. Al contrario, in un Servizio Sanitario Nazionale che deve essere accessibile a chiunque, le disuguaglianze sono un elemento prioritario da mitigare. Siamo di fronte a una tecnologia che con un bagaglio anche minimo di competenze, a mio avviso, può ridurre il gap tra le persone. Esistono già degli studi che dimostrano che, data la stessa applicazione degli strumenti dell’IA generativa in un àmbito dove ci sono persone con skills superiori e persone con skills inferiori, il gap nei risultati è ridotto proprio dal loro utilizzo. L’IA generativa può dunque rappresentare un beneficio per tutti e in misura più che proporzionale per i soggetti con minori competenze. La condizione imprescindibile è la pari capacità di accesso e fruizione.
È d’accordo che uno sviluppo positivo dell’IA generativa passa anche per una trasformazione dei modelli formativi, a cominciare da quelli universitari?
Non c’è dubbio che questa sfida riguarda la formazione e l’istruzione, non solo in àmbito medico-sanitario. Gli strumenti di IA generativa consentono, peraltro, anche nuovi modelli educativi e di formazione. Dobbiamo avere il coraggio di svecchiare l’esistente. Sappiamo che l’età media dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale è particolarmente elevata, per esempio. Questo è solo in parte il riflesso della curva di invecchiamento della popolazione; è invece l’esito delle politiche distorsive di turnover che si sono susseguite negli ultimi decenni e della nota questione del numero chiuso all’Università. A tutto ciò oggi si sommano i cambiamenti nel mercato del lavoro: il fenomeno della fuga all’estero o verso il settore privato. Fermo restando la centralità del rapporto tra medici e pazienti ‒ e il ruolo fondamentale dei medici e del resto del personale sanitario e in particolare dei professionisti con skill elevate ‒ è evidente come la carenza di personale sia una criticità che l’IA generativa può aiutare ad arginare, quantomeno in alcuni àmbiti.
L’intervista con Stefano Da Empoli è contenuta nel 3° Rapporto sulla Salute e il Sistema sanitario realizzato da Eurispes-Enpam.

