La tesi di fondo di questo saggio è dunque che il Vortice dell’Illusione che si è creato: renda difficoltoso distinguere la verità delle cose; faccia perdere quel senso della misura che consente di vedere ogni accadimento nella sua giusta proporzione e prospettiva; ci faccia dire che il mondo è cambiato ma in modo fuorviante, basandoci su dati di realtà marginali, non sulla sostanza delle cose. Se invece riusciamo a porci al di fuori del Vortice, distinguiamo una precisa possibilità della realtà, e cioè che siamo in tempi straordinari. È possibile, cioè, che la qualità della realtà che viviamo stia davvero cambiando profondamente, ma ciò avviene nei fondamentali della società, dell’economia e della politica, perché in difficoltà di resilienza di fronte ai forti stress che in questo primo quarto di secolo li hanno colpiti. Invece noi crediamo di vivere un’epoca eccezionale sulla base di fenomeni di superficie, o di margine, immersi come siamo nel Vortice dell’Illusione. In questa prospettiva l’impensabile può divenire possibile, proprio perché sono tempi straordinari e perché combinazioni nuove di fatti vecchi e nuovi, hanno qualche probabilità – oggi maggiore di zero – di avvenire. A tale, ultimo, proposito, ancora guardare dalla prospettiva della comunicazione può aiutare l’immaginazione.
Un (altro) Salvatore del popolo arriverà dal business
Uno su tutti è quello dell’esclusione del modello di democrazia liberale dai fondamentali del mondo occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti –“la più grande democrazia del mondo”. Domandiamoci, come fa Maurizio Viroli in La libertà dei servi: “basta dire che si svolgono libere elezioni per essere certi che questo sia un paese democratico?” Diamoci uno sguardo, perlomeno per curiosità. Noi lo si fa spesso, perché crediamo vi sia del vero in quanto Federico Rampini afferma spesso: “quello che oggi succede negli Stati Uniti, poi arriva in Europa”. Consideriamo come punto di partenza l’attuale crisi della democrazia liberale, ovvero la sua messa in discussione sulla base di argomenti quali la sua inefficienza ed inefficacia.Capiamo: la democrazia è tacciata di inefficienza, ad esempio, quando si vede che in Cina fanno un ponte lungo decide di kilometri in pochi mesi e da noi una fermata metropolitana in decenni (ricorda un po’ i treni in orario del non rimpianto fascismo). Si parla di inefficacia, ad esempio, alludendo allo scollamento fra i politici e la base, fra i problemi della “gente” e i litigi da retrobottega della politica politicante.
In questo quadro, come escludere la possibilità che un giorno di primavera, con il viso baciato da una luce soffusa e uno sfondo rassicurante (lì dentro, avere qualche familiare sorridente e bello aiuta), un signore molto facoltoso si presenti in televisione e sui social all’elettorato con il proposito di pensarci lui a risolvere la questione? Questi potrebbe argomentare – portando la sua propria vita come prova tangibile – che lui è un innovatore geniale, che ha saputo cambiare la vita di miliardi di persone, che sa dove mettere le mani e come farlo in poco tempo e che poi, data la propria ricchezza, potrebbe addirittura pensarci lui direttamente a tappare qualche falla del sistema, senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Se state pensando ad Elon Musk siete fuori strada -anche se ha fondato un partito. Noi si guarda a Mark Zuckerberg.
Zuckerberg: E se due indizi facessero una prova?
Indizio 1. Nel 2017 – epoca del Trump I – Zuckerberg annuncia di voler intraprendere un tour conoscitivo degli Stati Uniti d’America per – parole sue – “capire perché la globalizzazione non abbia funzionato e perché la tecnologia abbia contribuito a dividere le persone”. Indizio 2. Due anni dopo, nel 2019, annuncia di voler battere moneta: la chiama Libra e istituisce la sede sociale del giochino in Svizzera – embè la tradizione è pur sempre un valore no? Poi chissà chi, con le buone e qualche schiaffetto sulle mani, gli fece capire che sarebbe stato meglio lasciar perdere, perché, da che mondo è mondo, è il sovrano che batte moneta, è lui che ci mette la faccia e il solo titolato a farlo. Qualcuno gli disse anche, pare, che quella sua idea che “Facebook è lo stato più popolato del pianeta, contando oltre due miliardi di cittadini” andava bene per i TED Talks ma nulla più e che, forse, sarebbe stato meglio starsene lontano dalle cose da grandi. Ce ne sarebbe un terzo. Ora, il rampante imprenditore – da ricordare, non alieno da azioni moralmente perlomeno discutibili, come la sua biografia dimostra – sembrerebbe aver capito l’antifona e, non si sa quanto obtorto collo o meno, si è messo la cravatta e sull’attenti, in prima fila, ad assistere all’inizio del Trump II. Certo, Zuckerberg deve ingoiare il fatto che lassù ci sia anche Musk, uno che a occhio e croce lui avrebbe una gran voglia di prendere a ceffoni, e magari in pubblico – è così almeno dal 2023, anno in cui circolò la notizia che i due mattacchioni volevano prendere il Colosseo per giocare a Karate Kid e darsele di santa ragione, ovviamente vendendo i diritti di trasmissione della pagliacciata a caro prezzo.
Musk su Marte, Zuckerberg al Congresso
Alla luce di ciò, chi si sentirebbe di escludere del tutto la possibilità che fra qualche anno non saremo chiamati ad assistere a una tornata elettorale per la Presidenza della più grande democrazia del mondo, del tutto nuova nei protagonisti, nelle promesse e nelle forme? Qualcuno scommetterebbe la propria casa sul fallimento certo di un progetto del genere? Per inciso: se pensate che Elon Musk sarà della partita, crediamo siate in errore. Il simpatico genio sudafricano ha un obiettivo ma probabilmente non politico: vuole arrivare su Marte e, siccome sa fare i conti e ha visto che è costosissimo, ha capito che solo garantendosi sostanziosi contratti a lungo termine dagli Stati per progetti di conquista dello spazio, potrà forse riuscire nell’intento. Anche qui, se pensate che sia una mia fantasia, andatevi a sentire il primo discorso del Trump II al Congresso, ma prendetelo sul serio – questa è gente che fa sul serio, anche su cose che a noi fanno ridere – tipo la Groenlandia.
Il media che domina la propria epoca imposta il linguaggio dominante, sposta ricchezza e poi finisce per occuparsi di politica
Va bene tutto ma qui siamo in Italia, non ci sono persone e personaggi come quelli, il Paese è lungo e stretto, c’è il Vaticano, abbiamo tradizioni ideologiche consolidate, questo è un Paese difficile dove cane non mangia cane, eccetera. Forse è così. Ma forse la storia è anche diversa: ieri la televisione, ieri l’altro i giornali e la radio, oggi i software nei nostri smartphone. Tre casi longitudinali che forse fanno una legge, questa: il media che domina la propria epoca imposta il linguaggio dominante, sposta ricchezza e poi finisce per occuparsi di politica – pardon, di potere. Ripassiamo la linea col dito, per essere certi di aver colto il punto: controllo (concentrazione) del media dominante, accumulazione (concentrazione) di ricchezza, occupazione (concentrazione) della democrazia liberale. Il paradosso è che, grazie alla trasformazione (distribuzione) del comunicare operata dal digitale, tutto ciò rischia di non essere visto da laggiù, dal Vortice dell’Illusione. E come questo, a rischiare di non essere vista è la trasformazione – in parte avvenuta in parte in fieri – di molti fondamentali, che è la vera ragione per cui possiamo dire che il mondo è cambiato. Prima lo vedremo, prima (forse) riprenderemo a capire il mondo.
*Alberto Mattiacci, Presidente del Comitato Scientifico dell’Eurispes.