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Che ne sarà dell’esame di Stato?

di
Giuseppe Pulina

Tra gli eventi più singolari dell’estate 2025 saranno ricordati i casi di “diserzione” dall’orale dell’esame di Stato. Un fatto senza precedenti che ha colto di sorpresa un po’ tutti e non solo il mondo della scuola. A sorprendere è stata infatti la decisione (per molti coraggiosa, per altri da veri irresponsabili) di un piccolo numero di studenti che, per protestare contro un esame da loro ritenuto ingiusto e inadeguato, hanno incrociato le braccia davanti alla commissione. Le cronache raccontano anche di un candidato che non si sarebbe nemmeno presentato al colloquio. Di questa e di altre imprevedibili decisioni hanno dovuto tenere conto commissioni d’esame comprensibilmente non preparate per gestire simili “contrattempi”. Nessun problema, però, perché l’esame tanto contestato è stato alla fine superato. A rendere in un certo senso non determinante il colloquio è proprio la struttura dell’esame, che consente di arrivare al requisito minimo di 60 già al termine delle due prove scritte. Attraverso la somma del punteggio di questo con il credito scolastico riconosciuto dalla scuola di appartenenza (credito che può arrivare a un massimo di 40 punti), la terza prova diventa in molti casi solo uno step da superare per incrementare la valutazione ed eventualmente accedere alla possibilità del bonus che costituisce una sorta di premialità a disposizione della commissione. Tutto questo per dire che il paradosso in cui si è ultimamente imbattuta la scuola italiana è quello di un esame che può essere superato anche se non si sostengono tutte le prove previste.

La promessa di Valditara

L’atto degli studenti che hanno rifiutato il colloquio non ha generato solo sorpresa. A dirla tutta, le loro gesta hanno provocato anche un certo imbarazzo. In passato, se un maturando avesse saltato una delle prove d’esame per motivi non giustificabili (e questa è la fattispecie dei casi presi in esame), avrebbe ripetuto l’anno scolastico. Una reattività così cogente e netta è stata reclamata da molti per stigmatizzare il comportamento degli studenti “refrattari”, ritenendo scontato che, per superare l’esame, sia obbligatorio sostenerlo integralmente. Niente di più inesatto, a quanto pare, perché di fronte a quanto è accaduto non si ha notizia – giusto o sbagliato che sia – di alcun intervento sanzionatore. La vicenda ha fatto emergere un vuoto normativo che non sarà facile colmare, se non mettendo mano alla struttura dell’esame. E così, quando Giuseppe Valditara, titolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito, promette che le cose cambieranno e che sarà bocciato chi non sosterrà tutte le prove dell’esame, non è chiaro come si potrà passare dalle parole ai fatti.

Un esame troppo nozionistico?

Sarebbe, comunque, in cantiere l’ennesima correzione dell’esame. Il ministro ci pensava da tempo e occasione più invitante non poteva esserci. Ci rifletteva sopra sicuramente da prima che scoppiasse il caso degli studenti “obiettori”. Li definiamo così senza volerne schernire la figura, perché quella di cui si sono fatti indirettamente portatori è, comunque, diventata una questione rilevante. La loro protesta contro un esame che reputano incapace di valutare e valorizzare uno studente (un esame che, stando alle loro parole, vorrebbero non fosse solo nozionistico) porterà sicuramente a una sua revisione. Contrariamente alle loro aspettative, la revisione non cancellerà l’esame. Potrà, semmai, modificare e correggere qualche elemento considerato debole, così fragile da essere stato messo alla berlina con estrema facilità da uno sparuto gruppo di studenti. Di sicuro, quanto è accaduto difficilmente si ripeterà, perché le “contromisure” sono state preannunciate.

La “maturità” perduta

Potrebbero non rendersi necessari interventi particolarmente drastici, e in cuor suo sembra augurarselo lo stesso ministro, che vorrebbe restituire all’attuale esame di Stato (definizione introdotta nel 2000 dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer) il nome di “esame di maturità”. L’auspicio di Valditara è che attraverso le tre prove dell’esame si accerti il grado di maturità e autonomia dello studente, facendo del colloquio il momento giusto per certificare abilità che gli scritti non possono testare. L’educazione civica, disciplina trasversale sulla quale punta molto la visione della scuola del governo Meloni, dovrebbe essere uno degli strumenti più raccomandati per cogliere l’obiettivo. Sarà interessante osservare come si possa passare dai propositi più illuminati all’efficacia di prassi tutte da collaudare. Una di queste potrebbe prevedere una maggiore valorizzazione dell’educazione civica con l’attribuzione di una specifica e ancor più netta funzione valutativa.

Una scuola che “scoppia” di salute

Il ministro che mette mano al nuovo esame di maturità potrebbe, inoltre, approfittare dell’occasione per un restyling che vada più in profondità. I dati dell’ultimo esame non possono non far riflettere: il 99,8% degli studenti che si presentano all’esame ottengono il diploma. Cresce il numero delle eccellenze (vale a dire gli studenti che oltre al 100 conseguono anche la lode) e 7 studenti su 100 ottengono il massimo della valutazione finale. Insomma, la scuola sembrerebbe scoppiare di salute, con regioni così virtuose (Abruzzo, Basilicata, Lazio, Molise, Puglia, Trentino-Alto Adige e Umbria) da non aver avuto nemmeno un bocciato. Non è naturalmente detto che un esame, per essere tale, abbia bisogno di cifre in rosso e di qualche caduto sul campo per certificarne l’autenticità. Un esame è ben altro. Che, attraverso l’ennesima correzione (parlare di riforma sarebbe probabilmente troppo), possa riconquistare l’autorevolezza d’un tempo è tutto da vedere.

Dalla maturità all’esame di Stato

Secondo la Fondazione Agnelli, negli ultimi cinquant’anni l’esame ha perso di vista gli obiettivi originari per perseguire i quali era stato introdotto da Giovanni Gentile con la riforma del 1923. Uno dei quali era quello di garantire una parità di trattamento e valutazione tra gli studenti delle scuole pubbliche e private. In un certo senso, se l’esame non esistesse più, la scuola privata, pur non essendo statale, non si distinguerebbe da quella privata. «Guardando alle riforme del nostro esame di maturità dal 1969 in poi, non si può non vedere come esse ne abbiano progressivamente indebolito fin quasi ad annullarlo il carattere di esternalità che ne costituisce la ragion d’essere».[1]Esternalità che viene messa in dubbio da chi vorrebbe ripristinare le commissioni di soli interni e fare così dell’esame di Stato nient’altro che una sorta di appendice solenne del percorso di studio. Dalle dichiarazioni sinora rilasciate dal ministro non si colgono intenzioni e indicazioni di questo tipo. Sono, comunque, in cantiere gli interventi che caratterizzeranno il nuovo esame di maturità. Che cosa ne sarà del vecchio e come sarà il nuovo, questione di poche settimane e, promessa del ministro, il “mistero” sarà svelato.

[1] Patrizia Falzetti, Angela Martini, L’esame di “maturità” e le prove Invalsi, Fondazione Agnelli, n. 64, maggio 2022.

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