La scuola rappresenta, per una società democratica e complessa come quella italiana, una delle infrastrutture sociali, culturali e materiali più importanti. Si tratta, probabilmente, dell’istituzione cardine per lo sviluppo delle competenze professionali fondamentali per il Paese, per la formazione di personalità indipendenti e libere in grado di far progredire l’Italia non solo sotto il profilo economico ma anche culturale, sociale e democratico. Eppure, lo stato della scuola italiana è non proprio all’altezza di questo straordinario compito. Nel Paese ci sono circa sette milioni di studenti tra i 6 e i 19 anni, un milione di insegnanti, di cui quasi 250mila supplenti, 8.300 Istituti che ogni mattina accolgono i giovani italiani insieme al corpo docente e a quello amministrativo. Lo stesso Pnrr, di cui molto si discute in questi giorni in termini di nuova rielaborazione, prevede circa 20 miliardi di euro destinati al sistema scolastico del Paese. Denaro fondamentale che si aggiungerebbe al 3,8% del Pil nazionale tradizionalmente investito nel settore. Una percentuale, in realtà, non lusinghiera, ed anzi testimonianza di diffuse retoriche riguardanti la scuola italiana che solo raramente si trasformano in politiche conseguenti. Come termine di paragone si può considerare, ad esempio, quanto stanziano in percentuale sul proprio Pil per le proprie scuole alcuni dei paesi più avanzati. La media in tal senso è di circa il 4,5%. Un distacco rispetto alla nostra quota di circa 0,7 punti percentuali che significa investimenti mancati in un settore vitale.
Il 51% degli studenti nella scuola italiana non raggiunge in matematica lo standard minimo previsto dall’Unione europea
Forse questa premessa, che contribuisce a costruire una scuola e un modello di partecipazione all’apprendimento sostanzialmente vetusto, concorre a spiegare quel drammatico 13% di studenti italiani che non termina le scuole superiori. Una vera e propria emorragia per l’Italia che manca di formare e stimolare i suoi giovani nell’accesso alle nuove professioni, a sistemi di innovazione sociale e tecnologica avanzati e a percorsi anche di elaborazione intellettuale e politica evoluti. Si deve aggiungere il basso tasso di scolarizzazione complessivo della società italiana, la cui metà è costituita da analfabeti, analfabeti funzionali e di ritorno. Un dato davvero preoccupante è quello recentemente emerso nell’ambito di una ricerca condotta sugli studenti che, in procinto di tenere l’esame di maturità, ossia dopo 13 anni di scuola, non raggiungono un livello sufficiente di preparazione come invece gli standard europei prevedono. Secondo i dati Invalsi del 2021, ad esempio, peraltro subito dopo il periodo pandemico più difficile, il 51% degli studenti in Italia non sarebbe adeguatamente preparato in matematica tanto da non raggiungere lo standard minimo previsto dall’Unione europea. Questa percentuale, già pericolosamente elevata, considerando peraltro che il linguaggio matematico è alla base delle scienze tecnologiche attuali, arriva fino al 70% in alcune regioni del Sud Italia. La percentuale arriva invece al 44% per quanto riguarda i maturandi italiani con riferimento alla lettura e dunque alla comprensione di un testo nella propria lingua. La situazione è drammaticamente con riferimento agli anni precedenti la pandemia. Nel 2019, ad esempio, la percentuale di studenti sotto la soglia degli standard minimi previsti era del 42% per ciò che riguarda la comprensione della matematica e del 35% per l’italiano. Ne deriva che, anziché essere ragione di emancipazione da condizioni di marginalità, povertà culturale, fragilità sociale la scuola ne fotografa e perpetua l’appartenenza, mancando nel suo ruolo fondamentale.
La scuola italiana rischia di trasformarsi in un sistema impoverito e di certificazione delle disuguaglianze sociali
Centinaia di migliaia di giovani italiani entrano con un livello sostanzialmente basso di competenze culturali ed escono con un livello delle stesse sostanzialmente insufficiente e dunque inadeguato per la propria emancipazione e per la costruzione di un cursus sociale evoluto e adeguatamente riconosciuto. Queste condizioni trovano riscontro soprattutto quando si osserva la popolazione immigrata residente nel Paese e in particolare la sua componente giovanile in età scolastica, anche per un ordinamento giuridico particolarmente ostacolante e un mercato del lavoro duale che li spinge, tendenzialmente, ad accettare condizioni di lavoro, retributive e alloggiative marginalizzanti, nonché una strutturale fragilità in termini di inclusione sociale e apprendimento. Insomma, la nostra scuola, da istituzione primaria volta all’acculturazione e all’emancipazione, rischia di trasformarsi in un sistema solo formalizzato, impoverito e di certificazione delle disuguaglianze sociali ed economiche presenti nel Paese. Drammatica anche la considerazione circa la sostanziale assenza di questo tema nel recente dibattito elettorale e nella relativa agenda politica dei diversi partiti. Di scuola, dunque, e soprattutto della sua organizzazione, della sua strutturazione istituzionale e infrastrutturale, degli studenti e del corpo docente, di accoglienza e di servizi avanzati come assistenza ai disabili, alle vittime di bullismo e alle loro famiglie, di sostegno psicologico e di accompagnamento e valorizzazione delle minoranze di qualunque genere, non si è fatta ancora menzione.
Scuola italiana, scarso raccordo tra insegnamenti in termini di linguaggi e pedagogie comuni
Secondo diversi studi, questa condizione del sistema formativo deriva da una serie di variabili incidenti che influenzano la scuola italiana e il percorso degli studenti. Tra queste, ad esempio, la frammentazione degli insegnamenti e lo scarso raccordo tra gli stessi in termini di linguaggi e pedagogie comuni, capacità di fornire stimoli ai giovani coerenti con la complessità della società contemporanea, approcci culturali avanzati e programmi in costante aggiornamento. Non si tratta certo di seguire la strada sempre innovativa tracciata ad esempio da Paulo Freire, pedagogista brasiliano, ma almeno di far evolvere il sistema scolastico italiano secondo binari di innovazione programmatica e culturale quale politica strategica di innovazione dello stesso Paese. Ciò permetterebbe, ad esempio, di superare la cronica insufficienza dell’orientamento e della durata degli studi scolastici obbligatori e non solo, l’adozione di pedagogie non adeguate e di modelli di insegnamento incapaci di fornire stimoli e desideri di partecipazione come l’assenza o scarsa organizzazione di seminari tenuti da relatori in grado di modificare la prassi didattica tradizionale e di cogliere aspetti innovativi nella vita sociale della popolazione e dunque degli studenti e degli stessi docenti.
Le modalità di selezione del corpo docente nella scuola italiana
Anche le modalità di selezione del corpo docente e la loro formazione continua lasciano spazio ad alcune critiche a partire da una contraddizione storica di questo Paese tra l’esistenza di molte cattedre e, nel contempo, la presenza di molti docenti supplenti e necessariamente precari. Si tratta di un paradosso storico mai realmente affrontato, ossia la continua sistemazione in ruolo di supplenti e nel contempo la continua chiamata di nuovi docenti supplenti così da formare nuove sacche di precariato in attesa del prossimo inserimento definitivo nel relativo organico.
Aumentare le retribuzioni dei docenti per superare il gap economico rispetto ai colleghi nordeuropei
Ma cosa accadrà in futuro? La popolazione scolastica tra i 3 e i 18 anni, entro il 2030 diminuirà di circa un milione di allievi e conseguentemente diminuirà anche il fabbisogno di docenti di oltre 65mila unità. Nel corso del decennio 2030-2040 questo trend si consoliderà per via dell’andamento demografico drammaticamente discendente nel Paese. Dal punto di vista strettamente economico ciò significa, rispetto ad oggi, un risparmio in termini di finanziamento, di circa 2 miliardi di euro per ogni anno scolastico in esame. Si tratta di risorse importanti che dovrebbero essere reinvestite nella scuola stessa, aumentando le infrastrutture, i servizi, innovando i programmi, individuando figure nuove come i mediatori culturali in grado di accompagnare all’interno della scuola gli studenti provenienti da altri paesi garantendo loro forme di accoglienza per un’effettiva equivalenza formale e sostanziale con i pari età italiani e, infine, condizione non certo trascurabile, l’aumento delle retribuzioni per l’intero corpo docente per superare un inaccettabile gap economico rispetto ai loro colleghi nordeuropei. Si tratta di scelte politiche che incrociano competenze demografiche, sindacali, sociologiche e che concorrono a formare un progetto di Paese fondato, se vuole considerarsi avanzato, su un rapporto fecondo e intimo con le scuole italiane e con i loro studenti e non invece considerare la scuola un investimento solo economico e un impegno al solo fine di fornire pochi rudimenti ai giovani per “garantire” loro un futuro di precarietà costante.
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*Sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes.