Non si può parlare di parità di genere senza discutere di maternità e delle misure previste per il congedo di paternità, in una simmetria esatta tra le due figure genitoriali nel tempo dedicato alla gestione familiare. Se non aumenta il tempo dedicato alla famiglia per l’uomo, inevitabilmente sarà la donna a sobbarcarsi le conseguenze della maternità, sia nella gestione della famiglia che sul lavoro. Per questo è importante più che mai fare un punto sulla situazione del congedo di paternità come misura di civiltà, di condivisione paritaria degli obblighi genitoriali, e di concezione della maternità come qualcosa che non riguardi solo la donna.
Il congedo di paternità è una misura ineludibile per affermare la parità di genere
Il congedo di paternità consiste generalmente in un breve periodo di tempo concesso al padre subito dopo la nascita, per prendersi cura del neonato e della madre. Secondo gli studi condotti dall’OIL (Organizzazione internazionale per il Lavoro), agenzia delle Nazioni Unite specializzata in lavoro e politiche sociali, esiste una relazione tra congedo di paternità, coinvolgimento degli uomini nelle responsabilità familiari e sviluppo del bambino. Nello studio citato dall’OIL, i genitori che prendono un congedo, in particolare nelle due o più settimane successive al parto, hanno maggiori probabilità di interagire con i loro figli[1]. Il congedo parentale può dunque avere effetti positivi non solo sulla parità di genere a casa e al lavoro, ma determinare cambiamenti significativi nelle relazioni e nella percezione dei ruoli genitoriali, nonché negli stereotipi prevalenti, che vedono la madre “alla guida” della famiglia e dei figli. Il congedo di paternità, in tale prospettiva, va vista anche come misura antidiscriminatoria.
Nel 2014 l’OIL rilevava che il diritto obbligatorio al congedo di paternità era in vigore in 78 dei 167 paesi per i quali erano disponibili informazioni. Nella maggior parte di essi (70) il congedo era retribuito, evidenziando una tendenza verso un maggiore coinvolgimento di entrambi i genitori durante la nascita. In 66 nazioni su 169 prese in esame, erano previsti congedi parentali soprattutto nelle economie sviluppate, in Europa orientale e in Asia centrale, molto raramente in altre regioni. Solitamente il congedo parentale veniva concesso come un diritto condiviso ed erano principalmente le donne a usufruirne. Il tasso di utilizzo del congedo da parte degli uomini era dunque basso, soprattutto in presenza di congedo non retribuito.
Esami medici prenatali, il tempo impiegato ricade sulle lavoratrici
Un focus meritano anche le ore dedicate a visite mediche e consulti in fase prenatale, che ricadono completamente sulle donne, in questo caso dirette e uniche interessate. Ecografie, analisi del sangue, diagnostica prenatale, esami medici che troppo spesso non vengono coperti dal welfare e dalle politiche del lavoro. Per una lavoratrice, effettuare un esame diagnostico prenatale significa spesso usare le ore di permesso o prendere un giorno di ferie. Nel 2013 in 156 paesi presi in esame dall’OIL, il 74% delle ore dedicate agli esami medici prenatali erano non lavorative, il 19% erano ore retribuite per esami medici prenatali, il 6% ore di lavoro previste per esami medici prenatali ma non retribuite. Nel 2013 nelle economie sviluppate le ore retribuite per controlli diagnostici prenatali erano il 53%, il 19% erano permessi non retribuiti e il 29% ore non lavorative; in America Latina e Caraibi le ore lavorative retribuite erano solo il 10%, in Europa orientale e Asia centrale il 31%, mentre in Medio Oriente il 100% delle ore dedicate agli esami prenatali avveniva fuori dall’orario di lavoro.
Il congedo di paternità in Italia
Il nostro Paese in merito ai congedi parentali fa riferimento alla disciplina contenuta nel Decreto legislativo n. 151/2001, detto anche Testo Unico sostegno maternità e paternità, ampliato dal recente Decreto legislativo del 30 giugno 2022 n. 105. Per gli effetti di tale aggiornamento normativo, dal 13 agosto 2022 i padri lavoratori dipendenti possono usufruire di un aumentato congedo di paternità, corrispondente a 10 giorni lavorativi retribuiti (nel 2017 erano solo due, da usufruire entro i 5 mesi dalla nascita, passati a 5 nel 2018, ovvero 3 più 2 facoltativi). La misura, sebbene rappresenti un miglioramento delle precedenti condizioni e sia stata allargata anche ai casi di genitori adottivi e affidatari, esclude di fatto i lavoratori autonomi e con gestione Separata. Per quanto riguarda il congedo parentale volontario, i padri lavoratori sono coperti da indennità a 9 mesi dalla nascita (prima erano 6), al 30% di retribuzione (condizione valida per entrambi i genitori). Indubbiamente sono stati fatti dei passi in avanti significativi per colmare il gender gap nella questione più divisiva tra uomini e donne in famiglia e nel lavoro – ovvero la maternità – ma qual è la situazione nel resto d’Europa?
Congedo di paternità, la Spagna è all’avanguardia nelle politiche sociali di sostengo
L’Italia, con 10 giorni retribuiti al 100% per il congedo di paternità, si allinea con Irlanda e Regno Unito, mentre la Francia ha da poco raddoppiato i giorni concessi ai lavoratori dipendenti per il congedo facoltativo, da 14 a 28 giorni, mentre quelli obbligatori sono 7. Nei Paesi Bassi è prevista una settimana di congedo retribuito e 5 settimane facoltative non retribuite, entro i primi 6 mesi di vita del figlio. In Spagna, dal 1 gennaio 2021 sono previste 16 settimane non trasferibili (ovvero godibili solo dal padre) di congedo, garantite per il padre o per il secondo genitore equivalente, equiparando di fatto diversi modelli familiari e non solo quelli costituiti da uomo e donna. Le prime 6 settimane di congedo sono obbligatorie, le altre 10 volontarie, con la possibilità di scegliere tra tempo pieno e part-time. La Svezia prevede 480 giorni cumulativi di congedo parentale da suddividere tra i due genitori, la Finlandia 160 giorni per ognuno dei genitori, di cui 60 trasferibili al partner o a chi si prende cura del figlio, mentre in Germania i giorni di congedo parentale sono 1095, ovvero i primi tre anni del bambino da dividersi tra i due genitori.
I diritti delle donne passano dalla gestione equa della maternità e della famiglia
Lo scopo di tutti questi provvedimenti è sempre la parità di genere, la garanzia di un equilibrio che non sia sfavorevole alle donne nel carico derivante dai figli e dalla maternità, specialmente nelle prime fasi. Proseguire sulla strada dei diritti delle donne e delle pari opportunità in materia di maternità non favorisce solo una maggiore equità di genere: sono politiche familiari in grado di cambiare la qualità della vita dei singoli, delle famiglie e soprattutto dei figli.
[1]M. Huerta et al.: «Fathers’ leave, fathers’ involvement and child development: Are they related? Evidence from Four OECD Countries», in OECD Social, Employment and Migration Working Papers, No 140 (Pubblicazione OCDE 2013).