Numerose ricerche hanno tentato di valutare il peso della presenza di figli sul bilancio familiare. Oltre al costo economico, dovuto a una spesa per consumi quantitativamente e qualitativamente diversa da una coppia senza figli, vi sono costi di natura sociale, relativi ai vincoli o alle conseguenze che i figli comportano sugli stili di vita, sulle relazioni interpersonali, i rapporti di coppia, il lavoro e la carriera. Le variabili da prendere in considerazione sono innumerevoli e difficilmente misurabili in termini economici. Risulta impossibile, inoltre, la valutazione dei benefici derivanti dalla presenza dei figli. Quanto valore ha un figlio? Come potrebbe essere misurata, in termini economici, l’esperienza di un figlio, l’arricchimento da essa derivante?
Al 17,9% degli italiani l’attuale occupazione impedisce di avere figli
Il calo delle nascite si inserisce in un quadro generale che evidenzia difficoltà finanziarie per una porzione considerevole delle famiglie italiane: il 35,4% secondo le ultime rilevazioni dell’Eurispes (2025) attinge ai propri risparmi per arrivare a fine mese. Una parte della popolazione si trova di fronte ad una limitata capacità di risparmio e frequenti difficoltà nel fronteggiare le spese essenziali, comprese quelle mediche. Tra coloro che ne hanno bisogno, una quota del 54% afferma di rinunciare all’aiuto esterno di una babysitter per accudire i figli. C’è poi il fattore cruciale del lavoro. Meno della metà degli occupati italiani (49,6%) ritiene che il proprio lavoro attuale consenta loro di fare progetti per il futuro; il 47,4% afferma che la sua occupazione non gli permette di garantire sicurezza alla propria famiglia, al 17,9% l’attuale occupazione impedisce di avere figli. Il che evidenzia quanto siano numerosi nel nostro Paese i lavoratori costretti a ragionare sul breve termine, con rinunce importanti, come quelle relative all’acquisto di una propria abitazione, all’indipendenza dalla famiglia d’origine, per arrivare, in quasi un caso su 5, alla rinuncia alla genitorialità, forse il più rilevante dei progetti di vita dell’individuo.
Il 5,2% dei cittadini riferisce di aver lasciato definitivamente il lavoro per la nascita di un figlio
E per coloro che scelgono di diventare genitori si presenta la questione della conciliazione tra famiglia e lavoro. Il 5,2% dei cittadini riferisce di aver lasciato definitivamente il lavoro per la nascita di un figlio, il 31,2% conosce qualcuno che lo ha fatto. Per il 6,7% la rinuncia a lavorare conseguente alla nascita di un figlio è stata temporanea; il 36,6% ha parenti, amici o conoscenti che hanno smesso di lavorare per qualche anno. Esplorando a tutto tondo il vissuto dei genitori italiani, emergono con chiarezza le rinunce legate alla responsabilità genitoriale: i risultati indicano che si rinuncia soprattutto a coltivare i propri interessi e svaghi (52,5%). Sono altrettanto compromesse l’area economica e quella delle relazioni amicali, rispettivamente per il 51,7% e il 51,2% dei genitori. Inoltre, la metà dei genitori dichiara anche di aver sacrificato il tempo per la cura personale (50,8%) e, infine, per il rapporto di coppia (50,1%). Al contrario, invece, nell’àmbito lavorativo si registra il minor numero di rinunce (36%). Tra gli uomini e le donne, sono soprattutto le seconde a compiere i maggiori sacrifici in tutti gli àmbiti in qualità di genitori.
Quasi un terzo delle madri ha affermato di aver sofferto di depressione post partum
La nascita di un figlio porta con sé numerosi cambiamenti nei ritmi di vita, nelle abitudini e uno stravolgimento degli spazi fisici e mentali dei genitori. Nonostante ciò, per la maggior parte dei genitori (64,1%) la nascita del proprio figlio ha contribuito ad una maggiore unione nel rapporto di coppia, rispetto ad un 35,9% di chi afferma il contrario. In linea con questo dato, buona parte del campione, il 55,3%, afferma di essere riuscita ad equilibrare le responsabilità dell’essere genitore con il proprio partner, contribuendo così ad una migliore stabilità familiare. Tuttavia, c’è anche chi afferma di essere stato travolto dall’ondata emotiva che caratterizza il periodo iniziale, generando tensione e nervosismo nella coppia (43,3%). Allo stesso modo, si evidenzia anche un 40,1% di genitori che ha avuto difficoltà a coltivare il rapporto di coppia conseguentemente alla nascita del figlio. Quasi un terzo delle madri (32,6%) ha affermato di aver sofferto di depressione post partum.
Solo il 7% delle donne riconduce la scelta di non avere figli a ragioni di tipo economico
Come elemento ulteriore utile alla comprensione delle dinamiche all’origine delle scelte degli italiani, va citata un’indagine rivolta alle donne italiane, in cui alle intervistate che hanno affermato di non desiderare/aver desiderato figli, è stato chiesto il perché di tale scelta. Potendo indicare più di una delle opzioni proposte, il 27,8% delle motivazioni ricade nella mancanza di istinto materno, il 19,9% nel non voler limitare la propria libertà e il 14,2% risiede nella scelta di dedicarsi al lavoro. Per poco meno di una donna su dieci il mancato desiderio di maternità deriva da ragioni di salute (9,5%), per il 7,6% è legato a questioni riguardanti la vita di coppia e il 7% riconduce la scelta a ragioni di tipo economico. Le donne, inoltre, non condividono l’idea che si diventi davvero donne solo dopo la maternità: il 47,1% non è per niente d’accordo, il 30,2% lo è poco; il 18,3% è abbastanza d’accordo e solo il 4,4% molto.
Oltre la metà degli uomini percepisce una carenza di misure adeguate a favorire il coinvolgimento paterno nella vita dei figli
Dando invece voce agli uomini, i dati evidenziano una percezione diffusa di insufficiente sostegno sociale e istituzionale per i padri che desiderano essere più presenti nella vita dei figli. In particolare, il 47,2% degli intervistati ritiene che la società offra poco supporto nella possibilità di essere padri coinvolti nella vita dei figli, mentre il 9,8% afferma che non vi sia affatto alcuna forma di sostegno. Complessivamente, quindi, oltre la metà del campione (57%) percepisce una carenza di misure adeguate a favorire il coinvolgimento paterno nella vita dei figli. Questo indica che, sebbene siano presenti strumenti a favore della paternità attiva, essi non vengono percepiti come sufficientemente efficaci o diffusi.

