Partiamo dalle (condivisibili) conclusioni del Paper realizzato dalla Fondazione Magna Grecia intitolato “La roulette delle aliquote. Come l’incertezza fiscale e il disordine regolatorio rendono il nostro Paese scarsamente attrattivo per imprese e investimenti”: l’attuale sistema di tassazione dei giochi in Italia sembra essere dettato più da questioni ideologiche e moraliste che non da princìpi economici ed evidenze empiriche.
L’idea di aumentare la tassazione per disincentivare il consumo produce una riduzione del gettito per lo Stato e l’incentivo, per i giocatori, a spostarsi verso mercati non regolamentati, contribuendo ad aumentare il giro d’affari dei giochi illegali e della malavita organizzata.
In queste brevi conclusioni c’è tutto il senso di quella che dovrebbe essere una oculata strategia di riforma del settore, che rappresenta circa il 4% del Pil italiano e contribuisce notevolmente alle entrate erariali.
Nonostante il legislatore nazionale abbia voluto disciplinare il settore dei giochi pubblici, limitandone l’esercizio a concessionari autorizzati, resta il problema, ancora non coerentemente e definitivamente affrontato, che numerosi paesi comunitari hanno concesso e concedono licenze per la raccolta on-line a bookmakers, che esercitano l’attività attraverso strumenti telematici, raccogliendo le puntate sul territorio nazionale tramite reti di esercizi contrattualizzati (i cosiddetti “centri di trasmissione/elaborazione dati”), che svolgono una illecita funzione intermediatrice.
È evidente che ogni progetto di riordino del settore, che consenta o non impedisca a queste società, in assenza di qualsiasi titolo concessorio e in totale evasione di imposta, di aggirare le regole faticosamente raggiunte per disciplinare i giochi pubblici e legali, è destinato a fallire o ad essere poco efficace.
Il rischio è invece che, per combattere la giusta battaglia contro il Disturbo da Gioco d’Azzardo e per meri motivi di gettito, si finisca per ottenere l’effetto contrario, colpendo quella parte di gioco legale, ovvero le imprese che sono incaricate dallo Stato a gestire un’attività, appunto il gioco, secondo regole definite per salvaguardare interessi sanitari ed economici dello stesso Stato.
Il concetto di “distanziometro” rischia, per esempio, di essere anche inutile rispetto al fine perseguito.
Basti pensare al gioco online, che per sua natura si sottrae a questa forma di limitazione territoriale e spaziale e che rappresenta peraltro l’offerta più attraente per i giovani. Da che cosa sarà calcolata la distanza? Dal server?
Bisognerebbe, dunque, interrogarsi su quale effetto “reale” possano avere le misure sostanzialmente finalizzate ad allontanare il gioco (lecito), o meglio ad “espellerlo”, dai centri urbani.
La “ghettizzazione” dell’offerta di gioco lecito non ha effetti nei confronti del giocatore che ha già oltrepassato la soglia della “problematicità”, rischiando anzi di far sì che il “malato” venga abbandonato a se stesso, magari nelle mani delle organizzazioni criminali o comunque illecite.
Bisognerebbe, invece, puntare sulla qualità dell’offerta, sull’introduzione di meccanismi di autolimitazione, e su specifiche campagne di sensibilizzazione.
E, soprattutto, bisognerebbe trovare azioni più incisive di contrasto al gioco illegale, altrimenti, ogni più rigida regolazione del settore legale potrà trasformarsi in un regalo proprio per chi opera fuori dalle regole, fiscali e sanitarie.
L’Eurispes ha peraltro le idee chiare su che cosa sarebbe necessario fare:
1) Istituire “sale da gioco certificate”, con caratteristiche tali da contrastare rischi di illecito, anche grazie ad una formazione specifica del personale, all’accesso selettivo all’ingresso della sala, all’identificazione dell’avventore, alla tracciabilità completa delle giocate e delle vincite, e ad apparati di videosorveglianza interna simili a quelli in dotazione ai tradizionali casinò.
2) Impedire ogni fattore di illecita concorrenza (del gioco illegale rispetto al gioco legale) e in tale direzione andrebbe assicurata una tassazione, anche in sede accertativa, delle vincite dei giocatori che si rivolgono al gioco illegale. Per agevolare la riscossione basterebbe prevedere un monitoraggio fiscale e, a pena di sanzioni, un obbligo di dichiarazione a carico dei vincitori che ricevano vincite in denaro da parte di soggetti non autorizzati.
3) I controlli sul gioco illecito dovrebbero essere resi più efficienti anche attribuendo rilevanza a significativi indicatori di rischio, quali, a titolo di esempio, l’“Indice di presenza mafiosa”, o l’Indice Eurispes di organizzazione criminale (IOC).
4) Aggiornare il concetto di stabile organizzazione. A tale ultimo proposito la Legge di Stabilità 2016 (art. 1, comma 926/931 della legge n. 208/2015) aveva predisposto un meccanismo accertativo di individuazione della stabile organizzazione occulta del soggetto estero, da identificarsi nel “centro trasmissione dati” (al verificarsi di determinati presupposti) con il quale viene firmato il contratto di ricevitoria.
Tutto questo, però, solo sulla carta, dato che la norma, come accade quando si fa meri proclami, è comunque poi rimasta non operativa, per mancanza delle disposizioni attuative.
Infine, sempre sul tema della tassazione delle vincite da gioco illegale, sarebbe opportuno un intervento specifico anche in tema di gioco on line (sempre illegale), rispetto al quale sono ancora più complessi il contrasto e la riscossione.
Ma, proprio in relazione a tale ultimo settore, la domanda che sorge spontanea (come sempre sorge quando si parla di contrasto all’evasione) è la seguente: al di là delle previsioni impositive, esiste un metodo per intercettare le imposte non versate (agevolando così, al contempo, un maggior introito per le casse erariali e una maggiore tutela della concorrenza imprenditoriale, a vantaggio degli operatori legali)?
Le banche, a ben vedere, hanno già oggi il dovere di comunicare all’Aams tutte le transazioni, sia in entrata che in uscita, che vengono effettuate dai loro clienti verso conti gioco che appartengono ai casinò non legali.
E allora perché, per esempio, non prevedere una ritenuta sui flussi finanziari (relativi alle vincite da casinò esteri) ad opera degli intermediari finanziari?
E non si sta parlando di cifre da poco.
Il gioco illegale (nel suo complesso), sulla base delle più recenti stime della Guardia di Finanza, vale tra i 20 e i 25 miliardi di euro.
E di questi (stimando una proporzione analoga a quella del gioco legale), circa il 20% dovrebbe essere riconducibile al gioco on line (e dunque tra i 4 e i 5 miliardi di euro) ed in particolare ai casinò online illegali, quelli che non posseggono una licenza e un dominio .it.
Considerato il dato di 5 miliardi di giro d’affari del gioco on line illegale e considerando che le vincite sono circa il 90%, se si applicasse una ritenuta del 20% tout court, si potrebbero così ottenere nuove entrate per circa 1 miliardo.
E si evidenzia, peraltro, come il fenomeno rilevi anche ai fini ISEE (e dunque anche con riferimento ai presupposti per il reddito di cittadinanza), dato che le vincite contribuiscono chiaramente a fare reddito e quindi vanno dichiarate secondo le modalità previste per il calcolo dell’ISEE.
In un settore tanto delicato si auspica competenza, equilibrio, ragionevolezza e soprattutto strategia.
Quella che, fino ad oggi, è veramente mancata.