Immigrazione, Del Sette: “Servono giusta misura e responsabilità”

“Il tema dell’immigrazione è e sarà ancora per molti anni centrale, per questo è necessario che sia affrontato con la massima attenzione, con la giusta misura e con grande determinazione, da parte dell’Italia, e di tutti gli altri Paesi che insieme ad essa ne sono interessati”. Lo sostiene il generale Tullio Del Sette, ex comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, ora presidente dell’Osservatorio sulla Sicurezza dell’Eurispes, in un’intervista a tutto campo.

Generale Del Sette, qualcuno sostiene che lei non abbia un buon carattere, è così? Lei come si descriverebbe?
Non penso di avere un cattivo carattere e l’affetto – oltre che la considerazione, che verso di me manifestano tuttora tantissimi carabinieri che mi hanno conosciuto direttamente, e altri miei collaboratori o superiori direbbe esattamente il contrario. Probabilmente, la mia determinazione nel perseguire gli obiettivi di efficienza per assolvere a pieno i compiti che via via mi sono stati attribuiti nei diversi incarichi, ha avuto il suo peso e mi ha attirato alcune critiche. Delle quali, comunque, così come di ogni suggerimento, ho sempre fatto motivo di attenta e profonda riflessione per cercare di migliorare, nei limiti delle mie possibilità.

Per quanti anni ha indossato l’uniforme e perché ha intrapreso questa strada?
Ho indossato l’uniforme di carabiniere dal 1970 fino a sei mesi fa, per oltre 47 anni di servizio effettivo. Avevo 19 anni quando sono entrato nell’Arma e ora ne ho 67. Mi hanno attratto due ragioni fondamentali: spendere la vita nel fare qualcosa per gli altri, e poi nel farlo nell’Arma dei Carabinieri, essendo figlio di un carabiniere.

Qual è stato il momento che le ha dato maggiore soddisfazione?
Tutta la carriera è stata una cavalcata lunga e fugace, con le grandi emozioni dell’ingresso in Accademia, come vincitore di concorso; dell’indossare l’uniforme da sottotenente dei carabinieri; di essere chiamato via via a svolgere incarichi sempre più delicati e impegnativi; di essere stato prescelto dall’Arma e da cinque ministri, di diversa estrazione politica e professionale, come collaboratore diretto, responsabile dell’ufficio legislativo o dell’ufficio di gabinetto; di essere stato prima Vicecomandante generale poi Comandante generale del tutto eccezionalmente, unico nella storia dell’Arma nel Dopoguerra.

Qual è stato, invece, il momento più difficile?
Ne ho vissuti, di momenti difficili. Il più amaro, di gran lunga, è stato quello del 22 dicembre 2016, e altri giorni che poi si sono succeduti nell’anno seguente. Momenti nei quali ho trovato il conforto e il sostegno fortissimo della mia famiglia, e di tutti, dico tutti, coloro che mi conoscevano.

Come ha saputo dell’avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta Consip?
Dell’avviso di garanzia ho avuto conoscenza come tutti, il 22 dicembre, da un giornale, lo stesso che poi ha proseguito, più di altri, nel riproporre enfaticamente la notizia.

Se non fosse arrivato l’avviso di garanzia, il suo incarico sarebbe proseguito?
No, era nell’ordine delle cose che il mio incarico durasse tre anni, come quello degli altri vertici militari nominati insieme o dopo di me, e questo per le decisioni assunte dai governi che si sono succeduti in quel periodo, in accordo con la Presidenza della Repubblica, e poi per effetto di una norma di legge, che io stesso ho messo a punto nel 2014, da Capo di Gabinetto del Ministero della Difesa.

Cosa ha provato il giorno in cui ha lasciato l’Arma?
Emozioni fortissime, che ho cercato di testimoniare nel discorso di chiusura durante la cerimonia solenne del cambio con il mio successore, il generale Giovanni Nistri. Gioia e tristezza nello stesso tempo. Difficile da descrivere. Cessava quel giorno per me l’impegno in prima linea che aveva assorbito ogni mia energia per tanti anni.

Chi sono oggi i carabinieri?
Un’Arma che, nell’ultimo mezzo secolo è cambiata molto, così come le altre Istituzioni, e nel complesso la stessa società italiana. Ha conservato le sue radici di forza militare, destinata alla tutela della sicurezza dello Stato e dei cittadini, e al rispetto della legge. L’organizzazione è cambiata molto. Ed in meglio, nel senso che è stata via via aggiornata in ogni settore, per mantenere ed incrementare l’efficienza e la capacità di rispondere alle attese dei cittadini. Oggi l’Arma, con i 110mila carabinieri, è una forza militare di polizia a competenza generale, a vocazione territoriale, così come dalle origini, a proiezione internazionale come nessuna altra forza di polizia in Italia, in Europa e nel mondo.

Nel mondo?
Non sono parole dette per amore, con leggerezza. Sono espressioni meditate e fondate. Ne è dimostrazione, ad esempio, il fatto che siano proprio i carabinieri, la forza di polizia di riferimento per la Stability policy dell’Onu, della Ue e della Nato, chiamati alla formazione e all’addestramento di tante altre forze di polizia, soprattutto nei Paesi che più hanno bisogno di ispirarsi al rispetto dei diritti umani e alla massima professionalità tecnica, alla vicinanza alle comunità e alla gente. Forze di polizia da costituire, da ricostituire o da rendere più rispondenti alle esigenze attuali.

È vero che l’Arma vive un momento difficile?
No, assolutamente, anzi sono anni nei quali l’efficienza complessiva interna ed internazionale dell’Arma si è molto rafforzata. Ho già avuto modo di dire a carabinieri che mi chiedevano perché se un carabiniere commette un reato anche grave, un atto indegno, finisce in prima pagina, magari per più giorni, e questo invece non accade quando analoghi fatti vengono commessi da appartenenti ad altre forze. Tutto ciò accade proprio perché sono carabinieri, e da questi tutti si attendono solo comportamenti corretti. E questo è un bene. Motivo per cui, prima di lasciare, ho voluto racchiudere in un manuale – redatto da un gruppo di lavoro da me incaricato e coordinato – la testimonianza dell’etica del carabiniere, riprendendo l’esperienza importantissima del galateo scritto dal capitano dei carabinieri Grossardi, nel 1879 .

Quindi chi sostiene che l’Arma è in difficoltà, lo fa per interesse?
Le ragioni possono essere tante, una può risiedere nel fatto che naturalmente si è attratti dall’oggi e dal peggio in una società nella quale alla corretta informazione spesso si sostituisce la disinformazione, più rapida e più pervasiva che in passato.

Andiamo indietro nel tempo e raccontiamo qualcosa che pochi sanno: fu lei a ricevere la denuncia della scomparsa di Emanuela Orlandi
Sì. Ero capitano, comandante della Compagnia carabinieri Roma San Pietro, e avevo l’abitudine di controllare ogni giorno i resoconti dei servizi esterni e interni dei reparti dipendenti. Vidi un foglio di servizio, nel quale era riportata l’indicazione che una pattuglia era stata avvicinata a Castel Sant’Angelo dai familiari di questa ragazza, che ne segnalavano la scomparsa dal giorno precedente e avevano consegnato la fotografia, che era stata poi allegata al foglio di servizio; la foto nota a tutti, quella con la fascetta in testa. Immediatamente segnalammo la cosa all’Autorità giudiziaria e all’Autorità di pubblica sicurezza e così poi iniziarono le ricerche risultate purtroppo, a tutt’oggi, infruttuose.

Sette anni a capo dell’ufficio legislativo del Ministero della Difesa, sotto Governi di destra e di sinistra. Poi dal 2014, capo di Gabinetto del Ministro Pinotti. Di quale provvedimento va più fiero?
Sicuramente della codificazione delle leggi e dei regolamenti militari, il decreto legislativo n.66 del 2010 e il decreto del Presidente della Repubblica n.90 del 2010: migliaia di leggi e regolamenti confluiti in due soli testi. È un’opera unica nel panorama militare internazionale.

Fu una sua iniziativa?
Si. Proposta, dapprima, al Ministro Parisi che ne consentì l’avvio, e poi al Ministro La Russa che autorizzò la prosecuzione e la conclusione. Fu portata avanti da un comitato scientifico ristretto del quale sono stato componente: due anni di lavoro intensissimi.

Perché, dopo una lunga carriera, invece di riposarsi, ha deciso di dedicarsi ad un nuovo incarico e ad un nuovo progetto, quello dell’Osservatorio sulla Sicurezza dell’ Eurispes?
Ho accolto con entusiasmo l’invito del Presidente dell’ Eurispes, Gian Maria Fara, a costituire un Osservatorio sulla sicurezza e di guidarlo, giacché si trattava di lavorare, seppure non più sul campo ma intorno un tavolo, insieme ad esperti delle diverse discipline e ai rappresentanti delle Forze armate e di polizia, della Magistratura, e di enti e infrastrutture critiche dello Stato, sul tema cui avevo dedicato la mia vita professionale, quello appunto della sicurezza dello Stato e dei cittadini.

Qual è la mission e quali sono le prime indagini a cui state lavorando?
Abbiamo costituito il comitato scientifico, oggi composto da una cinquantina di personalità ed esperti e messo a punto un programma di massima. La prima ricerca riguarderà i costi della sicurezza e dell’insicurezza. Nel contempo, abbiamo organizzato a Napoli con il Commissario di Governo un primo convegno per la lotta al racket e usura. Nella stessa città, abbiamo in programma di organizzare, d’intesa con la Regione, una conferenza internazionale con più sessioni dedicate alle diverse problematiche afferenti la sicurezza. L’Osservatorio è nato e sta lavorando anche in attuazione dell’accordo di collaborazione che l’Eurispes ha sottoscritto con la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. L’obiettivo è quello di analizzare in maniera scientifica gli argomenti connessi al tema, sempre più attuale, della sicurezza dei cittadini e, nello stesso tempo, produrre informazioni quanto più possibile corrette, complete e approfondite, e dare adeguato risalto alle attività delle Forze di polizia, delle Forze armate, Magistratura, e degli altri soggetti pubblici e privati, attivi su questo fronte.

Perché gli italiani si sentono più insicuri, nonostante i reati siano diminuiti?
Non penso che la percezione di insicurezza sia solo un problema italiano. È vero che i reati, in particolare negli anni 2016 e 2017, sono diminuiti complessivamente e si è ridotto il numero di ciascuno dei reati che maggiormente incidono sulla reale sicurezza dei cittadini, come omicidi, rapine, furti. Diverse le ragioni per le quali, invece, la percezione che si ha è quella di una maggiore insicurezza. Noi ci proponiamo di analizzarle attentamente. I cittadini si attendono un più deciso miglioramento, in linea con il progresso economico, sociale, tecnico, che dovrebbe consentire passi in avanti per la sicurezza in ogni àmbito, a cominciare da quello della propria abitazione, della propria città, luogo di lavoro. Incidono, d’altra parte, la diffusione e la persistenza dell’informazione, non solo quella dei mezzi tradizionali che pure molto si concentrano sulla cronaca nera e in particolare sui fatti più efferati, finanche la Tv con trasmissioni di intrattenimento; ma anche, e in maniera sempre più evidente, con l’informazione che viaggia sulla rete. Incidono le notizie che riguardano esperienze negative traumatiche di altre città, di altre regioni e di altre nazioni, come gli attentati terroristici in altri Paesi europei e del mondo.

L’Italia e il terrorismo: siamo un paese preparato o fortunato?
Siamo un paese preparato e fortunato. Preparato perché abbiamo un sistema di sicurezza basato su una pluralità di Forze di polizia che si integrano a vicenda, perfettamente coordinate, e in rapporto di stretta sinergia con la Magistratura: un sistema sviluppato sulle esperienze del contrasto al terrorismo nazionale, vissuto tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, e alla criminalità organizzata. La pianificazione ed esecuzione dell’attività di prevenzione antiterroristica sono gestite da un tavolo costituito diversi anni fa presso il Dipartimento di pubblica sicurezza, che opera senza sosta, in cui si incontrano e condividono informazioni e analisi i vertici operativi di Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia penitenziaria con quelli dei Servizi di informazione e sicurezza. Sono decine di migliaia i controlli pianificati ed effettuati e centinaia i provvedimenti di espulsione o giudiziari derivati da questa collaborazione; collaborazione nella quale, ormai da tempo, sono stati coinvolti anche organi di altri Stati europei e del mondo.

Non crede ci sia il rischio di sentirsi “immuni”?
Non credo: è stato più volte detto dai Ministri, dal Capo della polizia, da me e dal mio successore, così come da tanti Magistrati, che non possiamo affatto considerarci immuni e per questo dobbiamo continuare a lavorare, ricercando, perché è fondamentale, la collaborazione delle altre Istituzioni, delle Amministrazioni e dei cittadini.

Il tema dell’immigrazione è centrale nel dibattito politico nazionale ed europeo: è d’accordo nel considerarlo il “tema del secolo”? E come lo si deve affrontare?
Il tema dell’immigrazione è e sarà ancora per molti anni centrale; per questo è necessario che sia affrontato con la massima attenzione, con la giusta misura e con grande determinazione, da parte dell’Italia, e di tutti gli altri Paesi che insieme ad essa ne sono interessati. Le sedi giuste sono quelle dell’Unione europea e dell’Onu. Occorrono volontà, senso di responsabilità, trasparenza, condivisione dei progetti, degli sforzi, e delle risorse da parte di tutti. Il lavoro avviato – in particolare a partire dal 2017 – è un lavoro importante, che già ha dato i suoi frutti e che potrà darne ancora di ulteriori, assumendo le giuste e attese decisioni, responsabilmente con senso di umanità, e di giustizia. Nella consapevolezza che in un quadro di sicurezza si può tutti vivere meglio, compresi coloro che tante ragioni spingono a rischiare anche la vita per poter costruire una possibilità di vita migliore.

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