Inclusione e diritti: il ritardo italiano
“Inclusione” è una delle parole chiave del nuovo millennio. Tra le diverse declinazioni dell’inclusione, quando si parla in particolare di quella riferibile all’orientamento sessuale delle persone, questa si intreccia con diversi àmbiti a partire da quello sociale fino a quello lavorativo. Il tema dell’inclusione si combina poi con quello dei diritti di equità e di pari opportunità al di là dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale. Ma a che punto siamo in Italia con l’inclusione delle persone Lgbt+?
Il report annuale redatto dall’ILGA (International Lesbian and Gay Association) si concentra sulla situazione di 49 Stati, stilando una classifica sul livello di inclusione raggiunto in base al rispetto dei diritti umani e civili della comunità Lgbt+ nei singoli paesi.
L’Italia si colloca al 24esimo posto della classifica ed è considerata ultima nell’Europa occidentale. Basti pensare che il dato medio europeo è del 48% mentre il nostro Paese fa registrare un tasso del 25% per il rispetto dei diritti umani delle persone Lgbt. Ancora più in dettaglio, l’Italia è al 26esimo posto su 27 paesi per uguaglianza e non discriminazione; al 33esimo posto su 49 paesi per quanto riguarda le tutele nei confronti della comunità Lgbtq+; in 20esima posizione su 24 per il riconoscimento giuridico delle cosiddette “famiglie arcobaleno”.
Autorizzare il cambiamento di sesso tramite autodichiarazione
Nel Rapporto Italia 2022 l’Eurispes indaga per la prima volta alcuni aspetti dell’inclusione, chiedendo direttamente agli italiani quale opinione esprimano rispetto a due particolari temi.
La possibilità di autorizzare il cambiamento di sesso tramite autodichiarazione dell’interessato, anche senza certificazioni mediche, trova d’accordo meno di quattro italiani su dieci (37,6%) e i contrari compongono la maggioranza (62,4%). Anche il genere non sembra essere, come accade invece solitamente per quanto riguarda argomenti di questo tipo, una variabile degna di nota: infatti sia le donne che gli uomini sembrano essere sulla stessa lunghezza d’onda con rispettivamente il 60,3% e il 64,5% dei contrari al cambio di sesso con autodichiarazione. Questa è comunque una possibilità accettata in misura maggiore dai cittadini vicini al centro-sinistra (47,2%) e alla sinistra (44,3%), mentre i consensi scemano grandemente tra gli elettori del centro (31,7%), della destra (28%) e del centro-destra (26,8%).
Il riconoscimento delle identità di genere che non si rispecchiano nel femminile o nel maschile
Sul riconoscimento delle identità di genere che non si rispecchiano nel femminile o nel maschile, c’è invece maggiore consenso con una quota di favorevoli che divide a metà il campione (49,2%; i contrari sono il 50,8%). Questa opzione trova il favore soprattutto delle donne (52,9% contro il 45,6% degli uomini) e tra i più giovani (il 62,4% dei 18-24enni e il 61,7% dei 25-34enni). Il riconoscimento delle identità di genere che non si rispecchiano nel femminile o nel maschile è una questione che trova ampio diritto di cittadinanza tra le opinioni condivise da chi si sente vicino alla sinistra (65,5%) e, in misura minore, da chi si riconosce nel centro-sinistra (55,1%), mentre è decisamente meno accettata tra chi abbraccia le idee del centro (35,8%) e della destra (35,7%).
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