Principio di insularità: quali i riflessi economici e fiscali della sua introduzione?

insularità

La Camera ha dato recentemente il via libera definitivo alla proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, che mira ad aggiungere il seguente comma all’articolo 119 della Carta: «La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità». È un primo inizio. Ma è un inizio fondamentale. Lo svantaggio competitivo (dovuto, tra le tante altre questioni, a trasporti, costo dell’energia, gap infrastrutturale, mercato interno ritratto, ecc.) cui sono esposte le Isole, ha infatti un costo rilevantissimo (migliaia di euro pro capite, che, tenendo conto della popolazione, corrisponde a miliardi di euro di minore prodotto annuo).

Riflessi fiscali del principio di insularità

Il riconoscimento del principio d’insularità e degli svantaggi che ne derivano ha peraltro anche riflessi fiscali ed economici di rilievo. In tal senso, nel Documento di Programmazione europea 2021/2027 è stata, tra le altre, rilevata l’importanza di creare condizioni di sviluppo paritario per le Isole, chiedendo alle Istituzioni europee, in conformità con quanto già affermato con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 4 febbraio 2016, di prevedere misure specifiche basate su un “Indice di perifericità insulare”, anche in concreta applicazione del terzo comma dell’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che prevede che, nell’ambito della politica di coesione, venga rivolta un’attenzione particolare a quelle regioni – tra cui le Isole – che presentano svantaggi naturali gravi e permanenti, così come già accade, ai sensi dell’art. 349 del TFUE, in riferimento ai territori ultraperiferici. L’obiettivo sarebbe, dunque, quello di stabilire le condizioni di applicazione dei Trattati in materia di aiuti alle realtà insulari, riconoscendo misure di sostegno, anche fiscale, e di incremento della compartecipazione ai fondi strutturali, a compensazione dello svantaggio competitivo che caratterizza il contesto sociale ed economico delle Isole.

 Insularità: un vantaggio competitivo

L’insularità dovrebbe, infatti, essere considerata come uno svantaggio competitivo strutturale, di carattere permanente, tale da integrare i requisiti richiesti dal TFUE all’articolo 107, paragrafo 3, lett. a), affinché gli aiuti possano considerarsi compatibili con il mercato interno. Sarebbe poi comunque necessario individuare degli indicatori mirati e calibrati sulla insularità, che non tengano conto soltanto del Pil, anche considerato che, come rilevato dal parere del Comitato europeo delle regioni del 12 maggio 2017, molti fattori che ostacolano lo sviluppo delle Isole non vengono rilevati ricorrendo al Pil pro capite, essendo più efficace utilizzare l’Indice di competitività regionale e l’Indice di accessibilità.

Superare il principio del Pil come indicatore

Uno dei punti fondamentali riguarda, dunque, il superamento del principio del Pil come unico indicatore, attuando una strategia di fiscalità compensativa che non incorra nella disciplina in tema di aiuti di Stato. Il tema fondamentale è, in sostanza, se l’insularità possa giustificare l’introduzione di regimi fiscali regionali di vantaggio, in deroga alle disposizioni dell’Ue in materia di mercato interno ed aiuti di Stato. Per chiarire tale punto sarebbe opportuno avviare, in sede europea, un confronto con la Commissione, per verificare la sua disponibilità ad ammettere norme volte a ridurre il carico fiscale, quantomeno per un periodo limitato ed ancorché solo per quelle imprese che operino nelle citate regioni insulari. Quanto poi, in concreto, alle possibili misure fiscali di vantaggio, per i territori insulari potrebbero essere istituite delle specifiche “zone franche”, caratterizzate da una riduzione della pressione fiscale a favore delle attività produttive ivi ubicate. Un progetto di una zona franca per territori come la Sicilia o la Sardegna potrebbe del resto trovare occasioni di approfondimento presso le sedi competenti facendo anche leva sull’esperienza francese relativa alla Corsica, laddove, con la legge n. 96-1143, in seguito al giudizio positivo della Commissione, è stata creata una “zona franca”. In realtà, non si trattava di una zona franca in senso tecnico, consistendo più semplicemente in un’area in cui era possibile godere di diversi sgravi fiscali, per cinque anni e limitatamente alle imprese che esercitassero un’attività locale, oppure alle imprese in fase di costituzione o di ampliamento. Però il principio resta e la Commissione Europea, in quell’occasione, non aveva sollevato obiezioni al progetto presentato dal Governo francese, ritenendo che gli aiuti previsti non fossero di natura tale da pregiudicare gli scambi commerciali tra Stati membri.

Alcune conclusioni

In conclusione, , ad oggi, mancano specifiche misure di vantaggio, di ampio respiro, idonee a compensare lo svantaggio competitivo delle Isole. Per quanto riguarda, in particolare, le due realtà principali di Sardegna e Sicilia, le sole misure, soprattutto in àmbito fiscale, di vantaggio sono quelle generalmente previste per il Sud e cioè:

  1. Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali;
  2. “Resto al Sud”;
  3. Sgravi fiscali per pensionati che si trasferiscono al Sud;
  4. Esonero contributivo per assunzioni;
  5. Zes (Zone economiche speciali);
  6. Regime degli impatriati al Sud.

Tali agevolazioni, come detto, sono però rivolte a tutte le Regioni del Sud, e non tengono conto, appunto, degli ulteriori profili di svantaggio tipici delle realtà insulari.

                                                                      

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*Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali.

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