Intelligenza artificiale e regole: serve un impegno dell’Unione sui diritti sostanziali

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La prepotente diffusione dell’Intelligenza artificiale è un tema centrale per capire il percorso evolutivo della rivoluzione tecnologica. Lo dimostra l’attenzione dell’opinione pubblica e le iniziative del Governo, che ha aperto un tavolo di approfondimento. Mentre l’Europa si affretta a definire delle regole per la governance dell’innovazione in questo delicato ambito, Padre Benanti, teologo consigliere di Papa Francesco ha consegnato alla Premier una prima relazione in cui insiste sulla necessità della formazione e del pensiero critico, componenti imprescindibili se vogliamo guidare la ricerca senza rimanere “schiavi” della macchina. Giusella Finocchiaro, Professoressa di diritto privato e di Internet all’Università di Bologna, avvocato cassazionista, tra i massimi esperti di privacy a livello internazionale, ha appena pubblicato per il Mulino “Intelligenza artificiale quali regole?”, un saggio per molti aspetti illuminante.

Prof.ssa Finocchiaro, regolare lo sviluppo tecnologico è una questione complessa che accompagna la storia dell’uomo. Basti pensare alle preoccupazioni di Emanuele Severino che temeva la cieca volontà di potenza della tecnica. L’IA è la sfida, di questo momento. Qual è la posizione di una giurista che da sempre si misura con le fenomenologie del cambiamento?

Tornano alla mente i dialoghi tra Natalino Irti ed Emanuele Severino sul ruolo del diritto e il ruolo della tecnica. Ritengo si ponga primariamente un problema metodologico: occorre innanzitutto comprendere se e quali interventi normativi siano davvero necessari. Già dagli anni Sessanta ci si è interrogati sulla necessità di nuove leggi con riferimento alle nuove fattispecie digitali, potendosi tracciare una distinzione fra chi pensa che le norme vigenti siano sufficienti e chi, al contrario, ritiene comunque un intervento legislativo necessario e, spesso, urgente e indifferibile. È importante ribadire che gli ordinamenti giuridici sono caratterizzati da un’elasticità che consente di assorbire le sollecitazioni provenienti da cambiamenti in ogni settore: da quelli del costume, a quelli sociali, a quelli tecnologici. La conclusione che siano necessarie nuove regole deve profilarsi come l’esito di un processo di attenta verifica delle strade interpretative percorribili e della normativa applicabile, evitando di assumere posizioni apodittiche.

Regolare, certo, ma in che modo?

Giusto farsi questa domanda, che espliciterei meglio: la normazione deve svolgersi attraverso principi generali o regole specifiche? Antonio Cicu, quando nel 1901 si poneva molti degli interrogativi sollevati oggi dall’intelligenza artificiale occupandosi dei contratti per la vendita di merci conclusi con le macchine automatiche, rispondeva facendo ricorso ai principi. Dobbiamo ripartire da lì, se vogliamo venirne a capo.

Il “nuovo però fa paura” come scrive efficacemente nel primo capitolo del saggio. Come si possono esorcizzare i timori che offuscano l’orizzonte di questa società, che Vanni Codeluppi definisce iper-moderna?

In un’epoca caratterizzata dall’ansia viviamo anche l’ansia generata dalla tecnologia, che si prospetta come la grande paura che essa ci possa sopraffare e dominare. Questo è particolarmente vero per l’intelligenza artificiale. È una tecnologia dirompente, la parola “intelligenza” evoca, infatti, una soggettività altra e lo sviluppo e la diffusione della tecnologia sono stati preceduti da decenni di espressioni culturali, da quelle letterarie a quelle cinematografiche, che ne hanno fatto un mito. Ritengo che occorra un esercizio di consapevolezza. È importante essere consapevoli che l’Intelligenza artificiale è protagonista di una narrazione, un nuovo mito, denso di parole seducenti, ma ingannevoli. Si possono così discernere i fatti dalle rappresentazioni di essi, che talora possono rivelarsi fuorvianti.

Lei insiste molto sulla retorica e sui linguaggi che segnano la contemporaneità. I giuristi non sono sempre attenti a questo aspetto. Tra diritto e linguaggio che rapporto c’è?

La retorica e il fascino delle parole inducono a una diversa rappresentazione della realtà. Personalizzano, mitizzano e conducono verso una dimensione fascinosa e apparentemente lontana. Nel caso dell’Intelligenza Artificiale, non si parla di sistemi, di esiti delle ricerche, di errori, difetti o malfunzionamenti, tutte parole proprie della tecnologia, bensì di intelligenza, di oracoli, di allucinazioni, di incantesimi, parole che invece conducono alla dimensione del mito. Abbiamo un portato culturale che ci guida e ci condiziona e indubbiamente questo ha ricadute anche sugli aspetti che potrebbero apparire assolutamente tecnici, freddi e lontani, come quelli giuridici: coloro che interpretano o che scrivono le regole sono inevitabilmente condizionati dalla cultura di cui sono portatori.

“Regole in fretta ma non frettolose” si legge. Se pensiamo allo “stop” imposto dal Garante a Chat Gpt e alle polemiche che ha generato, si diventa scettici sulla stratega da seguire. Che cosa pensa al riguardo?

Penso che certo occorrono le regole, non una legislazione di emergenza. Uno dei modi di reagire alla paura e all’ansia è costituito dall’invocare una regolazione. L’urgenza di placare l’ansia, in questo caso, deve cedere il passo alla ponderazione: norme capaci di regolare il fenomeno nel lungo periodo, neutre dal punto di vista tecnologico, coordinate a livello globale, questo serve.

La responsabilità è un altro termine “pesante”. Come cambia sulla spinta dell’innovazione tecnologica?

La responsabilità è tra le categorie giuridiche maggiormente soggette alle sollecitazioni determinate dai mutamenti tecnologici. Già in relazione al tema dei danni cagionati dal software ebbe luogo un approfondimento dottrinale molti anni fa e, allora come ora, si indagava chi dovesse rispondere dei danni cagionati dal software. Anche in questo caso, occorre innanzitutto verificare le strade percorribili alla luce delle norme esistenti e, solo successivamente, guardare alla legislazione futura. Così procedendo, nel campo dell’intelligenza artificiale, da un lato, si scopre che alcune risposte ci sono già. Dall’altro, che non sono necessarie tanto nuove regole, quanto piuttosto nuovi paradigmi.

Che cosa vuol dire in concreto?

Vuol dire che solo in parte le regole attualmente vigenti possono fornire una soluzione soddisfacente. Ciò che occorre è un nuovo modello, e poi nuove regole. Quando i sistemi di intelligenza artificiale producono risultati non prevedibili a priori, sarebbe necessario elaborare un nuovo modello che prescinda dal dolo, dalla colpa e financo dalla ricerca dell’errore e che allochi la responsabilità civile sulla base di un sistema di condivisione del rischio fra i diversi attori del sistema. Saranno poi gli attori principali del mercato a ripartire efficacemente il rischio fra di loro, all’interno del sistema individuato.

Michele Mezza in un recente intervento faceva notare che sono passati 550 anni dal primo brevetto e dalla prima legge europea sul copyright, chiedendosi se non fosse il caso di fare qualcosa. Qual è il destino dell’autore nella dinamica di questo cambiamenti epocali?

Anche in questo caso, la questione è se non si debba elaborare un nuovo paradigma. È necessaria una riflessione culturale, prima ancora che giuridica, muovendo dall’interrogativo se oggi l’autore sia ancora necessariamente la persona fisica individuata dalle legislazioni dell’età romantica. Infatti, la legislazione continentale in materia di diritto d’autore è nata in piena età romantica, nell’Ottocento, ed è questa visione che prevede, implicitamente o esplicitamente, che l’autore sia un essere umano, al quale riconoscere diritti morali e patrimoniali. Anche il concetto di creatività si intende implicitamente strettamente collegato alla persona fisica. Nulla esclude che l’autorialità possa essere diversamente sentita e poi formulata, anche giuridicamente. È accaduto così in altri momenti storici in cui addirittura la figura dell’autore non era valorizzata, né dalla cultura dell’epoca, né, conseguentemente, dal diritto. Per il momento, la giurisprudenza, in diversi ordinamenti del mondo, nega che un programma possa essere considerato autore, sotto il profilo giuridico. In alcuni casi, si è ritenuta tutelata dal diritto d’autore l’opera prodotta dal sistema di AI, riconoscendo la titolarità del diritto all’autore umano.

In conclusione, mi piacerebbe che Lei toccasse il tema della “armonizzazione” legislativa. Nel libro si paventa il rischio di una “burocratizzazione digitale”. Non sarebbe un paradosso in una società tecnologizzata, che per sua natura dovrebbe tendere a semplificare e velocizzare processi e decisioni?

Ancora una volta ci troviamo di fronte a una sfida innanzitutto culturale. Il rischio di creare o di consolidare una nuova burocrazia e un nuovo formalismo digitali trae origine da un processo di digitalizzazione che consista per lo più nel riprodurre nel digitale il procedimento analogico. Occorre uno sforzo in termini di consapevolezza digitale, che consenta una corretta comprensione delle metafore di cui il linguaggio, anche giuridico, si serve a fini cognitivi, affinché le prassi consolidate nell’analogico non condizionino in modo inerziale il ragionamento giuridico. Quanto, in particolare, al campo dell’intelligenza artificiale, il legislatore europeo, nel Regolamento che stabilisce regole armonizzate per l’AI, l’ormai celebre “AI Act”, ha essenzialmente definito una cornice di natura amministrativa per l’immissione nel mercato dei prodotti di Intelligenza artificiale, prevedendo molti obblighi, anche di natura formale, per giungere alla certificazione europea dei prodotti. Il rischio è che questo approccio comporti una burocratizzazione del mercato europeo dell’Intelligenza artificiale, senza creare una maggiore tutela dei diritti. L’Europa deve andare oltre l’approccio organizzativo e gestionale e assumere un impegno sui diritti sostanziali e sugli strumenti per renderli effettivi, un impegno che soltanto l’Unione, in questo momento storico, potrebbe affrontare.

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