Equo compenso o tariffazione?

Il Codice dei Contratti e l’equo compenso

Se solo il Codice dei Contratti fosse stato promulgato il 1° luglio 2023 (data della sua entrata in vigore) oggi non dovremmo affrontare questa spinosa questione, circa la portata e le modalità applicative della legge n. 49 del 21 aprile 2023 che ha introdotto “l’equo compenso” per i professionisti. Disposizione che di fatto modifica i criteri di aggiudicazione previsti nel Codice degli Appalti, vincolando il prezzo dei servizi professionali, o almeno così sembrerebbe.

Ma andiamo per ordine.

Equo, secondo la definizione offerta dall’articolo 1, della legge n.49 del 2023, significa «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:

  1. a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della Giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n.247;
  2. b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.27;
  3. c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, con cadenza biennale, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7 dell’articolo 2 della medesima legge n.4 del 2013».

Il doppio criterio di definizione dell’equità del compenso

Di tale previsione dobbiamo focalizzare una peculiarità – a nostro avviso ‒ non adeguatamente valorizzata, neanche nell’ambito delle interpretazioni fornite dagli organi istituzionali; la presenza di un doppio criterio di definizione dell’equità del compenso, legato a due parole che meritano una particolare attenzione interpretativa. Il primo criterio che impone la proporzionalità con la quantità e la qualità del lavoro da svolgere (anche se il legislatore utilizza “svolto”) e la conformità alle previsioni dei preziari di riferimento per le diverse categorie professionali.

Potremmo immediatamente chiederci cosa avrebbe potuto/dovuto scrivere il Legislatore se avesse voluto semplicemente affermare che i compensi dei professionisti debbono essere calcolati attraverso l’applicazione puntuale delle tariffe professionali; probabilmente proprio la frase in corsivo. Perché ha ampliato la formula testuale della norma, introducendo concetti legati all’attività svolta, che quindi non possiamo non legare all’attività effettivamente svolta? Essendo quella potenziale già ricompresa nei formulari delle tariffe professionali: ad esempio, per i tecnici (geometri, periti, architetti, ingegneri, etc.) esiste una formula automatizzata che viene elaborata da un foglio di calcolo elettronico messo a disposizione dai siti e dai software di ingegneria che richiama espressamente il Dm 17 giugno 2016 come modificato dal D.Lgs.36/2023 allegato I.13, in vigore dal 1° luglio 2023. 

Avrà forse voluto preservare un margine di autonomia di giudizio in capo al professionista incaricato di definire il proprio compenso in ragione di fattori personali e professionali che non potremmo mai esaustivamente elencare in questa sede?

Facciamo un esempio

A mero titolo di esempio, qualora io abbia appena progettato un impianto fotovoltaico su un immobile “A” e l’Amministrazione pubblica avesse necessità di replicare l’impianto anche su un immobile B dalle caratteristiche molto simili, ben potrei ottenere delle “economie di scala” in fase di progettazione, sia in termini di tempi di esecuzione che di impegno progettuale che potrebbero indurmi a considerare equo un compenso più basso di quello “tariffario”; in un caso simile, ad esempio, interpretando rigidamente la norma come obbligo di applicazione degli importi a tariffa, la PA sarebbe costretta a pagare più di quanto ritenuto giusto dallo stesso professionista. In passato una simile situazione, in assenza della norma (legge 49/23) avrebbe anche potuto essere letta dalla Corte dei Conti come possibile danno erariale, ma questo è un altro discorso.

Possibile che per la progettazione di un medesimo impianto su dieci palazzine gemelle il primo[1] e l’ultimo progetto (ricalcato a vetro dal primo) possano costare alla PA la stessa cifra? Proprio come dieci progetti del tutto differenti fra loro? Oppure che un progetto da dover consegnare in trenta giorni possa costare come il medesimo progetto fatto, senza fretta, entro sei mesi dall’aggiudicazione?

Ovviamente è una provocazione, un’immagine ridicola per semplificare un concetto complesso e per sottolineare che i parametri che possono incidere sulla valutazione di una parcella sono tutt’altro che banali e anche molto diversi da caso a caso; si è ben consci della delicatezza e della complessità delle attività professionali svolte da ingegneri e architetti, soprattutto con riferimento ai lavori pubblici.

Peraltro, proprio in questa sede non è possibile esimersi dal rimarcare che se concordiamo appieno con l’idea che i professionisti “esterni” alla PA abbiano il diritto di ricevere un compenso equo, siamo certi che tale equità di compensi debba essere riconosciuta anche ai medesimi professionisti inquadrati all’interno dell’Amministrazione pubblica: fatichiamo a riconoscere l’equità in un sistema nel quale se il medesimo progetto appaltabile – secondo le richiamate tariffe – a 100.000 euro venga svolto da un professionista dipendente dell’Amministrazione, questi non abbia diritto neanche a un decimo di quel valore; ma anche in questo caso ci addentriamo in un àmbito differente che, seppure meriti pari dignità e ci stia particolarmente a cuore, non è oggetto dell’approfondimento odierno.

L’equo compenso e la legge 49/2023

Torniamo sul tracciato principale. Esaminato l’articolo 1, anche sul secondo sarebbe necessario qualche approfondimento.

Possibile che l’equità perseguita trovi applicazione solo negli affidamenti fatti da alcune specifiche tipologie di stazioni appaltanti e non da altre?

È veramente configurabile l’ipotesi che una SA sia “costretta” a pagare 10 una prestazione che il medesimo professionista ha erogato a 7 nei confronti di un’altra SA o di un privato, per il solo fatto di essere citata nell’articolo 2, comma 3, della legge 49/2023[2]?

Collegando l’equità negli appalti a professionisti alla tariffa, senza alcuna facoltà di deroga ‒ che peraltro viene prevista come causa di nullità dell’affidamento, di riconoscimento del danno a favore del professionista e di condotta disciplinarmente sanzionabile in capo al medesimo professionista che abbia presentato un preventivo inferiore alla tariffa e/o abbia omesso di segnalare alla SA l’impossibilità di scendere sotto ai compensi tariffari ‒ non sarebbe impossibile che il mercato “fra privati” e quello “fra privati e pubblico” si attestino su valori medi anche significativamente differenti.

Per uscire da questi ragionamenti ‒ che difficilmente porteranno ad una soluzione ‒ possiamo soffermarci sulla questione del coordinamento della norma oggetto di analisi con la previsione dell’articolo 8, comma 2 del Codice, che prevede la possibilità, seppur “in casi eccezionali e previa adeguata motivazione” dell’erogazione di prestazioni professionali a titolo gratuito.

A meno di voler ipotizzare che la legge 49/2023 abbia implicitamente abrogato anche tale previsione del Codice, oltre a quella parte del comma 3 del medesimo articolo 8 del Codice che prevede le “donazioni di prestazioni”, dovremmo ipotizzare che deroghe all’utilizzo delle tariffe per la determinazione dell’equo compenso siano possibili “in casi eccezionali e previa adeguata motivazione”, non solo al fine di ottenere prestazioni gratuite, ma anche a prezzi inferiori.

Del resto gli interpreti hanno anche messo in discussione l’applicabilità della norma (legge 49/2023) al settore degli appalti pubblici, nonostante il richiamo espresso in essa contenuto, alla luce dei contrasti con le norme speciali vigenti nello specifico settore, posizione peraltro parzialmente sostenuta anche dall’ANAC.

Le possibili soluzioni indicate dall’ANAC

L’Autorità Nazionale Anticorruzione , in attesa dei chiarimenti o della modifica normativa a suo tempo richiesta per dirimere i possibili contrasti normativi, ha illustrato le tre possibili soluzioni proposte anche nel testo del bando tipo n. 2/2024 in consultazione, ovvero:

  1. procedure di gara a prezzo fisso, con competizione limitata alla sola parte tecnica;
  2. procedure di gara da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui l’importo a base d’asta è limitato alle sole spese generali;
  3. inapplicabilità della disciplina dell’equo compenso alle procedure di evidenza pubblica, con conseguente ribassabilità dell’intero importo posto a base di gara.

Quest’ultima ipotesi è stata recentemente bollata come illegittima dal TAR del Veneto, che nella sentenza del 3 aprile 2024 n. 632. Afferma che «l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici» anche in quanto «diversamente opinando, l’intervento normativo risulterebbe privo di reale efficacia escludendo i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia».

Il Tar, inoltre, afferma che il ribasso sul compenso professionale posto a base di gara si risolverebbe «in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa» mentre dovrebbe ritenersi ammissibile «in ragione della libertà, per l’operatore economico, formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia spese e oneri accessori».

Proprio su quest’ultimo punto, che peraltro riprende l’ipotesi interpretativa che ha riscosso il maggior successo, vale formulare alcune considerazioni.

Nel tentativo di semplificare un àmbito intrinsecamente complesso, ipotizziamo che l’offerta professionale si componga di due macro voci: prestazione e spese e oneri accessori, assumendo che questa seconda voce sia finalizzata a compensare, meglio rimborsare, le spese generali che il professionista dovrà sostenere per erogare la prestazione, e che sia quantificabile (da tariffa) in circa il 25% della parcella.

L’indicazione data, da ultimo, dal Tar del Veneto si concretizza nel legittimare una procedura di affidamento dove si chieda di formulare un ribasso esclusivamente sulla seconda componente; in altre parole, la base d’asta su una prestazione che vale 100 sarà 25. Quindi, il massimo dello sconto ammissibile sarà proprio questo 25 (ovvero il 100% delle spese e oneri accessori).

Sorvolando sulle distonie che tale modalità applicativa potrebbe generare in una dinamica competitiva di affidamento, rimane il dubbio su come questa interpretazione possa garantire l’effettiva tutela della equità del compenso del professionista.

Scendendo nel pratico, se quelle spese il professionista dovrà comunque sostenerle (e se tale quantificazione è stata elaborata dalle commissioni preposte alla definizione delle tariffe e della quota di oneri e spese generali, non abbiamo alcun dubbio sulla effettività di tali oneri), significa che lo farà spendendo, o meglio distraendo, la corrispondente parte della propria parcella; quindi non riceverà un “compenso equo”.

Conclusioni

Pur non potendo rispondere a tutti gli interrogativi ancora aperti sulla questione, possiamo certamente affermare che i principali effetti del mancato coordinamento delle diverse normative, siano:

  • l’oggettiva difficoltà di gestire gli affidamenti di servizi intellettuali/professionali da parte delle stazioni appaltanti, che ha probabilmente indotto una diminuzione degli incarichi, ed un incremento dei contenziosi;
  • l’innalzamento del valore degli incarichi professionali, e quindi dei costi a carico dello Stato.

Dall’osservazione dell’evolversi delle ipotesi interpretative formulate fino ad oggi, al netto delle soluzioni che saranno adottate, sembrerebbe che dei tre parametri introdotti (nell’articolo 1 della legge 49/2023, sebbene poi non confermati neanche negli articoli successivi) per definire il compenso del professionista “equo”, ovvero:

  • proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;
  • proporzionato al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale;
  • conforme ai compensi previsti dai parametri fissati con appositi decreti ministeriali;

sia stato ritenuto degno di considerazione solo l’ultimo. Chi scrive ritiene che la possibile soluzione potrebbe prendere le mosse da una maggiore valorizzazione dei concetti espressi nei primi due parametri; purché si accetti l’idea che l’unico soggetto in grado di apprezzarne l’effettività sia proprio il professionista. Questo anche in considerazione della scelta fatta dal Legislatore di regolamentare l’intero settore con un’unica norma accomunando attività professionali anche molto differenti fra loro: l’alternativa potrebbe essere anche la differenziazione, e quindi la personalizzazione, delle disposizioni normative sulla base quantomeno delle categorie professionali.

Del resto, l’assoluta necessità di un intervento normativo volto a chiarire la portata della legge 49/2023 e le modalità di coordinamento con il Codice dei Contratti appare evidente anche dalla manifesta difficoltà in cui si è trovata anche l’ANAC che, non riuscendo a dirimere la questione, è stata costretta a proporre addirittura tre soluzioni interpretative, anche concettualmente opposte fra loro, nell’ambito del bando tipo.

Riprova della assoluta urgenza di risolvere tale criticità è il recentissimo intervento dell’ANAC (atto del 27 giugno 2023) con il quale si auspica un chiarimento della Cabina di Regia e dei Ministri dell’Economia e delle Infrastrutture.

Più che di un auspicio si tratta della richiesta di una soluzione tempestiva: «È estremamente urgente un intervento interpretativo o normativo delle Istituzioni che possa consentire la corretta e uniforme applicazione della normativa di riferimento», lasciando trasparire una propensione per la non applicabilità della norma nell’ambito degli appalti pubblici.

Sostanzialmente, nel sottolineare il conflitto fra le due normative, si pone l’accento sul fatto che la finalità auspicata dalla 49/23 è già perseguita e tutelata nell’ambito del Codice dei contratti, con disposizioni presenti nell’articolato, che tutelano, tra gli altri, il principio della giusta retribuzione, della sostenibilità economica e dell’inammissibilità dei ribassi eccessivi.

L’Autorità, inoltre, accenna al possibile contrasto con la normativa comunitaria della previsione di tariffe, minime e/o massime, che ostacolerebbe il libero svolgimento delle dinamiche concorrenziali; principio richiamato dalla Corte di Giustizia, sia con la sentenza del 4/7/2019 (causa C-377/2017), ove si afferma che l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea; sia con la recentissima sentenza del 25/1/2024 (causa C-438/2022) nel cui ambito si afferma che le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza.

Tanti dubbi interpretativi, una sola certezza: la necessità di un intervento chiarificatore.

 

[1] Per la realizzazione del quale sono serviti rilievi, restituzioni grafiche, analisi paesaggistiche, indagini sismiche, indagini geognostiche, etc.

[2] Art. 2, c. 3. Le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Esse non si applicano, in ogni caso, alle prestazioni rese dai professionisti in favore di società veicolo di cartolarizzazione né a quelle rese in favore degli agenti della riscossione. Gli agenti della riscossione garantiscono comunque, all’atto del conferimento dell’incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta.

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