Scuola e cittadini italiani di domani

scuole italiane

Qual è la composizione ideale delle classi nelle scuole italiane? Una questione che dovrebbe prescindere, come tutte le altre connesse, dalle ragioni contingenti o dall’orientamento del Governo in carica, se davvero si convenga, come ha osservato Gian Maria Fara su questo magazine il 12 febbraio scorso, che «la scuola è una priorità che va oltre la politica». Il dibattito è ripreso dopo la polemica sulla chiusura di una scuola milanese in occasione del Ramadan (causa il gran numero di bambini di fede musulmana che di solito si assenta). Sembrava che la questione fosse conclusa con l’intervento del Presidente della Repubblica. Mattarella, senza alcun riferimento al fatto specifico, aveva espresso stima e apprezzamento per il lavoro svolto dai professori. 

Nella scuola di Pioltello è stata fatta una scelta didattica e non religiosa

Invece, il ministro Salvini ha voluto precisare: «Serve un tetto del 20% di alunni stranieri per classe. Come fa sennò una maestra a spiegare?» e il ministro Valditara ha aggiunto: «la maggioranza degli alunni deve essere italiana» ‒ enunciando il principio in un post che ha suscitato ilarità per la costruzione sintattica («gli alunni si assimileranno (…) se nelle scuole si insegni (…)»). Cos’era accaduto? A Pioltello (Milano) era stata decisa all’unanimità la chiusura dell’Istituto Iqbal Masih per il 10 aprile coincidente con la fine del Ramadan, una «scelta didattica e non religiosa», legata alla previsione di numerose assenze e all’inopportunità di svolgere il programma in aule vuote. Nell’Istituto infatti c’è una folta presenza di alunni di fede islamica. Le parole dei due ministri sono interpretabili in base al contenuto e alla tempistica. Sottendono il disappunto del Governo ed esprimono l’intento di prevenire, in futuro, situazioni di questo tipo. Riduciamo la presenza degli stranieri in classe, così quelle esigenze saranno meno rilevanti e non ci sarà motivo di adottare delibere di quel tipo. Il pensiero di fondo è che, chiudendo la scuola per tenere conto dei ragazzi musulmani, venga meno il principio di “italianità”.

La scuola è frequentata da tutti, e c’è un diritto generale alla prosecuzione delle lezioni

Ora è vero che l’episodio si sarebbe potuto concludere diversamente. La scuola è frequentata da tutti, non solo dai bambini di fede mussulmana, e c’è un diritto generale alla prosecuzione delle lezioni. Insomma, sarebbe stato più equilibrato mantenere aperta e funzionante la scuola, in quanto istituzione a servizio della collettività, pur considerando legittima l’assenza di coloro che osservano il Ramadan. Questo specifico episodio, pur accaduto nell’ambito scolastico, ha comunque rinfocolato la polemica sui fenomeni migratori. In particolare le proposte formulate, a causa del modo semplificato e della forma riduttiva, sono sembrate animate dal mero intento di restringere la presenza straniera nelle classi. Stavolta non si parla dell’immigrazione in sé, con riferimento all’ingresso nel Paese, sul quale è ben noto l’orientamento del Governo. Nel caso della chiusura delle classi, non si menziona il problema dell’arrivo degli stranieri, dei motivi che li spingono, e in definitiva del perché soggetti d’altra estrazione etnica o religiosa partecipino sempre più frequentemente alla vita del Paese. È tuttavia evidente che si avverte il medesimo senso di disappunto.

Stavolta il fenomeno migratorio emerge a proposito di persone che sono già presenti in Italia

Stavolta colpisce che il fenomeno migratorio emerga in certo senso indirettamente e a proposito di persone che sono già presenti in Italia (comunque siano arrivate), che vi lavorano da tempo e che magari, come accade spesso per i bambini che frequentano le nostre classi, sono persino nati nel nostro Paese, distinguendosi dagli altri solo perché non possono considerarsi cittadini italiani almeno sino alla maggiore età. Non è una differenza da poco. Il paradosso è che si parli drasticamente di “stranieri” a proposito di bambini e ragazzi che, pur avendo genitori di altra nazionalità, da sempre abitano qui, frequentano le nostre città, parlano perfettamente la lingua, magari con accenti dialettali, e frequentano i nostri figli. Eppure, verso di loro, si avverte diffidenza, scetticismo, avversione a motivo delle loro credenze, in contraddizione con i princìpi di uguaglianza e partecipazione tutelati dalla Costituzione

Il paradosso è che si parli drasticamente di “stranieri” a proposito di bambini e ragazzi che frequentano le scuole italiane

A ben vedere, per orientarsi è opportuno soffermarsi sull’approccio. Parlando di popolazione scolastica e di istruzione, si possono usare molteplici categorie logiche ed argomentative, e pare imprescindibile richiamarsi innanzi tutto al grado dell’apprendimento, quale che sia la provenienza o l’identità del soggetto. Del resto, a considerare le prove Invalsi più recenti, non è raro osservare clamorose difformità generali su tutto il territorio, quanto a conoscenza degli strumenti linguistici, o delle nozioni tecniche, non riconducibili alla provenienza etnica. Invece qui il dato di partenza è la scelta di criteri descrittivi (gli stranieri, gli italiani) che chiaramente distinguono le persone in base alla discendenza, all’origine, alla nazionalità (trascurando, per esempio, che proprio le prove Invalsi evidenziano per i cosiddetti stranieri una maggiore facilità di apprendimento delle lingue). Naturalmente c’è, ed è serio, un problema didattico nella popolazione scolastica, derivante dal grado basilare di comprensione della lingua italiana, anche legato alla pratica d’uso, alle consuetudini, infine alla dimestichezza con grammatica, sintassi, lingua italiana. Sarebbe errato negare che l’uso in famiglia della lingua possa essere determinante. Ma sembra prevalere su tutto, nell’impostazione del Governo, la distinzione demografica, che poi incide sui rimedi immaginati.

La diversità non è disvalore, il concetto di integrazione implica un senso di comunità

La ricetta del ministro dell’Istruzione si riassume nella parola «assimilazione», e l’uso di questo concetto non è privo di significati e conseguenze. C’è una semplificazione riduttiva. L’assimilazione richiama le nozioni di assorbimento, acquisizione. La diversità come disvalore. Il concetto di integrazione invece, più articolato e complesso, implica il senso di una comunità, alla quale tutti partecipano. L’identità come frutto della pluralità. D’altra parte, la discussione sulle percentuali rischia di essere fuorviante. A rigore, le basse percentuali di presenze dovrebbero essere compensate in nome della praticabilità almeno con il raddoppio delle classi, altrimenti sarebbero indicazioni astratte e avrebbero l’effetto di contrarre l’istruzione rivolta a quei soggetti. Ancora una volta serve trasparenza: si tratta di chiarire quale sia lo scopo reale dei propositi, se cioè si tratti (come dovrebbe essere) di migliorare l’apprendimento dei più disagiati (tutti, a prescindere da provenienza, identità sociale, contesto territoriale) oppure di ridurre (sarebbe deleterio) la partecipazione di alcuni, scriminati per la fede religiosa e di riflesso per l’origine.

Mentre si denuncia la componente “straniera” si trascura che la scuola è la principale forma di integrazione e socializzazione

Poi, nel pronunciarsi sul tema, si omettono dati di fatto, di cui si dovrebbe tenere conto: intanto è da quindici anni che esiste una disposizione con la quale si fissa al 30% la percentuale auspicabile di studenti non madrelingua. Poi si trascura che anche questo limite è comunque di difficile applicazione nelle zone con forte presenza di migranti. In molte classi del Nord Italia, e in interi quartieri, gli “stranieri” sono in misura superiore alla metà, per non dire che ci sono anche classi interamente composte di bambini non madre lingua. Cosa facciamo? Chiudiamo le porte dopo aver raggiunto la percentuale? Il punto è che realisticamente (ed eticamente) la misura delle presenze non può essere stabilita senza considerare il numero complessivo degli studenti, e senza valutare altri fattori, come numero delle classi e degli insegnanti, ad esempio. Il rischio, con la fissazione di percentuali svincolate dal reale, è solo comprimere l’accesso all’istruzione dei cosiddetti stranieri. Non si considera appieno quanto tutto ciò sarebbe non solo contrastante con il diritto allo studio garantito dalla Costituzione, ma politicamente controproducente. Proprio mentre si denuncia la “pericolosità” della componente “straniera”, si trascura che la scuola è la principale forma di integrazione e socializzazione, un concetto fondamentale a proposito di qualunque condizione di disagio giovanile, a prescindere dalla provenienza etnica.

Misurare le presenze di alunni stranieri è controproducente e rischia di comprimerne l’accesso all’istruzione 

Piuttosto andrebbe coltivato il disegno opposto di rafforzare e migliorare l’insegnamento nei confronti della parte della popolazione scolastica in affanno, e qui il discorso dovrebbe riguardare tanto gli studenti immigrati o di seconda generazione, quanto tutti gli altri, che accusano difficoltà perché provenienti da ambienti meno qualificati culturalmente. Andrebbe considerato che, a distanza di otto anni dall’introduzione, è latitante la figura dell’insegnante di italiano per stranieri, cioè quel ruolo che avrebbe dovuto colmare il divario tra alunni madrelingua e non. Basti ricordare che, nell’ultimo concorso per 44mila posti, quelli riservati a dette figure erano solo 51. Inoltre, andrebbe valutato il modo di rendere praticabile un ben diverso limite, il tetto di alunni per classe, in modo da avere un rapporto insegnante – studenti su basi numeriche accettabili. Il numero confligge con la qualità sempre, non solo quando sono presenti gli stranieri. È impensabile una didattica a misura di alunno con classi troppo numerose, e tenerne conto gioverebbe a tutti, madre lingua o meno.

Nelle scuole italiane andrebbe rafforzato l’insegnamento nei confronti della popolazione scolastica in affanno

La scuola dovrebbe essere messa in condizione di sopperire alle difficoltà degli alunni, che, dati Invalsi alla mano, per quanto riguarda i non madre-lingua arrivano al termine della scuola dell’obbligo con un ritardo grave nelle competenze di italiano, che è di uno-due anni a seconda che siano nati o meno in Italia. Soffermandosi su questi aspetti, si aprirebbe un discorso diverso e costruttivo, seppure più impegnativo e costoso. È la scuola nel suo complesso che andrebbe rimodulata nelle sue componenti di base (numero degli insegnanti, figure professionali, strutture e materiali, metodi di istruzione) perché possa garantire a tutti le condizioni di integrazione e di apprendimento.

 

*Angelo Perrone, è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli.

Leggi anche

Ultime notizie
Lavoro

La “mobilità circolare” dei giovani nell’area mediterranea

I giovani protagonisti del cambiamento Lo spazio Mediterraneo è un bene comune (“common good”) che appartiene a tutti gli Stati della UE ed...
di Avv. Angelo Caliendo*
Osservatorio sulla PA

Equo compenso o tariffazione?

Se solo il Codice dei Contratti fosse stato promulgato il 1° luglio 2023 (data della sua entrata in vigore) oggi non dovremmo affrontare questa spinosa questione, circa la portata e le modalità applicative della legge n. 49 del 21 aprile 2023 che ha introdotto “l’equo compenso” per i professionisti. Disposizione che di fatto modifica i criteri di aggiudicazione previsti nel Codice degli Appalti, vincolando il prezzo dei servizi professionali, o almeno così sembrerebbe.
di redazione
Intervista

Insularità, PNRR, fondi europei: il caso Sicilia

A più di un anno dall’introduzione nella nostra Costituzioni del principio di Insularità sono corrisposte politiche di sostegno e finanziamento delle attività necessarie a realizzare tale principio? Qual è l’incidenza dei fondi europei sulle attuali politiche di rigenerazione urbana e di sviluppo delle isole? Ne abbiamo parlato con chi ogni giorno deve confrontarsi con la gestione di una realtà complessa come quella della città di Catania: l’ingegner Biagio Bisignani, Direttore URB@MET.
di redazione
corse
Intervista

L’insularità possibile: il caso Corsica. Intervista a Marie-Antoinette Maupertuis, Presidente dell’Assemblea corsa

La Corsica è uno dei modelli europei in merito all’insularità e alle iniziative intraprese per favorire la coesione territoriale e l’autonomia fiscale necessaria per l’economia corsa, dinamica ma gravata da una “crescita depauperante”. Ne parliamo con l’Onorevole Marie-Antoinette Maupertuis, economista e Presidente dell’Assemblea della Corsica.
di Daniela Pappadà
corse
corse
Osservatori

Insularité possible: le cas de la Corse. Entretien avec Marie-Antoinette Maupertuis, Présidente de l’Assemblée de Corse

Insularité possible: entretien avec l’Honorable Marie-Antoniette Maupertuis, Presidente de l’Assemblee de Corse.
di Daniela Pappadà
corse
intelligenza
Intervista

Intelligenza artificiale e regole: serve un impegno dell’Unione sui diritti sostanziali

Intelligenza artificiale e diritto, ne parliamo con Giusella Finocchiaro, Professoressa ordinaria di diritto privato e diritto di Internet all’Università di Bologna. Per non cadere in un rischioso processo di “burocratizzazione digitale” bisogna partire da elementi culturali prima che giuridici, senza perdere di vista i princìpi.
di Massimiliano Cannata
intelligenza
Sicurezza

Tecnologia, sicurezza e istruzione: intervista a Nunzia Ciardi, Vice Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale

La tecnologia è entrata di forza nella scuola grazie alla DAD, che in pandemia ha permesso a milioni di studenti di seguire le lezioni da casa. Bisogna continuare su questa strada e sfruttare le potenzialità offerte dalla tecnologia in àmbito scolastico e formativo secondo la dott.ssa Nunzia Ciardi, Vice Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
di Massimiliano Cannata
scuole italiane
Immigrazione

Scuola e cittadini italiani di domani

La questione della presenza degli stranieri nelle scuole implica un’ambivalenza di obiettivi: migliorare la qualità dell’istruzione a prescindere dalla discendenza, oppure comprimere il diritto costituzionale all’apprendimento. La scuola deve avere una funzione di istruzione e integrazione sociale.
di Angelo Perrone*
scuole italiane
insularità
Intervista

Insularità e perifericità: costi e correttivi nell’intervista al Prof. Francesco Pigliaru

L’insularità si lega spesso all’idea di una compensazione economica, ma bisogna distinguere tra condizioni di prima e seconda natura legate all’insularità, come spiega il Prof. Francesco Pigliaru nell’intervista dedicata al tema delle isole e della continuità territoriale.
di redazione
insularità
insularità
Intervista

Il diritto costituzionale all’insularità: intervista al Prof. Tommaso Edoardo Frosini

Il professor Tommaso Edoardo Frosini, Ordinario di diritto pubblico comparato nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, evidenzia le attinenze tra diritto costituzionale all'insularità e uguaglianza, così come sancito dalla nostra Costituzione, e individua trasporti e digitale come i settori nei quali investire per le isole.
di redazione
insularità