Il diritto costituzionale all’insularità: intervista al Prof. Tommaso Edoardo Frosini

insularità

Nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio sull’insularità dell’Istituto Eurispes, pubblichiamo l’intervista al Professor Tommaso Edoardo Frosini, Ordinario di diritto pubblico comparato all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il Prof. Frosini evidenzia la sostanziale attinenza tra il diritto costituzionale all’insularità e il compimento dell’art. 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza tra tutti i cittadini italiani, dunque senza iniquità determinate dal territorio in cui si vive. Inoltre, per creare una vera continuità territoriale e dare ai cittadini delle isole le stesse possibilità degli abitanti della Penisola, bisogna innanzitutto colmare le lacune relative ai trasporti e al digitale, che sono ancora carenti nei territori insulari. Infine, nel corso del dialogo viene tracciato un significativo parallelo da questione meridionale e insularità, due facce della stessa medaglia che allontanano il nostro Paese da una reale uguaglianza e pari diritti.

Professore, lei è stato tra i primi a indagare il tema delle isole nel diritto pubblico comparato. A quasi 18 anni dal convegno di Sassari, cosa di concreto è cambiato su questo tema?

In effetti, nella primavera del 2006 organizzai un convegno all’Università di Sassari, dove allora insegnavo, sulle Isole nel diritto pubblico comparato ed europeo (i cui Atti vennero pubblicati l’anno successivo dall’editore Giappichelli). Tema insolito e sconosciuto alla dottrina e, pertanto, percepito con iniziale diffidenza. Ero prossimo alla chiamata presso l’Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, che sarebbe avvenuta con l’a.a. 2007, e ci tenevo a lasciare una testimonianza dell’impegno, durato otto anni, della cattedra di Diritto pubblico comparato nella facoltà giuridica sassarese. Fare un convegno sulle isole in un’isola fu un’idea felice. Perché ci si è potuti calare nella realtà isolana, meglio insulare, e si sono colte meglio le problematiche derivanti dal contesto morfologico geografico. Primo fra tutti, il problema dei trasporti; quindi la difficoltà a esercitare il diritto costituzionale alla libera circolazione. 

Le isole e soprattutto l’insularità, quale condizione di vita degli abitanti delle isole, un vero e proprio fattore identitario, sono anche oggetto di qualificazione giuridica, specialmente costituzionale. Quindi, non è solo il territorio in quanto tale, e la sua declinazione politico-amministrativa, ma è proprio la condizione speciale degli isolani, che si trovano chiaramente e oggettivamente in una condizione di svantaggio, che si traduce in una serie di ostacoli materiali, che impattano negativamente con il principio di eguaglianza, e non solo. Da qui l’esigenza di ristabilire un corretto equilibrio, in termini di chances, fra chi vive nell’isola e chi nella penisola. Da qui la necessità di provvedere, per il tramite del diritto costituzionale, con una norma promozionale, che rimuova gli ostacoli e promuova delle azioni positive, per consentire, a coloro i quali vivono nelle isole, di superare gli svantaggi socioeconomici e di vedere riconosciuti diritti legati ai servizi essenziali e di interesse pubblico (come per esempio, tra gli altri, il diritto alla mobilità e alla libera circolazione). Il tema dell’insularità è nazionale, in quei paesi dove vi sono isole, come in Italia e Spagna ma non solo, europeo e internazionale.

L’Italia ha un enorme patrimonio di isole (marittime e non). La re-introduzione del principio di insularità nella Costituzione potrà determinare qualche cambiamento nello sviluppo socioeconomico del nostro territorio insulare? 

È senz’altro auspicabile. Certo, la vecchia norma costituzionale dell’art. 119, poi soppressa a seguito della riforma del titolo quinto, già prevedeva “la valorizzazione delle isole e del Mezzogiorno”. Non mi pare che questo comportò un beneficio in termini socioeconomici nel territorio insulare (e nel mezzogiorno). Ora la norma costituzionale è più precisa e puntuale, e quindi si spera che possa determinare degli effetti positivi. Infatti, il nuovo comma dell’art. 119 cost. parla di isole, come territorio morfologicamente perimetrato, e di insularità, come condizione di vita identitaria di coloro che vivono nelle isole. Poi, prevede l’impegno della Repubblica a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità. In quanto norma costituzionale diventa parametro di legittimità costituzionale delle leggi. Pertanto, se una legge non tiene conto del fattore insulare, penso alle leggi finanziarie, potrà essere impugnata alla Corte costituzionale, che potrà dichiararne la incostituzionalità. Non è poco.

Aggiungo che la nuova norma costituzionale è rivolta anche alle Regioni (infatti si prevede la Repubblica e non lo Stato), le quali, non solo le regioni isole ma anche quelle che hanno delle isole nel loro territorio regionale (come la Campania, il Lazio, la Puglia, la Toscana), potranno legiferare sulla base di quanto prevede e prescrive la Costituzione, al fine di rimuovere gli svantaggi. Io credo che i maggiori e migliori investimenti che serviranno a ridurre gli svantaggi derivanti dalla insularità vadano fatti, soprattutto, nei trasporti e nel digitale. Sono due settori strategici: il primo, rappresenta ancora oggi un problema per chi vuole muoversi dalle isole ovvero arrivare nelle isole. Bisogna intensificare le tratte aeree e quelle navali, per consentire il pieno esercizio alla libertà di circolazione. Il secondo settore, quello del digitale, è strategico, specie per chi vive in situazioni periferiche, come per esempio nelle piccole isole tipo le Eolie. Deve essere assicurata la possibilità di connettersi con il mondo attraverso una rete internet funzionante e potente. In modo tale che nessuno si senta isolato sebbene isolano.

Lei ha parlato di “diritto costituzionale all’insularità”.  È un diritto che deriva dal nuovo art. 119, 6 c. della Costituzione o esisteva già? E non è stato esercitato?

In parte ho già risposto in precedenza. Vado fiero della definizione di “diritto costituzionale all’insularità”, che esprime al massimo l’impegno a favore delle isole e dell’insularità. È una declinazione del diritto all’eguaglianza, di cui all’art. 3 cost. Infatti, coloro che vivono nelle isole non devono avere trattamenti diseguali rispetto agli altri cittadini italiani, che vivono nella penisola. Occorre dare applicazione alla nuova norma costituzionale (art. 119), attraverso la produzione di leggi nazionali e regionali volte a favorire le isole e rimuovere gli svantaggi che ne derivano. Si verrebbe così a prefigurare un “diritto costituzionale all’insularità”, che comporterebbe una tutela specifica in favore dei territori isolani e dei suoi abitanti. L’art. 119 cost., così come novellato dal legislatore costituzionale con la previsione dell’insularità, non deve essere inteso come una sorta di norma programmatica ma piuttosto di norma cogente applicabile direttamente ovvero attraverso la legislazione. Andrebbe pertanto attuato al pari dell’art. 3 cost comma 1, la cd. eguaglianza sostanziale, la quale impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana. Anche nel caso della insularità viene adoperata la formulazione simile nella letteralità e nel contenuto – “La Repubblica […] promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dalla insularità” –, concependola, pertanto, quale declinazione applicativa del principio di eguaglianza. Ciò comporta che è fatto obbligo al legislatore di dare attuazione a quanto previsto all’art. 119 cost, attraverso l’approvazione di norme promozionali che rimuovano gli svantaggi derivanti dall’insularità. Allo stesso compito è dedicato il legislatore regionale, laddove il suo territorio è un’isola (Sardegna e Sicilia) ovvero comprende delle isole (Toscana, Puglia, Lazio, Campania). È chiaro però che l’obbligo di legiferare risponde alla volontà politica di farlo davvero. Ma laddove non dovesse farlo, sebbene e nonostante ci fosse la possibilità (è il caso della legge annuale di stabilità, oppure leggi sulle infrastrutture nazionali), allora, come già detto, ci sarebbe la possibilità di impugnativa delle leggi alla Corte costituzionale per violazione del parametro costituzionale di cui all’art. 119 cost. Il legislatore regionale, poi, sulla base di un’interpretazione del fattore insulare da intendersi anche come fattore identitario, costituzionalmente garantito, potrebbe legiferare su alcuni specifici temi che valorizzano l’aspetto identitario degli isolani. Va da sé che l’individuazione degli aspetti identitari da valorizzare, derivanti dall’insularità, è rimessa alla discrezionalità delle scelte del legislatore regionale, sulla base delle situazioni che per storia, costume e tradizione caratterizzano quel determinato territorio isolano.

Il riconoscimento del “diritto costituzionale all’insularità” è la chiave di volta per leggere, interpretare e applicare, in forma espansiva, il nuovo dettato costituzionale di cui all’articolo 119 cost. riformulato. Diritto all’insularità, allora, verrebbe a essere inteso come declinazione attuativa del principio di eguaglianza di cui all’articolo. 3 cost. Ovvero uno dei (tanti) modi in cui si applica il principio di eguaglianza, attraverso l’individuazione di quella condizione territoriale e identitaria, l’insularità per l’appunto, che deve essere riconosciuta e giuridicamente tutelata al fine di garantire l’effettiva parità di condizione fra i cittadini italiani. Senza distinzioni, dovute a strutture morfologiche territoriali, tra coloro che vivono nella penisola e coloro che vivono nelle isole.

Che rapporti esistono, a suo avviso, tra la “questione insulare” e la “questione  meridionale”?

Su questo tema ho scritto un articolo e dunque mi riferisco a quest’ultimo. Faccio solo alcune osservazioni. Come già detto, la Costituzione – nel “vecchio” art. 119 – conteneva un riferimento esplicito al Mezzogiorno e alle isole, e si era così voluto costituzionalizzare il problema di come valorizzare l’assetto civile, economico e sociale di quei territori, che non rappresentano solo un’area geografica del Paese ma anche, se non soprattutto, “una maniera di essere di alcuni milioni di abitanti”. L’art. 119, terzo comma, cost., andava letto, interpretato e attuato quale norma di “diritto sociale territoriale”, per tutelare e incentivare quelle aree del Paese svantaggiate economicamente per storia e per collocazione geografica. Così non è stato. È stata, piuttosto, una norma inattuata, fatta eccezione per l’istituzione di un Ministero per il Mezzogiorno (spesso ma non sempre presente nei vari governi che si sono succeduti) e alcuni enti pubblici per il Sud, la cui attività di indirizzo politico non ha saputo seguire una programmazione coerente e puntuale, finendo, piuttosto, per diventare una sorta di “centri di spesa”, il più delle volte usati in maniera clientelare. Il Mezzogiorno è stato privato di un suo compiuto assetto costituzionale, attraverso il quale dare attuazione a un “diritto sociale territoriale”, come l’ho definito. Quella che doveva essere la “questione nazionale del Mezzogiorno” è diventata una mera e micro questione locale e territoriale, privando cioè la metà della penisola italiana, e i suoi abitanti, di quel sostegno e valorizzazione di cui c’era un esplicito impegno costituzionale.

Infatti, l’espresso riferimento costituzionale al Mezzogiorno, posizionato nella parte relativa all’organizzazione regionale, andava letto, integrato e attuato con l’art. 3 secondo comma Cost., affidando il compito alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’effettiva eguaglianza fra cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana. Chi può negare, infatti, che, in Italia, almeno 20 milioni di abitanti vivono in condizioni sociali, economiche e civili così differenti rispetto all’altra metà del territorio nazionale? Il Mezzogiorno resta, purtroppo, il luogo della disparità e della diseguaglianza sociale. Ci sono tante ragioni alla base di questo incredibile divario Nord/Sud: la questione non è soltanto la perdita occupazionale nelle produzioni più tradizionali, piuttosto non essere riusciti a crearla in quelle più avanzate, come, per esempio, il settore del digitale e della tecnologia nelle sue varie declinazioni produttive.

Certo, anche altri paesi europei vivono forme di diseguaglianza territoriale, come per esempio in Spagna tra la Catalogna, l’Extremadura e la Mancia, oppure in Francia tra la Bretagna, la Corsica e l’area metropolitana di Parigi. È vero però che in queste esperienze di paesi europei, le forme di diseguaglianza non si concentrano su territori così vasti come in Italia e soprattutto non persistono così da tanto tempo storico, al punto da diventare “il” problema. Comunque, occorre collocare ciascun territorio periferico, a cominciare dal Mezzogiorno italiano, in una prospettiva comparata, perché le sorti di ogni territorio non dipendono solo da quello che accade al suo interno o nel paese di cui fa parte, ma anche dalle dinamiche d’insieme dell’Europa e del mondo.

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