La storia d’Italia in dieci date nel libro-memoir di Gian Carlo Caselli

caselli

Cinquant’anni nella magistratura inquirente, e sempre in prima linea: contro la criminalità organizzata, le Brigate Rosse e Prima Linea, fino a Tangentopoli. Gian Carlo Caselli, uno dei Pm più in vista della storia recente d’Italia, ha attraversato da protagonista gli snodi drammatici degli ultimi decenni del nostro Paese. Oggi racconta se stesso, la sua carriera, le sue considerazioni sulle inchieste più rilevanti e la loro influenza nell’evolversi della vicenda italiana, in un libro ricco di passione, scritto assieme al figlio giornalista, Stefano, che di quegli anni ha vissuto il dietro-le-quinte. Giorni memorabili che hanno cambiato l’Italia (e la mia vita), (Editori Laterza, 2023, giunto ormai alla sesta ristampa) è strutturato come una serie di “flash” ripescati nella memoria, attraverso i quali Caselli ripercorre una parabola di vita che l’ha cambiato nel profondo, proprio come ha cambiato, almeno in parte, l’Italia. 
Dieci date, dieci snodi cruciali, dieci giornate scelte simbolicamente come tappe di un percorso unico, sul quale Caselli, magistrato coraggioso e infaticabile, non ha mai smesso di interrogarsi. Si tratta dunque di una penetrante rilettura dei fatti salienti dei quali il Pm alessandrino, già capo delle Procure di Palermo e di Torino, è stato necessariamente protagonista. Si parte dai fanghi rossi di Scarlino, scaricati nel mar Tirreno dal “molosso” Montedison, il cui presidente, il 27 aprile 1974 venne condannato a 3 mesi e 20 giorni. Una data, annota Caselli, che «rimane nella storia come il giorno in cui l’uomo più potente d’Italia è stato chiamato a rispondere delle sue azioni di fronte a un giudice». Per questo, l’inchiesta sulla Montedison diventa un emblema, «una svolta, il primo esempio (…) di una magistratura che finalmente fa il suo dovere nell’interesse dei cittadini (determinando anche l’approvazione in Parlamento della legge Merli, la prima che tutela la salute collettiva in relazione agli scarichi civili e industriali)».

Gian Carlo Caselli ha attraversato da protagonista gli snodi drammatici degli ultimi decenni del nostro Paese

Un altro capitolo cruciale racconta la minaccia crescente di un terrorismo che voleva sovvertire lo Stato. Caselli attraversa tutta la stagione brigatista, da Pm, a cominciare dall’eclatante caso Sossi, il sostituto Procuratore di Genova primo rapito dalle Brigate Rosse il 18 aprile 1974. Il fascicolo finirà sulla sua scrivania, e la stessa sera Caselli, tornando a casa, scopre una sorprendente novità: «Trovo un’auto della Polizia ferma sotto la mia abitazione. È la prima scorta. Scorta che mi ha accompagnato per cinquant’anni». L’autore si chiede allora come sarebbe stata la sua vita, senza quel 27 maggio che dà inizio alla sua “vita sotto protezione”: «Presumibilmente diversa. Certo è che a partire da quei giorni nuovi modelli investigativi-giudiziari nasceranno e faranno scuola». Gli intrecci sono tanti, tra il pubblico e il privato, e Caselli alterna date e fatti storici alle sue riflessioni, come per il fenomeno del pentitismo che decreterà, alla lunga, la fine degli anni di piombo: una valanga “inarrestabile”, partita con Patrizio Peci e proseguita, sempre nella primavera del 1980, con il pentimento di Roberto Sandalo che affonda Prima Linea.

Dieci date, dieci snodi cruciali, dieci giornate scelte simbolicamente come tappe di un percorso unico

Comincia poi un’altra stagione durissima, quella della lotta contro la mafia, il mostro dalle mille teste sempre risorgenti. Parlando di Riina, il Pm ricorda di quel pandemonio, “francamente elettrizzante”, scatenato la mattina del 15 gennaio 1993, quando a Palermo (dov’era appena atterrato) “deflagra come fulminante la notizia che Riina è stato catturato”. Finalmente quel boss – dal volto che secondo Caselli “Martin Scorsese non si sarebbe fatto scappare” – non aveva più via di scampo. L’evento non fu fine a se stesso, avvalorando la tesi che «Falcone e Borsellino hanno avuto ragione a dire che la mafia si poteva battere. Purché lo si volesse davvero». Quindi, un altro “flash” illuminante: l’interrogatorio a Santino Di Matteo, che «pronuncia una parola di tre sillabe che risuona in me come un’emozione trepida e dolorosa: “Ca-pa-ci”». Seguono «sei ore di lunghissimo interrogatorio, in cui il boss di Altofonte snocciola fatti e protagonisti della strage a cui lui stesso ha preso parte».

Caselli ricorda con particolare emozione il caso Tortora, quando il Csm decreta che i giudici non avevano commesso alcun errore

E ancora, altre inchieste la cui memoria tragica non ha abbandonato il Pm: la strage del cinema Statuto a Torino, a due passi dalla casa dei propri suoceri; il celeberrimo “processo del secolo” contro Giulio Andreotti; l’inchiesta “Minotauro” sullo sbarco imponente della ‘Ndrangheta nel Nord Italia, con tutte le sue inquietanti ramificazioni finanziarie; le battaglie in seno a un Consiglio Superiore della Magistratura, di cui già si scorgevano limiti e intromissioni; le accuse di essere “comunista” o “fascista” a seconda dei casi (e dei nemici). Caselli ricorda con particolare emozione, incline alla sofferenza, il caso Tortora e quando il Csm decreta che i giudici non avevano commesso alcun errore, archiviando il caso. «Archiviazione a cui mi oppongo – racconta Caselli – come relatore di minoranza, ritenendo che le indagini fossero state viziate da evidenti sciatterie ed omissioni. In questo caso, fu questa un’esperienza sul piano umano tra le più difficili, in quanto mi toccò “accusare” pubblicamente colleghi del Csm (ormai amici) che del caso si erano occupati». Non fu l’unica, grande amarezza, nella carriera di questo magistrato di prima linea, cui fu impedita persino la guida della Procura nazionale antimafia. «Non fu il massimo, per usare un eufemismo, la legge contra personam (la mia) votata nel 2005 per impedirmi di candidarmi (…), semplicemente modificando i requisiti di età necessari per poter ricoprire l’incarico. Una legge (poi dichiarata incostituzionale) candidamente rivendicata dall’allora maggioranza di centrodestra con l’esplicito intento di “farmi pagare” il processo Andreotti». Si finirà, più avanti, con il doloroso addio a “Magistratura democratica”, la corrente dell’Anm di cui Caselli è stato per decenni l’indiscusso leader. I nuovi capi di Magistratura democratica ospitano sull’agenda della corrente un testo di Erri De Luca: per Caselli, si tratta di un affronto, una specie di «esplicita apologia della lotta armata che (…) a me suona come una bestemmia. È il 6 novembre 2013: capisco che quello non è più il mio posto». La retromarcia postuma di Md sembra “una toppa quasi peggio del buco (…). Era davvero ora di andare in pensione”.

Il racconto di una stagione durissima, quella della lotta contro la mafia, il mostro dalle mille teste sempre risorgenti

Un racconto per forza di cose frammentario, che si fa coerente grazie al filo conduttore di una sensibilità e una coscienza, anche civile, che non ha conosciuto soste né tentennamenti. Un vissuto personale nel quale non poteva non trovar posto il “Grande Torino”, e dunque la passione per il calcio che si rinfocola con le imprese di Claudio Sala, Zaccarelli e Pulici, per lo scudetto vinto nel ’75 con un punto in più sulla Juventus: purtroppo – annota con rammarico Caselli – gioia e marcia trionfale “guastata” dal durissimo lavoro richiesto proprio in quegli anni dalle inchieste su Brigate Rosse e Prima Linea. Ma il legame “speciale”, con la squadra e la città, nella quale sono ambientate molte delle vicende narrate, resta come sottofondo, musica e ordito di una vicenda personale e di una formazione culturale che non conoscono incertezze.

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