Insularità, cruciale la sentenza della Corte costituzionale: intervista al Prof. Gaetano Armao

insularità

Sul filone dedicato ai temi approfonditi dall’Osservatorio Eurispes sull’Insularità ed aree interne, il magazine dell’Istituto propone un’intervista a Gaetano Armao, Professore di Diritto amministrativo presso l’Università di Palermo e delegato del Rettore per l’insularità. Tra i temi dibattuti, la prossima sentenza della Corte costituzionale che deciderà in merito al ricorso della Regione autonoma della Sardegna per esiguità degli stanziamenti della Legge di bilancio 2023. In merito alle risorse destinate a colmare il divario territoriale con le isole, il Ponte sullo stretto sembra essere l’unico provvedimento di riequilibrio della marginalità insulare, ma oltre a riguardare solo la Sicilia, non risolve tutte le altre problematiche infrastrutturali e socio-economiche che permangono nell’isola, specialmente tra aree interne e punti di collegamento con la Penisola. 

Professore, è trascorso ormai più di un anno dalla introduzione nellarticolo 119 comma 6 della Costituzione del principio di insularità. Quali ricadute concrete ha prodotto detto principio sulle popolazioni insulari ad oggi?

I risultati sin qui raggiunti appaiono di rilievo abbastanza limitato. Dopo la legge statale di bilancio per il 2023, la quale ha stanziato pur circoscritte risorse finanziarie in favore delle Isole e previsto l’istituzione della Commissione bicamerale per il contrasto degli svantaggi derivanti dalla condizione d’insularità, quella per il 2024 lascia sostanzialmente privo di interventi questo rilevante profilo della politica di coesione. Unica eccezione: le risorse destinate al ponte sullo Stretto che costituisce, invero, un oggettivo strumento di riequilibrio della marginalità insulare della Sicilia. A questo punto del percorso che ha condotto all’introduzione del sesto comma dell’art. 119 Cost., il quale come noto contiene il principio di coesione insulare, non resta che attendere l’ormai imminente pronuncia della Corte costituzionale. Con ricorso della Regione autonoma della Sardegna è stata infatti impugnata la legge di bilancio dello Stato per il 2023 per esiguità degli stanziamenti. Il ricorso sarà trattato all’udienza del prossimo 19 marzo, e la sentenza, che si preannuncia cruciale, potrà declinare nell’ordinamento il principio introdotto in Costituzione sulla base di un’iniziativa popolare e con il voto quasi unanime del Parlamento.

Si attende quindi la prima sentenza sull’insularità.

La prima sentenza sull’insularità la pronunciò, invero, l’Alta Corte per la Regione Siciliana, relatore Don Sturzo, nel 1953 (n. 1). Va poi ricordata l’ultima prima della modifica costituzionale da parte del Giudice delle leggi (n. 6 del 2019). Quella pronuncia ha riconosciuto, a “quasi dieci anni dall’emanazione” dell’art. 27 della l. n. 42 del 2009, come il “problema dell’insularità non sia mai stato preso in considerazione ai fini di ponderare complessivamente le componenti di entrata e di spesa dell’autonomia territoriale”, pur di fronte al constatato “ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità. La Corte non si è infatti limitata a dichiarare l’incostituzionalità di una norma finanziaria statale la quale non offriva adeguato concorso dello Stato, ma ha ritenuto che nella «determinazione di tale concorso gli elementi da sottoporre a ragionevole e proporzionata ponderazione – al fine di concretizzare il principio di leale cooperazione tra Stato ed enti territoriali, conciliando le istanze di politica economica generale con la struttura regionalista del nostro ordinamento – sono ricavabili direttamente dalla vigente legislazione e dalla giurisprudenza di questa Corte». In particolare, partendo dall’andamento storico delle entrate e delle spese della Regione, antecedente alla entrata in vigore della l. n. 42 del 2009, la sentenza ha ritenuto che la rimodulazione del concorso statale dovesse tener conto di una serie di aspetti (ben sei) tra i quali: «c) degli “svantaggi strutturali permanenti […], dei costi dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite” (art. 27 della legge n. 42 del 2009)». Comunque quella che sarà depositata nella prossima settimana sarà la prima sentenza sul testo novellato nel 2022 dell’art. 119 Cost.

Lei in più occasioni ha evidenziato come Governo e Parlamento non abbiano stanziato sufficienti risorse per colmare i disagi scaturenti dalla condizione insulare. È ancora di questa opinione?

La questione – lo sosteniamo da tempo – non è rivendicare risorse, secondo un assunto ormai abbastanza obsoleto di un Sud alla continua ricerca di risorse aggiuntive, ma partire dai costi, palesi ed occulti, che i cittadini insulari affrontano come diretta conseguenza dell’insularità nella prospettiva dell’eguaglianza sostanziale (e non solo formale), puntando anche alle opportunità della perequazione infrastrutturale e della fiscalità compensativa. Le risorse finanziarie, come le opportunità sinora approntate, sono assai esigue in relazione a ciò che è stato individuato quale “costo dell’insularità” di Sicilia e Sardegna. Se si aggregano i dati relativi alle due isole ed a quelle cosiddette minori si giunge ad un costo che supera i 15 miliardi di euro annui (9 per la Sardegna e 6 per la Sicilia). Si tratta di costi sopportati da cittadini ed imprese insulari e che ad oggi trovano limitati interventi di riequilibrio (tra questi i fondi di investimento europei e nazionali, la ZES, le risorse per la continuità territoriale). Costi che sono stati accertati da studi condotti da primari istituti di ricerca economica ed Università ed addirittura validati anche dalla Commissione paritetica Stato-Regione della Sicilia.

Sembra ormai candidato alla sua effettiva costruzione il tanto agognato Ponte sullo stretto di Messinache conseguenze porterà questa infrastruttura sulla condizione insulare della Sicilia?

Per la Sicilia il Ponte sullo stretto, ma vorrei dire per l’intero Mezzogiorno e per il Sud Europa, costituisce una infrastruttura essenziale ma ciò non elimina la condizione di marginalità della Sicilia che è la regione insulare più grande d’Europa. Pur attenuandone il deficit di accessibilità, il Ponte connette due Regioni che hanno circa il 51% dell’accessibilità ferroviaria di quelle più accessibili del Nord del Paese. La Sicilia è, tra i casi considerati dallo studio del MIT (La valutazione di soluzioni alternative per il sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina, Roma, 2021), l’isola che presenta il più elevato potenziale di collegamento tra quelle che oggi non posseggono un collegamento stabile con la terraferma. Il suo rapporto popolazione/distanza è molto superiore a quello di diverse isole che posseggono già un collegamento stabile, quindi si tratta di un investimento strategico di perequazione che è di competitività per la Nazione. Le due regioni interessate sono in condizioni di assoluto svantaggio, non solo rispetto alla parte più sviluppata d’Italia, ma anche rispetto al Mezzogiorno preso nel suo insieme.  Tale divario non è in corso di attenuazione, bensì si accresce, accentuando gli squilibri territoriali e le disparità sociali. Va ricordato che ad oggi, nonostante i circa 3 km di distanza che separano la Sicilia dalla Calabria, in effetti, se considerati in termini di durata di percorrenza la distanza è di oltre 200 km. Il Ponte sullo stretto certamente consentirà alle merci della Sicilia e del Sud Italia di essere più competitive sui mercati europei e internazionali ma non consentirà di superare la enorme distanza tra aree della Sicilia interne e periferiche e il continente Europa. Al meglio la percorrenza sulla tratta Palermo-Roma potrà ridursi da 12/14 ore a 9 ore e quindi la marginalità territoriale di buona parte dell’Isola e l’esigenza della piena continuità territoriale, per alcuni versi, restano irrisolte.

Come Lei stesso ha evidenziato in un suo noto saggio, la Sicilia è afflitta anche da mali propri che ne hanno ritardato lo sviluppo socioeconomico; possiamo pensare che il principio di insularità riesca a colmare anche queste lacune?

La condizione di insularità ed il suo riconoscimento costituzionale hanno rappresentato un significativo passo avanti, ma il superamento della marginalità e dei divari non costituiscono soltanto il riferimento per interventi nel settore della continuità territoriale, ma anche nella fiscalità di sviluppo, nella perequazione strutturale, nelle misure che agevolano la coesione digitale ed energetica ed in quelle di contrasto allo spopolamento ed alla desertificazione (imprenditoriale e naturale) delle aree interne. I ritardi delle Isole sono prevalentemente di tipo economico-sociale ed infrastrutturale e vanno affrontati attraverso meccanismi di perequazione che tengano altresì conto della insularità. In questo senso il Ponte che collegherà la Sicilia all’Europa e che proietterà quest’ultima ancor di più nel Mediterraneo, costituisce un’opportunità, soprattutto per l’esportazione delle merci che con tempi certi potranno raggiungere i mercati di riferimento ad un costo sostenibile. Come tutte le grandi opere pubbliche, è evidente che esso assumerà anche una valenza simbolica, evocativa di uno sviluppo possibile, di un’Italia che intende e sa ripartire dal Sud.

Il 2024 dovrebbe essere lanno delle isole; Lei pensa che anche a livello europeo vi sarà una maggior attenzione a questo grande tema?

Dopo l’ultima ed importante risoluzione del Parlamento europeo promossa dal Presidente della Commissione “Sviluppo regionale“, On. Y. Omarjee nel 2022, purtroppo, la Commissione ha adottato misure assai limitate in favore delle isole. La stessa programmazione 2021-2027 tiene in assai limitata considerazione la marginalità insulare – sia ultraperiferica che periferica – e l’Ottava relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale sancisce quanto ancora sia lontano l’obiettivo di realizzare un’eguaglianza sostanziale tra cittadini europei, in particolare tra quelli delle isole e coloro che vivono nel continente europeo. Il 2024 è, secondo quella risoluzione, l’anno delle Isole. È rilevante adesso verificare quanta considerazione riserveranno i programmi dei partiti politici d’Europa alla questione in vista delle prossime elezioni europee.

Lei ha anche scritto sul rapporto tra insularità e autonomia differenziata. I due principi possono convivere?

Vi è un principio del diritto europeo che può così sintetizzarsi: “Ubi insula ibi ius speciale”, nel senso che la specialità trova radicamento nella stessa insularità e giustifica le speciali prerogative che scaturiscono dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione italiana alle due isole principali. Non vi è infatti a livello europeo isola di dimensioni medio-grandi che non sia uno Stato o una Regione speciale, lo stesso dicasi per i grandi arcipelaghi. Ne deriva che le speciali prerogative dell’autonomia trovano in questo il loro retaggio storico e culturale, un fondamento, una ragione che ne influenza la morfologia costituzionale. In tal senso è assai rilevante quel che sta avvenendo in Corsica la quale, nella accentrata Francia, in un percorso di riforma costituzionale dovrebbe acquisire importanti competenze legislative proprie dell’autonomia speciale. Ciò dimostra che la peculiarità, o meglio il fattore insulare, sta svolgendo, e non solo in Italia, un ruolo propulsivo. Basti pensare, infatti, a quanto si sta realizzando nelle isole Baleari e Azzorre in due ordinamenti, come quello spagnolo e quello portoghese, che ne riconoscono la peculiare autonomia e che rafforzano gli interventi normativi e finanziari a sostegno dell’autonomia speciale.

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