Si chiama principio di insularità ed esprime il desiderio fisiologico di accorciare le distanze e sperimentare forme concrete di continuità territoriale. A questo si sono richiamati nelle scorse settimane, definendolo a volte con altre formule e non sempre assegnandogli necessariamente un nome, i politici sardi che sono riusciti a mettere all’ordine del giorno della Commissione Affari Costituzionali il diritto della Sardegna di vedere riconosciuti e compensati gli svantaggi strutturali che l’essere Isola comporta. Una questione politica di vecchia data, ma mai risolta, malgrado la Sardegna sia una delle regioni che, munite di uno Statuto speciale, avrebbero la possibilità di disciplinare con modalità “alternative” i rapporti con lo Stato. Un passo in avanti è stato, comunque, fatto con il primo parere favorevole pronunciato dall’aula del Senato che, lo scorso novembre, ha in pratica avviato l’iter che dovrebbe concludersi con il riconoscimento nella Costituzione delle prerogative dell’insularità. Il testo proposto dalla Commissione Affari Costituzionali contiene una formulazione chiara del principio insularità che riguarderà ovviamente non solo la Sardegna: «la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità». Si sostiene, quindi, che l’insularità è una condizione che può comportare svantaggi di non poco conto. Su questo assunto fa leva la proposta di legge popolare che, prima di approdare in Parlamento, ha raccolto più di 200mila firme.
La madre di tutte le battaglie
L’entusiasmo tra i politici sardi che più di tutti si sono battuti per far valere le ragioni dell’insularità trova espressione nelle parole di Michele Cossa, consigliere regionale e presidente della Commissione speciale istituita per progettare il lungo iter legislativo che precede l’introduzione di qualsiasi novità nel testo costituzionale. «È la madre di tutte le battaglie per il futuro della Sardegna» ha dichiarato Cossa, ovvero che l’esito positivo della proposta potrà fare da apripista alla soluzione di tante altre vertenze. Una sorta di grimaldello, dunque, per aprire il vaso di Pandora di più o meno annose questioni che negli ultimi anni hanno affollato, senza sosta e spesso senza soluzione, l’agenda della politica sarda.
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I conti in tasca
C’è chi ha fatto i conti in tasca alla mancata applicazione del principio insularità, che, va detto, è rimasto sino ad ora nel limbo delle buone intenzioni perché non ancora riconosciuto. Una stima della sua disattesa e ritardata applicazione è stata realizzata dall’Istituto Bruno Leoni. In uno studio commissionato dal Comitato sardo per il riconoscimento nella Costituzione dell’insularità, questa viene indicata come una delle cause della perdurante crisi economica dell’Isola. La prova sarebbe il Pil pro capite dei sardi, tra i più bassi in tutto il Paese. In soldoni, sul portafoglio dei sardi graverebbe una sorta di balzello “naturale” pari a circa 5.700 euro. Il costo generale ammonterebbe a quasi 9,4 miliardi di euro di minore prodotto annuo, e ciò contribuisce a fare dell’insularità più una iattura che una risorsa.
Una precaria continuità
I costi dell’insularità sono facilmente calcolabili. Per definirne l’entità è sufficiente che un sardo attraversi il Tirreno per motivi di lavoro o perché spinto da necessità personali, alla ricerca di servizi indispensabili (spesso di natura sanitaria) non presenti nell’Isola. Si prende sempre più l’aereo e si continua a viaggiare, anche se meno frequentemente di una volta, per mare. Il regime della continuità prevede ammortizzatori economici per contenere il costo dei trasporti, ma chi ha la necessità di fare la spola tra isola e continente in modo non occasionale scopre quanto sia tristemente antieconomico vivere nella propria terra. Uno degli obiettivi dei promotori della campagna per il riconoscimento del principio di insularità è non a caso proprio quello di cancellare qualsiasi forma di svantaggio strutturale dalla percezione e dall’esperienza diretta dell’insularità. Che oltre a essere un principio oggi da più parti sostenuto e rivendicato, è anche una dimensione che denota una chiara specificità storica e culturale. Per ora bisognerà attendere marzo, quando la proposta di legge d’iniziativa popolare approderà alla Camera per un passaggio che potrebbe rivelarsi decisivo.