Corruzione, occorre rivalutare gli indicatori usati per misurarla

corruzione

Il webinar “Dialogo sulla misurazione del fenomeno della corruzione” organizzato dall’Istituto Eurispes ha avuto luogo nella mattina di ieri, trasmesso sul sito Internet e sui canali Social dell’Istituto. I lavori sono stati introdotti dal Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, e vi hanno partecipato in qualità di relatori Nikolas Giannakopoulos, Presidente del Comitato Scientifico Global Risk Profile – Grp Italia, Mario Carlo Ferrario, Vice Presidente Transparency International – Italia , Giovanni Tartaglia Polcini, Magistrato, Consigliere giuridico MAECI e componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes, Maria Giuseppina Muratore, Primo ricercatore Istat. L’incontro è stato moderato da Paolo Mazzanti, Direttore editoriale dell’agenzia di stampa Askanews. Le conclusioni sono state affidate al Presidente dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione) Giuseppe Busia.

Misurare la corruzione con indicatori oggettivi per verificare la fondatezza del giudizio espresso sul nostro Paese

Nell’introduzione, il Presidente Gian Maria Fara, tra i primi sostenitori e promotori del dibattito in Italia sul tema, ha sottolineato che «studiando in maniera seria e oggettiva il fenomeno della misurazione della corruzione, potremo arrivare a una ridefinizione complessiva e a giudizi più benevoli e oggettivi nei confronti del nostro Paese. Come Eurispes, nel 2017, con il Consigliere Giovanni Tartaglia Polcini, abbiamo inteso verificare la fondatezza del giudizio espresso nei nostri confronti dai più comuni indicatori di natura percettiva diffusi sul piano globale. Siamo fin da allora convinti che il rating attribuito all’Italia è a tratti errato, con notevoli conseguenze anche sul piano macro-economico». Il tema oggetto del dibattito è stato ritenuto di grandissima rilevanza e interesse non solo per l’Italia ma per molti altri sistemi istituzionali, economie e paesi. Paolo Mazzanti ha definito la percezione come un dato che può essere fuorviante, dettato da fattori esterni come, nel caso del nostro Paese, una magistratura indipendente dall’esecutivo e una stampa libera che dà risalto a fenomeni come ad esempio Tangentopoli, che ebbe una risonanza globale e diffuse una certa immagine dell’Italia tutt’ora viva.

In Italia si trovano dati affidabili e ricorrenti su antimafia e anticrimine che non esistono in altri paesi

Nikolas Giannakopoulos ha introdotto nel dibattito il punto di vista del business sector. L’introduzione dell’Indice di Transparency è servito come primo impulso per avviare politiche pubbliche anti-corruzione ed ha avuto la funzione di benchmark per le imprese internazionali. Con la sua attività il Comitato Scientifico Global Risk Profile – Grp cerca di andare oltre (il CPI, indice di percezione della corruzione ndr) nel fornire indici di misurazione della corruzione. L’indice di Grp ha lo scopo di misurare la corruzione e il crimine economico in maniera globale, attraverso un insieme di variabili e indicatori che esistono nella maggior parte dei paesi. La “classificazione” avviene dunque non solo sulla base degli eventi corruttivi, ma anche in considerazione dei sistemi legali e amministrativi e sulle pratiche in essere a contrasto del fenomeno. La difficoltà maggiore sta nel trovare dati e variabili equiparabili in tutti i paesi. Tra i 43 indicatori utilizzati dal Grp, c’è una prima classificazione tra corruption index e WCC index (crimine dei colletti bianchi); segue una valutazione tra variabili internazionali e variabili legate al paese (effettività delle istituzioni, legal context). Le fonti ricercate da Grp devono essere affidabili, ricorrenti, metodologiche, disponibili nella maggior parte dei paesi considerati e paragonabili nel tempo e nello spazio. La quantità di dati che sono oggi disponibili devono essere impiegati, secondo il relatore, in una attività importante come il contrasto alla corruzione. Giannakopoulos ha inoltre affermato che, a dispetto di un certo vittimismo italiano sulla questione, solo in Italia si trovano dati affidabili e ricorrenti su antimafia, anticrimine e contrasto alla criminalità che non esistono in altri paesi. La trasparenza dei dati permette di misurare gli effetti della corruzione sugli investimenti: si calcola che la corruzione aumenta del 10% i costi per le imprese. 

L’intervento si è concluso con una osservazione sull’operato dell’Unione europea, che non ha mai considerato questo tema come di primaria importanza nei confronti dei paesi dell’Europa dell’est. E ha concluso: «Cerchiamo di usare i dati non solo per marketing ma anche per fare politiche pubbliche più intelligenti basate sui fatti».

Numerosi bias hanno condizionato l’immagine dell’Italia con classifiche basate su questionari di percezione

L’intervento di Mario Carlo Ferrario evidenzia come il posizionamento migliorato dell’Italia (indice CPI) nel ranking internazionale stia cominciando a far emergere i suoi punti di forza e non solo i bias, che pur esistono per l’Italia e hanno condizionato classifiche basate su questionari di percezione. Si possono mitigare queste forme negative di bias attraverso la selezione delle fonti in primis, con un lavoro accurato di data sourching, e con metodologie di tipo statistico per arrivare alla formazione di un indice “composito e sintetico”. Superare i bias è possibile attraverso la raccolta di dati sulla corruzione che siano significativi, reperibili nel tempo, confrontabili e scalabili, e soprattutto che siano “accettabili” per tutti i paesi, sia a livello tecnico che politico. È inoltre importante valutare il contesto in cui i dati vengono raccolti, come ad esempio un contesto di crisi (pandemica, economica, sociale): per questo il lavoro di analisi del dato sulla corruzione è estremamente complesso, essendo difficile ottenere un dato sostenibile, comparabile e scalabile.

Ferrario conclude esponendo le tendenze di metodo che stanno emergendo: la prima è avere indicatori più solidi e oggettivati, che siano quindi complementari ai dati macro; la seconda è la capacità di disaggregare dati sulla corruzione per settori specifici (pubblico e privato, conflitti di interessi, appalti pubblici, contratti internazionali di grandi imprese, ecc.). Se l’impegno, sul fronte pubblico, deve essere l’e-government (ovvero implementare le infrastrutture tecnologiche a supporto della raccolta dei dati), sul fronte delle imprese si è passati dalla “cosmetica” dell’anticorruzione come pura formalità alla consapevolezza degli effetti della corruzione: un trigger culturale che da costo burocratico è divenuto strumento di gestione e di competitività.

I modelli normativi italiani sono considerati standard globali

L’intervento di Giovanni Tartaglia Polcini oltre a tracciare il percorso istituzionale del dibattito, ha voluto evidenziarne sia l’approccio giuridico che econometrico, ovvero teso a evidenziare la utility della misurazione; approcci che possono convergere, come evidenziato nell’Art. 61 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC). L’articolo è inserito nel capitolo dedicato a Capacity building e promuove la raccolta e lo scambio di informazioni per comprendere le dimensioni e i trend del fenomeno corruttivo negli Stati membri, e con lo scopo di far circolare le buone prassi per prevenire e contrastare il fenomeno. Misurare la corruzione serve, dunque, a meglio comprendere il fenomeno in tutti i suoi aspetti e quindi alla prevenzione e repressione dello stesso. Se l’interesse nazionale è stato il primo motore per l’indagine sulla misurazione della corruzione – in quanto i ranking internazionali penalizzavano spesso l’Italia, restituendone un’immagine distorta – i suoi effetti sono oggi di portata e rilevanza globale, grazie anche all’azione italiana nel corso del G7 del 2019 e nell’ultimo G20, e con la risoluzione n.10 (2019).

Tartaglia Polcini ha inoltre affermato quanto sia incompatibile l’immagine dell’Italia-Paese corrotto con altre evidenze: «il nostro Paese è fatto oggetto di numerosissime richieste di assistenza tecnica in materia di lotta alla corruzione; riceviamo non solo dai cosiddetti paesi in via di sviluppo ma addirittura da paesi del G7 e G20 richieste di assistenza tecnica per condividere i nostri modelli normativi e istituzionali e addirittura per contribuire alla formazione dei magistrati e dei funzionari impegnati nella prevenzione e nella repressione della corruzione. I nostri modelli normativi sono considerati standard globali».

Più di 1 milione di famiglie hanno vissuto una esperienza diretta nel corso della vita

Maria Giuseppina Muratore ha approfondito il tema della necessità di metodologie oggettive e dati affidabili per valutare in modo più concreto la corruzione nei paesi del G20. Ne emerge che un sistema utile per sconfiggere la corruzione è senz’altro la collaborazione internazionale, basato su scambio di dati, informazioni e metodologie. Tra i temi e le fonti esposte, è emerso come il fenomeno sia decisamente sottostimato in quanto le informazioni si riferiscono alla parte emersa del fenomeno. Attraverso la raccolta di informazioni da 18 paesi che hanno risposto al questionario, l’Istituto di statistica ha voluto creare il Compendium “The measurement of corruption in G20 countries: Overview and good practices”. Inoltre, secondo i dati Istat, in Italia 250mila famiglie hanno vissuto almeno una volta l’esperienza diretta della corruzione nell’arco di 12 mesi, 597mila famiglie negli ultimi 3 anni, 1 milione e 642mila famiglie nel corso di tutta la vita (dati 2016).

La misurazione della corruzione è una misura di prevenzione e contrasto essenziale 

Le conclusioni sono state affidate al Presidente Giuseppe Busia, che ha chiuso l’incontro con alcune considerazioni:

  • la misurazione della corruzione è una misura di prevenzione e contrasto essenziale e presupposto di comprensione e lotta alla corruzione stessa;
  • la misurazione della corruzione conviene, e una buona strumentazione per misurare e valutare i fenomeni corruttivi fa risparmiare denaro, ad esempio nei contratti pubblici;
  • la corruzione oggi è un fenomeno complesso e sfuggente, che si manifesta in contratti paralleli, consulenze, traffico di influenze; anche la sua misurazione è dunque un fenomeno complesso in quanto la corruzione ha assunto forme diverse;
  • la misurazione della corruzione, oggi, è un iter complesso che ha bisogno anche di elementi oggettivi, per condividere e restituire fotografie fedeli alla realtà: una buona misurazione incide sulla immagine di un paese.

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Il Presidente Busia ha sottolineato con un esempio chiaro un aspetto fondamentale dei fenomeni corruttivi: «Oggi ci sono in giro molte meno valigette di mazzette rispetto ai tempi di Tangentopoli, ma ci sono molti più fenomeni di finte consulenze e contratti paralleli, che sono le nuove modalità attraverso cui avviene la corruzione». E ha dato un’indicazione precisa «In Italia, come in altri Paesi, persiste un’assenza di dati scientifici sul fenomeno corruttivo e una carenza di informazioni territoriali rilevate in modo sistematico che possano fungere da ingredienti per la costruzione di un sistema di misurazione validato scientificamente. Nonostante questo, la corruzione non è esente da una certa incidenza statistica. Quando c’è del malaffare ci sono alcune circostanze che ricorrono di frequente. Utilizzando le informazioni contenute in varie banche dati, l’Autorità punta pertanto a individuare una serie di “indicatori di rischio corruzione”, peraltro in coerenza con quanto previsto dal Pnrr per il miglioramento dell’efficacia della lotta contro la corruzione». Busia auspica “una grande alleanza per la misurazione della corruzione”, l’alleanza tra Istituzioni, imprese, studiosi e soggetti coinvolti per proporre una buona pratica che diventi universale (ad esempio la Banca dati nazionale dei contratti pubblici), e conclude indicando in questa mancata cooperazione il punto debole dell’Europa: il luogo massimo di aggregazione è rimasto indietro su questo settore.

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