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Lo sguardo oltre – In ricordo di Giorgio Pacifici

di
Massimiliano Cannata

Ricordare Giorgio Pacifici è un esercizio difficile. Troppo forte lo strappo della sua perdita, quel senso di amputazione profonda che la scomparsa di una intelligenza così vivida genera nell’animo di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di dialogare con lui. L’Eurispes conosce bene Giorgio, uno dei soci fondatori dell’Istituto sin dal 1982; lo conosceva molto bene il Presidente, Gian Maria Fara, e la famiglia che guida la Fondazione, perché fin dall’inizio hanno condiviso il senso della scommessa. Creare un Istituto che guardasse con mente libera da pregiudizi ideologici e con rigore scientifico i fenomeni di trasformazione della società non era e non è operazione semplice. La storia ha dato ragione a quella scommessa. Le idee, quando radicate in una solida preparazione, si fanno strada, come “L’acqua buona”: l’immagine è di padre Bartolomeo Sorge e si addice molto bene a disegnare la figura cristallina di una “mente inquieta” come quella di Giorgio, attraversata da una profonda smania di conoscenza. Una dote che ‒ non sembri esagerato affermarlo ‒ ha caratterizzato i grandi intellettuali dell’Umanesimo, quando il nostro Mediterraneo era il vero epicentro della civiltà universale. Capace di indagare la contemporaneità con metodo e passione e di condurre ricerche sul campo in molti Stati dell’Europa, Asia e America, in lui l’inquietudine si traduceva in un atteggiamento che non prefigurava alcun timore, né tantomeno agitazione, era piuttosto indice di un esercizio del “cogito” che gli permetteva di essere straordinariamente concreto.

Le numerose pubblicazioni riflettono la poliedricità di un uomo mentalmente libero (aggettivo sempre più difficile da usare) capace di spaziare sui grandi temi del nostro tempo con lucidità e onestà. I mezzi di cui dispongo non sono certamente adeguati a descrivere il “multiverso” di interessi che ha segnato e continua a segnare il profilo di un’intelligenza originale, impossibile da imbrigliare in rigidi schematismi.

La mia collaborazione con FTI (Forum per la Tecnologia dell’Informazione) è stato il punto di inizio della nostra conoscenza. Il Forum, che Giorgio Pacifici ha presieduto per oltre vent’anni, dal 1993 al 2015, succedendo a Gesualdo Le Moli, docente del Politecnico di Milano che fu pioniere della telematica in Italia, ha svolto anche la funzione imprescindibile di un topos, uno spazio di connessione, un luogo di approfondimento e di analisi degli impatti sociali e culturali di quella che molti studiosi oggi vedono nelle sembianze della quarta Rivoluzione industriale. Era un’intuizione, quella del Forum, che ha avuto il merito di aggregare un’importante pleiade di studiosi a cominciare dal sapiente e illuminato contributo di Pieraugusto Pozzi, ingegnere engagé direttore e anima del Forum. Lo sviluppo delle tecnologie digitali e nuovi modelli di Governance per la Pubblica Amministrazione, La finalità della scienza e lo spettro della tecnocrazia, sono solo alcuni titoli utili a riannodare un impegno molto preciso sui temi di frontiera che è rimasto intatto, arricchendosi di importanti contributi. Ricordo in particolare gli interessanti scritti dell’ingegnere Angelo Luvison, che ha portato con sé l’esperienza delle ricerche condotte presso lo CSELT, il Centro Studi e Laboratori di Torino che hanno fatto la storia delle telecomunicazioni non solo in Italia (oggi TILAB). Tutti studiosi disposti a condividere il metodo aperto di un’intelligenza critica, sempre attenta nella valutazione di un progresso tecnologico che deve avere l’uomo e i suoi valori come essenziale punto di riferimento.

Oggi che è finito il tempo delle illusioni, che non si “danno armonie prestabilite”, l’insegnamento di Giorgio, che stimolava ad aprire oltre l’angolo di visuale, arriva ancora più forte. La negatività non abbatte mai i grandi pensatori, li stimola ad agire. Così negli ultimi anni, Pacifici sente il bisogno di reagire, lo fa con le sue armi, quelle della scrittura impegnata. Nasce così Le maschere del male (ed. Franco Angeli), opera a cui, diceva spesso nelle recenti interviste, teneva particolarmente.

Il velo di Maya e le “maschere del male”

Occuparsi del male diventa, infatti, necessario se si vuole recuperare il senso più profondo della storia universale. Già, il male… La letteratura di tutti i tempi se ne è occupata da Manzoni a Dostoevskj, da Leopardi ad Arendt, non trovando una risposta definitiva. Continua ad essere un mistero per i credenti, un interrogativo per le coscienze laiche, di certo una costante che attraversa la storia, mescolandosi con il bene, in un fitto intreccio a volte inestricabile. Oggi che non possiamo incontrarci più nella sua casa romana, collocata a pochi passi dalla Biblioteca Nazionale che lui frequentava spesso, ripensare a quella sua analisi sulle “agenzie del male”, punto focale della trattazione, a quei “motori” di negatività che, nelle sembianze della violenza molecolare, stanno sconvolgendo il mondo (dal terrorismo, alle guerre per il predominio delle aree strategiche, dal radicalismo della jihad, ai conflitti interetnici) fa comprendere appieno la capacità di interpretare e di leggere i segnali anche deboli fornendo traiettorie interpretative originali, sovente premonitrici.  

Le fenomenologie del disagio

Le più recenti pubblicazioni di Giorgio Pacifici sono nate con la collaborazione di Renato Mannheimer con l’obiettivo di indagare le trasformazioni socioculturali e le tante manifestazioni del disagio. Italie (ed. Jaca book) è un elogio della varietà e della differenza, i due autori intendono prima di tutto sottrarsi alla dittatura del pensiero unico. Sono le “ragioni degli altri” al centro dell’attenzione, posizione illuminista quest’ultima, assunta dal nostro, che per sua stessa ammissione, ha dichiarato di amare gli enciclopedisti, da Diderot a D’Alembert. Senza un “mondo fuori” non può esserci pensiero, né filosofia alcuna. Lo schermo troppo luminoso ha generato “una narcosi della luce” che ci ha illuso sulla possibilità che potesse esistere un giorno perenne senza notte, condizione non ammissibile in natura. Bisogna reagire all’“immanenza satura” fatta di un “uno tutto parmenideo” senza articolazioni, né autonomia, né possibilità di vita, che vede tanti “falsi sacerdoti” impegnati a negare la diversità. Lo scritto ha il merito di mettere a nudo, senza ipocrisie e con puntale oggettività, le tante ferite aperte, determinate da quei malesseri ormai cronici che affliggono il nostro Paese, destinati a far sentire i loro effetti ancora a lungo, condizionando il futuro di tutti.

Stiamo assistendo a un mutamento del capitalismo e degli assetti organizzativi e produttivi, che avevano retto, dalla rivoluzione industriale fino ai nostri giorni. Di questa “metamorfosi” Giorgio Pacifici era pienamente consapevole, per questo era tornato a battersi per una “globalizzazione dei diritti, non solo dei mercati”. Europe. Sociologia di un plurale necessario, ultimo scritto di Pacifici e Mannheimer (edito da Jaca Book, ha ricevuto il Premio “Maria Messina” nella cittadina siciliana di Mistretta dove la Messina, allieva del Verga, aveva vissuto) indica che è tempo di creare un “terzo spazio” che possa andare oltre la sterile e perniciosa contrapposizione “populisti vs sovranisti” che continua a dominare il dibattito attuale. C’è una “rete di nuovi fenomeni” che sta emergendo e che ci ostiniamo a ignorare, a non capire. Stiamo tradendo, come spiega molto bene in Scomunicare Gian Piero Jacobelli, il rapporto tra il segno e il significato. Stiamo, in altri termini, venendo meno al patto comunicativo, nel camuffamento di quella ricerca di verità, che dovrebbe essere un dovere preciso e inaggirabile per chi ha la responsabilità professionale e civile di formare l’opinione pubblica. Ecco le nuove maschere che Pacifici aveva cercato di esorcizzare.

Il profondo bisogno di una rigenerazione morale

Rimane dentro di noi il profondo bisogno di rigenerazione morale e materiale che trasuda dai tantissimi lavori di ricerca che Giorgio Pacifici, sempre in collaborazione con altri autori (credeva nella squadra e nella scrittura corale, altra cosa oggi molto rara), ci ha lasciato. Le sue indagini sull’India dove aveva abitato e sul continente africano che lo ha accolto nell’ultimo istante di vita. Entriamo nel mondo con i pugni chiusi pronti alla lotta, per poi congedarci con le braccia aperte, annichiliti di fronte a tanto mistero. In assenza di un sostegno ideale e di una grande forza spirituale, sarebbe impossibile affrontare l’insondabile. Per questa ragione vorrei, infine, ringraziare di cuore l’amico Giorgio perché ci ha insegnato a gettare sempre “lo sguardo oltre” la siepe del pregiudizio e dell’ignoranza, verso traguardi di crescita e di progresso più veri e più alti.

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