Nell’era delle tecnologie data as a service, delle unified communications, dell’industria 4.0 e della tanto chiacchierata “rivoluzione digitale”, istituzioni, associazioni di categoria, istituti e osservatori concordano tutti: i paradigmi dell’attuale mercato del lavoro cambieranno radicalmente nel giro di pochi anni e guai a non farci i conti quanto prima.
Sono emerse, e continueranno a farlo, nuove categorie di lavoratori iper-specializzati (già oggi assai difficili da individuare), sviluppatesi in seguito all’evoluzione dei processi di automazione industriale, così come sono mutate le necessità imprenditoriali, instradate oramai in una nuova e complessa ricerca di profili con nuove skill che meglio si adattano a business poggianti su circuiti globali. Secondo Confindustria, saranno poco meno di 193mila i posti di lavoro a disposizione nel prossimo triennio (2019-2021) nei settori della meccanica, dell’ICT, dell’alimentare, del tessile, della chimica e del legno-arredo, vale a dire sei tra i settori più rilevanti del Made in Italy. Nello specifico, gli imprenditori stanno esprimendo l’urgenza di individuare particolari figure professionali che in un caso su tre sono di difficile reperimento, a causa della scarsità complessiva dell’offerta formativa, carente specialmente per le competenze tecnico-scientifiche medio-alte.
L’Eurispes, nel suo ultimo Rapporto Italia, in particolare nella Scheda 24 dedicata al “lavoro che cambia”, ha evidenziato l’importante significato che, in maniera sempre più vistosa, stanno assumendo quei fenomeni caratteristici dell’economia digitale e della nuova natura dei modelli industriali. L’Italia affronta le novità con un mercato del lavoro nel quale permangono dualismi e criticità, evidenti soprattutto ad un confronto con la situazione europea. Il tasso di occupazione è tra i più bassi del continente, così come quello di disoccupazione tra i più alti. Senza considerare la storica polarizzazione Nord/Sud e città/periferie – ma solo per concentrare la nostra attenzione su altri fattori – secondo l’OECD, l’Italia è all’ultimo posto circa l’alfabetizzazione digitale di base degli adulti, al penultimo posto, prima della Spagna, nell’istruzione numerica e al penultimo posto, prima della Francia, nell’educazione degli adulti alla soluzione dei problemi in ambienti tecnologicamente avanzati. Tali criticità avranno ripercussioni sull’intero sistema proprio in questi anni, traducendosi nella riduzione di un’ampia fetta di lavoratori, facilmente sostituibili, a causa dell’automazione, in particolare appartenenti a quelle mansioni di tipo routinario e intermedio, in Italia molto più diffuse che in Europa.
Uno degli ultimi rapporti elaborati dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere parla chiaro: tra il 2019 e il 2023 lo stock nazionale di occupati potrà crescere in una misura compresa tra 427.000 e 905.000 unità. In particolare, ad avere un peso determinante nel caratterizzare i fabbisogni occupazionali dei diversi settori economici saranno la digital trasformation e l’ecosostenibilità. Imprese e Pubblica Amministrazione avranno bisogno in particolare di lavoratori con specifiche competenze matematiche e informatiche, digitali o connesse all’Industria 4.0. Fra le figure professionali emergenti maggiormente richieste sul mercato ci saranno gli esperti nell’analisi dei dati, nella sicurezza informatica, nell’intelligenza artificiale e nell’analisi di mercato. Le nuove professioni emergenti in questo campo saranno quelle del Data Scientist, Big Data Analyst, Cloud Computing Expert, Cyber Security Expert, Business Intelligence Analyst, Social Media Marketing Manager, Artificial Intelligence Systems Engineer. Forse sorprenderà molti, ma la ricerca di competenze digitali non sarà confinata esclusivamente alle aree funzionali cosiddette “tecniche”, vale a dire Ict, progettazione, ricerca o sviluppo, ma sarà presente anche nell’area amministrativa, nelle HR o nei servizi generali, tant’è che in molti parlano di nuovo umanesimo tecnologico. Le abilità trasversali a-contestuali stanno prevalendo sempre di più nel mondo del lavoro e oramai a oltre 9 profili su 10 è associata la richiesta di competenze digitali.
Ed è qui che arrivano i problemi più grandi: come confermano le indagini Excelsior, già oggi molte imprese fanno fatica a trovare candidati con queste competenze, riconducendo questa criticità alle carenze del sistema formativo, poiché è proprio la formazione, attraverso l’acquisizione di know-how in maniera rapida e continuativa, a rappresentare oggi il fattore competitivo in grado di determinare il successo di un business. Per evitare il rischio di marginalizzazione dal mercato del lavoro, appare prioritario ripensare il sistema educativo e universitario, intensificare le iniziative di ri-alfabetizzazione degli adulti, potenziare al massimo i programmi di formazione continua e il coinvolgimento delle persone nella pratica di un apprendimento costante durante tutto l’arco della vita, in una direzione di “lifelong learning”.