Sicurezza sul lavoro e caporalato, Maurizio Martina: “La legge contro lo sfruttamento sta funzionando”

Dal lavoro nero alla sicurezza sui luoghi di lavoro, dal fenomeno del caporalato agli effetti della legge 199/2016, fino alle conseguenze dei Decreti Sicurezza di Salvini. L’ex Ministro Martina risponde alle domande di Marco Omizzolo.

On. Maurizio Martina, in Italia a causa del lavoro si contano un morto ogni otto ore e un infortunato ogni 50 secondi; a questo bilancio vanno aggiunte le persone affette o morte per malattie professionali. Una tragedia quotidiana che ha enormi costi umani, economici, sociali, amministrativi, giudiziari, previdenziali e assicurativi. Da dove derivano le ragioni di questa strage e che cosa manca ancora al Paese per il suo superamento definitivo?
La sicurezza sui luoghi di lavoro purtroppo è ancora un’emergenza nel nostro Paese e sarebbe folle sottovalutare la portata dei numeri drammatici che ci raccontano di tragedie quotidiane. Occorre insistere perché concretamente si rafforzino tutti gli strumenti preventivi, a partire dal potenziamento delle attività di controllo sul territorio. Io, poi, spero che molto presto il Parlamento proceda anche all’apertura della Commissione parlamentare speciale dedicata a questo fenomeno perché mi pare che anche così si possa impostare un lavoro quotidiano e coerente, senza vuoti d’iniziativa, e superando la logica emergenziale che si attiva di fronte a tragici incidenti.

In qualità di Ministro dell’Agricoltura, lei è stato tra i principali promotori della legge 199/2016 contro lo sfruttamento lavorativo. A distanza di quasi quattro anni dalla sua promulgazione, ritiene che questa legge abbia svolto la sua funzione di contrasto allo sfruttamento e al caporalato? E quali sono state le maggiori resistenze che ha incontrato e che ha dovuto superare in qualità di Ministro per arrivare alla sua approvazione?
Penso che la 199 sia stata un passaggio decisivo. Ha dato il segnale giusto e ha innovato la strategia di contrasto al fenomeno. Anche i numeri del lavoro della magistratura di questi quattro anni lo confermano. La parte repressiva funziona meglio ora, la parte preventiva invece va ancora seriamente sbloccata. Una parte del sistema agricolo ha inizialmente avuto timore di questo salto in avanti dello Stato, ma io penso che a distanza di qualche anno si possa riconoscere che certe preoccupazioni erano infondate perche le tante imprese sane del nostro Paese non devono temere nulla; mentre quelle che sfruttano e delinquono devono essere colpite senza timore.

In molti tribunali del Paese sono in corso processi contro sfruttatori e caporali. A volte, tra gli imputati, ci sono esponenti di pericolosi clan mafiosi. In alcuni di questi processi si sono costituiti parte civile il sindacato, i braccianti sfruttati e alcune associazioni. Invece, non risulta la costituzione di parte civile delle categorie datoriali e solo raramente delle Amministrazioni locali e regionali interessate. Non la ritiene una contraddizione che espone alla responsabilità civica solo il mondo del lavoro? Secondo lei, le categorie datoriali e le Amministrazioni interessate dovrebbero avere maggiore coraggio e costituirsi parte civile nei processi riguardanti caporalato, tratta e sfruttamento e infine espellere dalle proprie organizzazioni i condannati per tali reati?
Le rispondo senza dubbi: sì. Ritengo che sarebbe un segnale certamente forte la costituzione di parte civile anche delle associazioni di fronte a processi di rilevanza. Aggiungo che io stesso, da Ministro, ho pensato più volte alla possibilità di chiedere anche la presenza del Ministero. Stiamo parlando di atti da costruire con serietà anche sul piano giuridico e processuale, ma di grande valenza civile ben oltre la logica processuale del caso.

L’ex Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, più volte hanno dichiarato di voler modificare la 199/2016. In molti hanno visto in questa proposta il tentativo di smontare gli aspetti più virtuosi e repressivi della norma. Quale è la sua opinione a riguardo?
Diciamo che alcuni ci hanno provato, ma per ora non ce l’hanno fatta. Ho trovato alcune prese di posizione molto sommarie e, come troppo spesso accade, figlie di una logica propagandistica dannosa per il Paese. In ogni caso, bisogna tenere alta l’attenzione e non consentire alcun passo indietro perché è chiaro che è una legge che dà fastidio ad alcuni.

A gennaio scorso l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, Hilal Elver, presentando il suo report, ha dichiarato di aver trovato in Italia una condizione di grave e diffuso sfruttamento della «manodopera dal sofisticato sistema alimentare dell’Italia, orari eccessivamente lunghi, salari troppo bassi per coprire i bisogni elementari». E ancora: «Da Nord a Sud, centinaia di migliaia di braccianti lavorano la terra o accudiscono il bestiame senza protezioni legale o sociale adeguate». Secondo l’Eurispes e il suo Rapporto sulle Agromafie, nel 2018 il relativo business è di 25 miliardi di euro circa. L’attuale Governo, secondo lei, e soprattutto l’attuale Ministro Bellanova, già bracciante e ora esponente di punta di Italia Viva, stanno agendo in modo corretto contro sfruttamento, agromafie e caporalato, oppure osserva una certa lentezza nella relativa azione politica?
Io penso che il Governo e anche il Ministero delle Politiche Agricole stiano facendo bene. Mi pare che ci siano impegno e determinazione. Ora è davvero importante che il Governo presenti il piano triennale d’azione, figlio della legge 199, proprio per proseguire il rafforzamento del lavoro di contrasto e prevenzione e so che su questo a breve ci saranno importanti novità operative.

Uno degli attori chiamati in causa, quando si analizza la filiera del caporalato e dello sfruttamento lavorativo, è la grande distribuzione organizzata. Come agire per arginare alcune storture del sistema della GDO per evitare ricadute negative sulla forza lavoro?
È fondamentale stringere sempre di più patti di collaborazione virtuosa con la GDO. L’iniziativa che noi abbiamo assunto come Pd contro le aste a doppio ribasso è stata efficace e ora va implementata così come il Governo deve predisporre l’applicazione della direttiva europea contro le pratiche sleali. Se lavoriamo bene su questi due strumenti, possiamo fare la differenza.

Con la ricerca “I sommersi dell’accoglienza”, Amnesty Italia ha rilevato una sorta di sterilizzazione del diritto d’asilo italiano e la pericolosa esposizione ‒ per via del Decreto Sicurezza ‒ di migliaia di persone, all’emarginazione, al caporalato e alle agromafie. Quale è la sua opinione in materia? Si tratta di un decreto da modificare o cancellare? E nel caso sia da modificare, in quale direzione?
Contesto da sempre che quelli di Salvini siano stati decreti sicurezza. Non è cosi. Sono stati decreti di propaganda e, alla prova dei fatti, hanno generato più insicurezza e disorganizzazione. Parlano i numeri: gli effetti di quelle scelte hanno prodotto in un anno trentamila irregolari in più. Per questo vanno radicalmente superati.

Secondo alcune inchieste giornalistiche esiste un traffico clandestino di varie sostanze chimiche per l’agricoltura, illegali e cancerogene, acquistate in Cina, importate in Italia attraverso i porti di Gioia Tauro e Napoli, lavorate probabilmente in alcuni laboratori della Camorra e, infine, vendute ad alcuni imprenditori dell’Agro Pontino e della Sicilia orientale. Quale è la sua opinione in materia? Quando era Ministro si è occupato di questo tema? Che cosa fare per fermare questo crimine che intossica i corpi dei lavoratori, dei consumatori e l’ambiente?
Bisogna assolutamente approfondire e non sottovalutare. Penso che su questo tema delicato occorra una task force con gli organismi di controllo preposti (dall’Agenzia delle Dogane all’Arma dei Carabinieri) per una specifica strategia d’intervento.

In Italia nel 2008 abbiamo avuto, dopo quarant’anni di attesa, un Testo unico sulla sicurezza del lavoro che attende ancora i decreti attuativi. Nel frattempo, ci sono stati sei Ministri del Lavoro, di tutti gli orientamenti politici. All’indomani di ogni strage sul lavoro, le dichiarazioni più ricorrenti riguardano il tema dei maggiori controlli e l’assunzione di nuovi ispettori. In dieci anni gli ispettori delle Asl sono stati però dimezzati e non ci sono ancora i nuovi ispettori del lavoro promessi. Una sinistra moderna e radicalmente ancorata ai diritti non dovrebbe, soprattutto quando va al governo, intervenire in questa direzione riorganizzando il sistema preventivo e dei controlli? Perché questo non è ancora accaduto?
La sinistra moderna è quella capace di fare scelte come la “199” o la legge contro le dimissioni in bianco. Ma guai a noi se ci cullassimo sugli allori. La frontiera dei diritti e della dignità del lavoro va presidiata con ancora più forza e quindi penso che sia giusto domandarsi come fare di più e meglio, anche a partire dal tema ineludibile della sicurezza del lavoro. Quei decreti attuativi vanno fatti e la rete dei controlli preventivi va sostenuta con un serio investimento dello Stato.

Il Memorandum dell’Italia con la Libia è stato recentemente prorogato senza alcuna modifica. Non la trova una contraddizione nel momento in cui esso blocca migliaia di profughi in Libia, paese dove la tortura e la violenza sono pratica quotidiana? È coerente, secondo lei, combattere caporalato e agromafie in Italia e poi esporre migliaia di persone in Libia alla violazione sistematica dei diritti umani e alla tortura?
Quel Memorandum va cambiato e il Governo è al lavoro proprio per questo. La questione, come sappiamo, è molto delicata ma non possiamo certo voltarci dall’altra parte. Io penso che sia giusto assumersi la responsabilità di un lavoro che modifichi quell’intesa, perché la situazione libica oggi è molto diversa, e purtroppo peggiore, rispetto a prima. Credo che l’Italia debba continuare a insistere con forza perché sul drammatico terreno libico sia presente, in modo più efficace e più organizzato, la comunità internazionale con le sue agenzie operative a tutela dei diritti umani e della pace. Siamo tra i pochi paesi che possono svolgere questo ruolo, dobbiamo continuare a sviluppare un’azione diplomatica su questo fronte, insistendo perché l’Europa agisca davvero unita.

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