Tutti in bici. Le piste ciclabili cambieranno le nostre città

La necessità di distanziamento ha cambiato, forse in maniera irreversibile, il rapporto con le nostre città: ai mezzi pubblici affollati e al traffico all’ora di punta si sono sostituite delle alternative di mobilità. Tra queste, tralasciando il contestatissimo monopattino o il car sharing, la soluzione più significativa a lungo termine è senza dubbio la bici, con tutto il dibattito che ne consegue sugli spazi urbani dedicati, in particolare le piste ciclabili.

La pandemia sta avendo un effetto inaspettato: molte città tolgono spazio all’auto per darlo alla bicicletta, mezzo di trasporto che riduce l’inquinamento e favorisce una mobilità sana, attiva e sicura contro il virus. Le piste ciclabili possono davvero cambiare lo spazio metropolitano, in termini sia di sostenibilità ambientale sia di decongestione dei trasporti pubblici e anche in Italia la pandemia potrebbe diventare un elemento acceleratore verso tale processo.

L’urbanista canadese, Brent Toderian, spiega che molte città già vivevano un processo di espansione dell’uso della bicicletta, ma la pandemia ha spinto ancora più in là gli eventi: progetti urbanistici in programma per l’anno prossimo in molti casi sono già in corso di realizzazione. Parigi, che già vantava una rete ciclabile ampia 700 km, ha sfruttato uno stato di necessità per accelerare la sua trasformazione con altri 50 km di ciclabili temporanee, realizzate senza costi eccessivi con vernici e coni. Ma Parigi aveva cominciato già sei anni fa a concepire gli spazi urbani in funzione di un mezzo di trasporto individuale ed ecologico, coinvolgendo in maniera capillare il centro e le periferie. Non si può dire lo stesso di altre capitali europee, dove tale conversione va a rilento e le piste ciclabili sono presenti a singhiozzo o non collegano in maniera efficace l’area urbana, come accade a Madrid, dove la rete ciclabile del centro (130 km) è esigua e scollegata dalle ciclabili delle periferie (130 km), isolando di fatto i quartieri senza rappresentare una valida alternativa. Qui, nel corso della pandemia, lo spazio dedicato alla bici è stato aumentato di 12 km senza realmente intaccare il primato delle auto, ma altre città europee hanno fatto meglio: Berlino ha costruito 27 km di ciclabile in più con la pandemia, mentre Lisbona, con i suoi 105 km di pista ciclabile, conta di raddoppiare entro il 2021 lo spazio dedicato alle bici (fonte: El País).

Anche in Italia il processo di riqualificazione urbana sembra essersi messo in moto, e la decongestione dei mezzi pubblici potrebbe diventare solo l’effetto collaterale di una complessiva svolta green. Osservate speciali di questo cambiamento sono – si può immaginare – le grandi città, che hanno urgente bisogno di mettere in sicurezza il trasporto pubblico scaricando parte dei passeggeri su mezzi alternativi e più sicuri. E infatti la ripresa delle attività ha ridefinito la mobilità in una città come Milano, dove gli interventi sono diventati più evidenti con l’inizio della Fase 2 (ovvero il dopo-lockdown). Secondo fonti ufficiali del Comune di Milano, ai già esistenti 220 km di pista ciclabile se ne aggiungeranno altri 35 entro il 2020 lungo le principali direttrici radiali e circolari della città e su zone centrali come Porta Venezia e San Babila.

La Fase 2 a Roma è stata inaugurata con la promessa di realizzare 150 km di pista ciclabile, i quali si andrebbero a sommare ai 250 già presenti, che da soli non bastano a supportare gli spostamenti su una superficie estesa come quella capitolina. Al momento il lungotevere è l’arteria principale del trasporto leggero che collega Roma da Tor di Quinto alla Magliana, in attesa di interventi più incisivi con vere e proprie corsie e percorsi dedicati, capillari e strategici. Il piano di mobilità del Comune è impegnato anche nella collocazione di nuove rastrelliere per il parcheggio in 186 punti nodali, ed è stato aperto un canale diretto per segnalare la necessità di interventi e manutenzione.

È altresì complicato classificare la qualità delle piste ciclabili, che passano tutte sotto lo stesso nome, ma contemplano esiti differenti: da corsie larghe e ben collegate a stretti marciapiedi spesso in conflitto con i pedoni, a semplici segnali sull’asfalto che non separano i ciclisti dalle auto, minandone la sicurezza. Inoltre, quando si esamina una rete non è sufficiente contare solo la lunghezza delle infrastrutture, ma è importante vederne l’utilità: ad esempio, la metà dei 260 km di piste ciclabili di Madrid attraversa la periferia o i parchi e viene utilizzata maggiormente per il tempo libero nei fine settimana, mentre a Barcellona le bici attraversano principalmente il centro. Insomma, non basta un po’ di vernice sull’asfalto per avere una città ciclabile: sono necessari percorsi coerenti e strutturati, che colleghino il centro con le periferie, spazi dedicati al parcheggio e una seria razionalizzazione degli spazi comuni a bici e auto, come ad esempio gli incroci, spesso pericolosi per chi viaggia in bici. Ridistribuire la mobilità è un’opportunità imperdibile per vivere in città meno caotiche e inquinate, e ripensare gli spazi urbani secondo nuove prospettive.

 

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