La tecnologia sta rischiando di rendere sempre più difficile garantire il work-life balance. L’essere sempre raggiungibili tramite il digitale, infatti, impedisce al lavoratore di riposarsi e di rigenerarsi dagli impegni lavorativi. Il tema è oggi al centro del dibattito sociale e politico con la proposta di legge sul riconoscimento di un pieno diritto alla “disconnessione” di tutti i lavoratori, stabili e precari, subordinati e autonomi, in smart working come in presenza. La richiesta di interventi volti a garantire un sano bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata proviene, in particolare, dalle nuove generazioni.
Sono le grandi imprese a fare maggiore uso dello smart working, con quasi 2 milioni di lavoratori nel 2024 ed un incremento dell’1,6% rispetto al 2023
Dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano emerge che nel 2024 il numero di lavoratori da remoto è stato pari a 3,55 milioni con una riduzione dello 0,8% rispetto al 2023. In particolare, sono le grandi imprese a farne maggiore uso, con quasi 2 milioni di lavoratori nel 2024 ed un incremento dell’1,6% rispetto al 2023 (1,91 milioni). Le Piccole e medie imprese (PMI), invece, hanno fatto registrare un calo passando nel 2024 a 520mila lavoratori rispetto ai 570mila del 2023. Stabile il ricorso allo smart working nelle microimprese e nella Pubblica amministrazione. Lo stesso studio prevede, inoltre, per il 2025 un incremento del 5%, che porterebbe 3,75 milioni di lavoratori da remoto. In Italia i lavoratori possono lavorare, in modalità smart, 9 giorni in media al mese nelle grandi imprese, 7 nella PA e 6,6 nelle PMI.
Il 73% dei lavoratori in smart si opporrebbe se la propria azienda non consentisse loro di lavorare a distanza
Ma qual è il giudizio del lavoratore rispetto a questa modalità di lavoro? A ben vedere, il lavoratore la apprezza al punto tale che ben il 73% dei soggetti in smart si opporrebbe se la propria azienda non consentisse loro di lavorare a distanza. In particolare, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro e il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Le iniziative che i lavoratori richiedono per compensare il ritorno in ufficio, rinunciando allo smart working, sono: la flessibilità oraria (56%); un aumento della retribuzione mensile del 20% (54%). Interessante è considerare che per il 9% dei rispondenti non ci sarebbe iniziativa che possa compensare la mancata possibilità di godere dei vantaggi legati allo smart working. A confermare l’interesse degli italiani per il lavoro da remoto ci sono i dati secondo i quali, tra i soggetti che sono tornati in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, riconoscendo nel lavoro in presenza anche la possibilità di socializzare con i colleghi. Il 23% lo ha fatto perché ha assunto una nuova mansione non eseguibile più da remoto, mentre per il 58% non è stata una scelta, ma la conseguenza di una decisione presa dall’azienda (fonte: Studio Politecnico di Milano).
L’Italia è al 26esimo posto su 30 nella classifica del work-life balance tra i paesi europei
Se, da un lato, lo smart working ha avuto effetti positivi sulla vita privata permettendo di coniugare il lavoro con il proprio tempo libero e la famiglia, dall’altro, ha reso spesso difficile definire in modo netto i confini tra i due àmbiti. Secondo i dati Inail relativi al primo trimestre del 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023, le denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici e comportamentali in Italia sono aumentate del 17,9%. Il nostro Paese si caratterizza per bassi livelli di bilanciamento vita-lavoro. Dato che trova conferma nello studio “European Work-Life Balance Index 2025” di Remote in cui l’Italia è al 26esimo posto su 30 nella classifica del work-life balance tra i paesi d’Europa. Ai primi posti della classifica figurano Irlanda, Islanda, Belgio, Danimarca. La formulazione dell’Indice si basa sulla valutazione dei seguenti fattori: numero dei giorni di ferie; livello dell’assistenza sanitaria; presenza del salario minimo; orari medi di lavoro; congedi; retribuzione in caso di malattia; livello di inclusività e livello di felicità. In particolare, la scarsa performance dell’Italia è legata all’assenza di un salario minimo, che è adottato da 22 dei 27 paesi dell’Unione europea, e a bassi livelli di inclusività (19esimo posto).

