Agromafie, un business da 24,5 miliardi di euro, in crescita del 12% rispetto al 2017

Il volume d’affari complessivo annuale delle agromafie è salito a 24,5 miliardi di euro con un balzo del 12,4% nell’ultimo anno con una crescita che sembra non risentire della stagnazione dell’economia italiana e internazionale, immune alle tensioni sul commercio mondiale e alle barriere circolazione delle merci e dei capitali. È quanto emerge dal sesto Rapporto Agromafie 2018 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare. Una rete criminale che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla sua produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita, con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza tanto che ormai si può parlare ragionevolmente di mafia 3.0. Si tratta di persone colte, preparate, plurilingue, con importanti e quotidiane relazioni internazionali al servizio del business mafioso che, proprio grazie a loro, assume e consolida un carattere transnazionale e globale. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato sono la moltiplicazione dei prezzi, che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, i pesanti danni di immagine per il Made in Italy in Italia e all’estero e i rischi per la salute con 399 allarmi alimentari, più di uno al giorno nel 2018 in Italia,.
Secondo Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes e Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione “Osservatorio Agromafie”: «Siamo ormai di fronte ad organizzazioni che esprimono una “governance multilivello” o più “governance multilivello” sempre più interessate a sviluppare affari in collaborazione che non a combattersi. E Il comparto agroalimentare si presta ai condizionamenti e alle penetrazioni: poter esercitare il controllo di uno o più grandi buyer significa poter condizionare la stessa produzione e di conseguenza il prezzo di raccolta, così come avere in proprietà catene di esercizi commerciali o di supermercati consente di determinare il successo di un prodotto rispetto ad altri». Fara e Caselli aggiungono: «Si può ormai ragionevolmente parlare di mafia 3.0. La “struttura intelligente” si pone al servizio trasversale delle diverse organizzazioni, accogliendone le disponibilità finanziarie per valorizzarle e accrescerle attraverso modalità dall’apparenza lecita».

Il sondaggio Eurispes: 8 italiani su 10 scelgono il Made in Italy

L’indagine condotta dall’Eurispes nel 2018, in continuità con i precedenti Rapporti sulle Agromafie, esplora il rapporto degli italiani con il cibo.
I consumatori italiani prediligono, nella grandissima maggioranza dei casi, i prodotti alimentari Made in Italy (82,7%). Il 67,7% controlla l’etichettatura e la provenienza dei prodotti. In àmbito alimentare gli italiani si orientano nella gran parte dei casi verso i prodotti di stagione, privilegiati dal 73,7%, verso i prodotti con marchio Dop, Igp, Doc (il 56% li compra spesso) e senza olio di palma (55,8%); quasi la metà (49,3%) privilegia i prodotti a Km 0. I prodotti biologici vengono acquistati spesso dal 41,3% del campione. Eppure superano un terzo (37%) i consumatori che, indipendentemente dalla provenienza, scelgono i prodotti più economici. Il confronto con i risultati degli ultimi due anni evidenzia una crescita della quota di consumatori che privilegiano i prodotti Made in Italy, come pure di coloro che acquistano spesso prodotti con marchio Dop, Igp, Doc e prodotti biologici. Al contrario, risultano in lieve diminuzione gli italiani che controllano l’etichettatura e la provenienza, che privilegiano i prodotti di stagione e quelli a km 0.
Invitati dal sondaggio Eurispes ad indicare l’elemento che influisce maggiormente sulle loro scelte di acquisto di prodotti alimentari, gli intervistati si dividono: per il 18,3% conta soprattutto quel che legge nell’etichetta, per il 15,2% la garanzia offerta dalla marca, per il 13,4% l’esperienza diretta di parenti e amici, per il 12,5% l’offerta speciale sul prezzo, per l’11,8% il fatto che sia un prodotto italiano, per il 10% il prezzo, per il 9,3% la fiducia nel punto vendita, per l’8,5% la presenza di marchi Dop, Bio, ecc.; la pubblicità sembra costituire l’aspetto determinante solo per l’1%.
La netta maggioranza degli italiani (67,9%) si dice disposta a pagare di più per un prodotto alimentare con materia prima interamente italiana, a fronte di meno di un terzo (32,1%) che si pronuncia invece sfavorevolmente.

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