Ci sono luoghi simbolo in Italia, Comuni che sono stati emblema prima delle mafie, e poi di riscatto e rinascita. Tra questi possiamo citare Corleone, in Sicilia, e Casal di Principe in Campania. Luoghi che sono, però, Comuni e territori, che devono essere amministrati. La fase più delicata e complessa si verifica quando si spengono le luci mediatiche. Prima c’era la camorra, dopo c’è la libertà. L’assioma vuole che, quindi, tutto funzioni bene, che le strade si riparino da sole e che i servizi siano eccellenti e la raccolta dei rifiuti sia differenziata al millimetro. La realtà è tutt’altra: per indagare che cosa sia “il dopo”, Renato Natale, Sindaco di Casal di Principe, ci spiega la quotidianità dell’Amministrare. Medico (oggi in pensione), con altri medici ha fondato, alla fine degli anni Ottanta, l’Associazione “Jerry Masslo”. Dal 2014 è Sindaco, dopo esserlo stato brevemente dal 1993 al 1994; amico di don Peppe Diana, è stato oggetto di diverse intimidazioni, che non hanno mai fermato il suo impegno.
L’intervista è disponibile anche in inglese
Administering legality: the challenging job of a Mayor
Che cosa significa gestire una cittadina come Casal di Principe? Qual è la principale difficoltà che un Sindaco incontra nel dover amministrare un simbolo, prima che una cittadina, sia in senso negativo e sia positivo?
Certamente vi è il tema dei pregiudizi: per molti Casal di Principe è ancora sinonimo di criminalità organizzata. Uno dei nostri compiti è stato, fin dall’inizio, operare per cambiare il significato della parola “casalese” nell’immaginario collettivo. Siamo riusciti a fare molto, ma ancora oggi dobbiamo a volte confrontarci con stereotipi pesanti e umilianti, dai quali è difficile liberarsi. È però evidente che Casal di Principe è diventata, nel corso degli anni, sinonimo di riscatto e rinascita; molti vengono qui per cercare di capire come sia stato possibile questo cambiamento, che a volte sembra essere un vero miracolo. Ovviamente, alla fatica per riscattare la propria identità come comunità libera, oggi si accompagna anche la fatica per governare questa nuova identità, farla crescere, e renderla sempre più ricca di significati e buone pratiche. Ciò che serve è un’azione culturale di intervento sulle coscienze, di ristrutturazione dei modelli comportamentali e degli stili di vita: azione tanto ambiziosa, quanto necessaria.
“Legalità” è una parola semplice da pronunciare, immediata. Quanto la burocrazia, l’applicazione della legge in maniera netta, diventa un ostacolo ad essa? È una contraddizione porre la questione in questi termini?
“Legalità”: è una parola difficile da declinare. Cosa significa? Una serie di norme scritte? Un senso comune di giustizia? In una realtà come la nostra – dove l’illegalità corrispondeva ad azioni criminali pesanti e fortemente incidenti sulla vita comune dei cittadini – parlare di legalità ha significato per molti anni parlare di libertà. Libertà dall’oppressione della camorra. Applicare le leggi dello Stato democratico ha significato, così, ristabilire i princìpi di una convivenza civile, basata sul rispetto delle persone e sul senso di comunità. Ma, oggi, a volte può essere difficile far coincidere il termine legalità con quello di giustizia o di difesa dei diritti. Un esempio è la lotta all’abusivismo edilizio. Certamente va recuperato il rispetto di ogni norma urbanistica e va punito ogni abuso, ma bisogna tener conto dei singoli contesti e usare il buon senso: qui a Casal di Principe contiamo oltre 2mila abitazioni abusive – circa 150 sono già colpite da provvedimento finale che comporta la demolizione dei fabbricati, spesso prime case – abitate da famiglie, alcune delle quali, anche in difficoltà. Qui i costi economici e sociali, oltre che umani, corrono il rischio di essere talmente pesanti da far vivere il rispetto della legalità come una palese ingiustizia, non come un modo per rientrare nel vivere civile, ma come l’ennesima oppressione di un governo tiranno. Ricordiamo che, per circa 30 anni, questa città è stata dominata da uno dei più potenti clan criminali d’Italia; nel corso di quegli anni l’unica legge da rispettare era quella dettata dai boss, che perseguivano gli interessi dei sodali. Ai cittadini non venivano date altre certezze, altri orientamenti, altri punti di riferimento. Era questo il clima sociale in cui ha vissuto per decenni l’intera comunità di Casal di Principe. Nei fatti, questo ha comportato la crescita della città senza regole o, meglio, con “altre” regole. Ogni muro, colonna, o tramezzo costruiti, erano denaro e ricchezza per i clan che controllavano, in regime di monopolio, l’intero settore dell’edilizia, dalle cave ai magazzini, dai cementifici al trasporto dei materiali e alle stesse imprese di costruzione, e i cittadini ne erano spesso complici inconsapevoli o vittime impotenti. Ogni casa costruita, era potere e arricchimento per i camorristi e per il loro impero. Dopo decenni di legge criminale, oggi arriva finalmente la legge dello Stato, la legalità ma, in questo caso, con il volto duro e insensibile delle ruspe, cieca al fenomeno nel suo complesso, e rischiando di mettere in strada famiglie intere che non hanno altra abitazione né altre possibilità. E questo accade anche ad un costo elevatissimo per la comunità: ogni casa abbattuta costa all’Ente locale – e quindi all’intera comunità – circa 200mila euro. Un carico economico enorme e alla lunga insostenibile. Vi è il pericolo di un nuovo dissesto finanziario, in un momento storico in cui non abbiamo le risorse necessarie per assistere soggetti fragili e famiglie in difficoltà, non riusciamo a dare servizi e infrastrutture civili alla città (quali strade, luci, sistema fognario e altro ancora). Alla fine corriamo il rischio che lo Stato dal volto duro, che non conosce i contesti e le storie che hanno portato a queste situazioni, possa provocare un ritorno indietro dal punto di vista culturale. In questo clima qualcuno potrebbe addirittura pensare che forse “era meglio prima”, quando c’erano i criminali. È un rischio troppo grande che non possiamo permetterci e che darebbe un colpo troppo duro al processo di cambiamento faticosamente avviato. Bisogna, allora, lavorare di mente e di cuore, per trovare soluzioni adeguate affinché il termine “legalità” continui ad essere vissuto come momento di crescita collettiva e di vivere civile, nel rispetto dei diritti fondamentali di tutti, della solidarietà e della giustizia, e non di semplice “obbligo” o “punizione” dall’alto.
Un Comune, un territorio, rinascono perché si cambia semplicemente un’Amministrazione comunale, o quali sono gli altri imprescindibili elementi necessari affinché si inneschi il cambiamento?
Un’Amministrazione comunale è rappresentativa della società che la esprime. Prima di un’Amministrazione sana – sulla strada del cambiamento – vi è una società che ha preso coscienza di se stessa, di quanto possa essere più conveniente una gestione della cosa pubblica all’insegna della trasparenza, dell’onestà, della difesa dei diritti, piuttosto che una gestione all’insegna della sopraffazione, della corruzione e del clientelismo. Per costruire una nuova comunità, finalmente alternativa a quella criminale, ci vuole un lavoro lungo e pesante, fatto di tante piccole cose, a cominciare dall’esempio da parte dei soggetti che si fanno carico del cambiamento. A Casal di Principe ci sono voluti più di vent’anni di lotte, di resistenza, di testimonianza a volte solitaria, tutte cose però che, un po’ alla volta, hanno alimentato una coscienza collettiva in grado di guardare più in alto dei propri piccoli interessi, per cominciare a muovere gruppi sempre più ampi di cittadini verso un cambiamento innanzitutto culturale e, poi, politico.
Una delle altre questioni di complessa risoluzione è ereditare un Comune con dissesto finanziario, o con casse comunali non proprio floride. Un’Amministrazione onesta è chiamata a risolvere, nello spazio di poco tempo, decenni di incuria, malagestione. Non è chiedere una missione impossibile a chi amministra?
È certamente una missione pesante; a volte può anche capitare di pensare che sia impossibile, ma poi senti che è, al contrario, una sfida importante da vincere, perché solo vincendola si può dimostrare a se stessi e alla comunità che governi – ma anche a chi da lontano ti guarda a volte distratto, magari ancora con l’idea che qui al Sud non siamo in grado di autogovernarci – che invece possiamo farcela. Noi ce la stiamo facendo, anche se con difficoltà; certo ci vuole ancora tempo e bisogna eliminare le incrostazioni di un passato pesante, ma abbiamo già fatto molto: ad esempio, siamo usciti dal dissesto e abbiamo ora i conti in regola, nonostante il rischio costante, come si diceva, di ricaderci e le pesanti compromissioni delle risorse comunali, che rendono ancora difficile la gestione dei servizi.
Da Sindaco, una Sua riflessione sulla questione dello scioglimento dei Comuni. Lo strumento è ancora valido, va migliorato? Altra questione: si scioglie un Comune per infiltrazione, ma i tecnici non possono essere rimossi o spostati, quasi che l’Amministrazione sia la sola responsabile, mentre i procedimenti a volte dimostrano l’esatto contrario.
Il sistema ha funzionato e può ancora funzionare, anche se, certamente, va migliorato alla luce dell’esperienza accumulata negli anni. Di sicuro il tema della struttura amministrativa è fondamentale. Spesso, le inchieste mostrano come siano i funzionari ad essere corrotti o collusi; altre volte sono invece coinvolti gli amministratori. Bisogna, però, fare attenzione anche alla facile condanna, alle troppo disinvolte affermazioni di colpevolezza che poi possono dimostrarsi infondate. È necessaria maggiore cautela e più attenta indagine sia sui politici sia sui funzionari, evitando errori che negli ultimi tempi sono stati sempre più presenti nelle decisioni di scioglimento.