Era il 1998*

Il Sud: metafora dell’incompiutezza

L’insofferenza del Nord-Est e la sofferenza del Meridione rappresentano i poli di una tra le più profonde e antiche contraddizioni italiane. Da un lato: una ricchezza ed un benessere tanto diffusi quanto consolidati; la piena occupazione; la richiesta di maggior autonomia da uno Stato considerato sin troppo pervasivo, vissuto come ostacolo per una ulteriore crescita economica. Dall’altra: l’abbandono; un tasso di disoccupazione che ha raggiunto livelli impensabili; una criminalità ancora più diffusa e incontrollabile che in passato; l’assenza di una qualsiasi prospettiva di sviluppo rappresentano solo alcune delle cifre di lettura di un disagio che chiede risposte ed una maggiore presenza dello Stato.

Superata la fase acuta dell’antimeridionalismo leghista si fa strada, sia pure a fatica, la consapevolezza che i problemi del Mezzogiorno sono i problemi del Paese e che ogni rinvio nell’affrontarli e risolverli non possa che tradursi in danno per l’intera comunità nazionale.

Abbiamo, attraverso il Rapporto Italia, a più riprese lanciato l’idea di un Grande Progetto sollecitando un programma di investimenti nel Sud.

Sappiamo che molte delle critiche, anche feroci, che hanno accompagnato nel passato l’intervento dello Stato nel Mezzogiorno sono fondate. Lo sperpero c’è stato e con lo sperpero la mala politica, le clientele, i privilegi. In molti casi, la spesa pubblica più che essere occasione di promozione e di crescita ha finito per contribuire alla affermazione e al potere delle organizzazioni criminali: tutto vero. Ma è anche vero che il Sud è sempre stato terra di affari e di conquista per molti imprenditori, finanzieri e speculatori del Nord.

Spese buone e spese cattive

Fatto quindi tesoro delle esperienze passate, tutto si gioca sulla capacità di legare la spesa pubblica ad un progetto razionale, convincente, che attragga anche gli investitori privati, i grandi gruppi nazionali ed internazionali. Un progetto che, peraltro, coincide con le esigenze generali del Paese e che finisce per essere più che un “Progetto per il Sud” un grande piano di modernizzazione del sistema in grado di allineare l’Italia agli altri paesi europei.

Una ripresa degli investimenti pubblici appare a questo punto non più rinviabile.

Galbraith insegna che esistono tre grandi categorie di spese pubbliche. Ci sono quelle che non hanno una finalità chiara, né presente né futura. E contro queste dobbiamo batterci. Poi ci sono quelle che proteggono e stimolano le condizioni economiche e sociali del presente. Infine quelle che produrranno e consentiranno in futuro una crescita della ricchezza, della produzione e del benessere generale.

La seconda categoria di spese pubbliche che non possono essere finanziate con l’indebitamento, ma sostenute col gettito fiscale disponibile, è quella della spesa ordinaria di governo: la giustizia, l’ordine pubblico, la politica estera, il sostegno all’industria e all’agricoltura, la difesa. Insomma tutte quelle spese relative al mantenimento delle funzioni ordinarie dello Stato, che dovrebbero essere finanziate con le tasse o con le altre entrate correnti. Resta infine quella fetta di spesa pubblica che serve a sostenere il benessere futuro e la crescita economica. In questo caso, e noi condividiamo completamente quanto afferma Galbraith, l’indebitamento non solo è legittimo, ma anche socialmente ed economicamente auspicabile. Peraltro nell’economia privata questo tipo di indebitamento ha la massima approvazione anche da parte dei più accesi oppositori del debito pubblico. Insomma, quando la spesa pubblica sostiene o è addirittura essenziale alla crescita futura dell’economia e quindi alla crescita della produzione, dell’occupazione e all’ampliamento del reddito da cui dipenderanno le future entrate dello Stato, l’indebitamento è pienamente accettabile. La produzione delle future ricchezze sarà in gran parte legata a questo tipo di spesa pubblica. Le spese per i lavori pubblici sono il caso più evidente così come gli investimenti per migliorare le infrastrutture e i trasporti, traffico aereo compreso. Così come appaiono chiari i benefici che nella prospettiva possono derivare alla collettività dagli investimenti nella tutela dell’ambiente e del territorio o per migliorare la qualità dei servizi della Pubblica Amministrazione, le reti di comunicazione e di trasmissione, l’istruzione, la formazione, la tutela del patrimonio artistico Galbraith 1996.

Su questi argomenti e in queste prospettive si ricompongono le esigenze e gli interessi del Nord e del Sud. Un sistema con bassa qualità dei servizi e delle infrastrutture è un gancio che trattiene sia le spinte verso una ulteriore proiezione dell’economia del Settentrione sia le istanze di promozione e di sviluppo del Meridione. Una accorta politica infrastrutturale diventa quindi fattore unificante di modernità e di crescita per l’intero Paese.

 

*Riprendiamo il filo delle nostre riflessioni sul Mezzogiorno nel corso del tempo e sul ruolo della spesa pubblica riproponendo alcuni passaggi tratti dalle Considerazioni generali che aprono ogni anno il Rapporto Italia dell’Eurispes.

Larticolo è disponibile anche in inglese

It was 1998

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