Nel quadro delle operazioni di rilancio dell’economia e del nuovo rapporto che sarà necessario creare tra l’Amministrazione pubblica e le imprese private, un punto importante sul quale intervenire riguarda un vero chiarimento sul contributo che le aziende offrono allo sviluppo complessivo, sostenibile della comunità, alla diffusione dei benefici sul sistema sociale e ambientale delle comunità in cui operano.
Questa operazione di chiarezza ha un duplice scopo: mettere in evidenza la funzione sociale delle imprese (la loro “utilità sociale”, secondo l’art. 41 della Costituzione italiana) e creare le condizioni affinché in un periodo di crisi/cambiamento strutturale come quello attuale il rapporto tra l’Amministrazione pubblica e l’impresa privata sia re-impostato non più sulla semplice sovvenzione e assistenza dalla prima alla seconda, dello Stato alle aziende, ma su uno scambio di reciproche utilità e convenienze. È la chiarezza sui reali termini di questo scambio che può dare una forte giustificazione alla necessità dei sostegni pubblici alle imprese private.
Per raggiungere questo scopo, che per le imprese private costituisce un “interesse obiettivo” tanto più grande quanto è difficile questo periodo di riassestamento e ristrutturazione, è necessario che proprio dal mondo delle imprese emerga una iniziativa adeguata che faccia perno su una diversa formulazione dei loro bilanci e sia finalizzata a promuovere l’adozione del cosiddetto “bilancio integrato”. Non è certo un’operazione facile, tanto più in un periodo di vera emergenza in cui la prima esigenza è quella di sopravvivere a questa incredibile crisi mondiale. Un’operazione che richiede anche un cambio di sensibilità e di cultura presso gli imprenditori privati ‒ più integrata o sistemica si potrebbe definire ‒ ai quali un contributo potrebbe essere fornito dalle associazioni di categoria. Ma è una operazione che fa uscire l’imprenditore privato dalla condizione di essere un semplice richiedente di sussidi e assistenza pubblica e lo mette, invece, nella posizione di poter dimostrare che con la sua attività, chiaramente finalizzata al profitto, produce anche benefici molteplici e diffusi per la comunità; ed ha perciò un titolo ben più valido per partecipare alla distribuzione delle risorse pubbliche.
La attività di una impresa privata è chiaramente finalizzata alla massimizzazione del profitto e la rendicontazione e il bilancio tradizionale, come elaborati in genere degli imprenditori, riflettono e sono limitati ad evidenziare questa finalità primaria. Negli ultimi anni, tuttavia, gli accordi sulla sostenibilità dello sviluppo, siglati tra gli Stati nell’ambito delle maggiori Istituzioni internazionali (ad esempio, l’accordo di Parigi sul clima (COP21) e gli obiettivi definiti dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite), nell’evidenziare il ruolo fondamentale che le imprese private devono svolgere a questo fine, hanno raccomandato l’adozione di nuovi modelli di business, nuove tipologie di investimenti, ma anche l’adozione di nuovi parametri nella formulazione delle loro rendicontazioni e bilanci. Questo genere di raccomandazioni e impegni, i quali possono sembrare indicazioni anche molto lontane ad una impresa privata che sta operando nell’attuale emergenza, stanno registrando una crescente attenzione da parte, ad esempio, dei grandi gruppi di interesse internazionali, come i fondi finanziari e le banche multilaterali di sviluppo, i quali si stanno orientando sempre più a sostenere quelle attività d’impresa che operano e adottano nelle loro rendicontazioni e bilanci questi nuovi parametri. In sostanza, l’adozione del “bilancio integrato” può aprire alle imprese private delle ulteriori opportunità aggiuntive a quelle dei provvedimenti tradizionali degli Stati nazionali e delle rispettive Amministrazioni.
A livello internazionale, vedi l’Integrated Reform Framework IFF, sono state individuate le principali categorie di capitale che un’impresa privata dovrebbe far emergere e comunicare insieme ai risultati delle proprie attività nel proprio bilancio integrato. Queste categorie sono:
Capitale finanziario, o insieme dei fondi disponibili ottenuti da finanziatori esteri o da autofinanziamento;
Capitale manifatturiero, o insieme di macchinari e strumenti fisici destinati alla produzione di beni e servizi;
Capitale intellettuale, o insieme delle conoscenze immateriali come brevetti, licenze, software oltre al “capitale organizzativo” come le conoscenze informali, le procedure e i protocolli;
Capitale umano, o l’insieme delle competenze, capacità ed esperienza delle persone impiegate all’interno dell’azienda, la loro motivazione, la condivisione del modello di management e dei valori etici esplicitatati dall’azienda;
Capitale sociale e relazionale, o l’insieme delle relazioni tra le differenti comunità. Gruppi di stakeholders e la capacità di condividere le informazioni per incrementare e migliorare il benessere individuale e collettivo,
Capitale naturale, o insieme delle risorse sia quelle rinnovabili che non rinnovabili. Include l’aria, l’acqua, il territorio, i minerali e le foreste oltre ai livelli di biodiversità e gli ecosistemi.
A questo riguardo, la circostanza da sottolineare è la seguente: quanto più un’impresa privata saprà elaborare un bilancio facendo riferimento e integrandolo con i suddetti parametri, tanto più sarà nelle condizioni di dimostrare i valori esterni che sta contribuendo a creare nella comunità di riferimento. Presentando e diffondendo un tale bilancio avrà, in sostanza, i titoli adeguati non per chiedere una semplice assistenza emergenziale ma per attivare con lo Stato una logica di scambio tra i sostegni pubblici che l’operatore pubblico eroga e i benefici che l’azienda, insieme al proprio profitto privato, comunque diffonde in tutta la società. Lo strumento del bilancio integrato serve, dunque, proprio a questo: a dimostrare il valore dei benefici che l’impresa privata diffonde nella società. L’adozione di un simile strumento da parte delle imprese può aiutare molto anche l’azione dello Stato dal momento che, in questo caso, i famosi prestiti e sovvenzioni di cui tanto si parla in questo periodo a livello nazionale ed europeo non sarebbero più da interpretare come una perdita per le casse dello Stato ma come un riconoscimento della utilità pubblica delle imprese, un investimento sulle loro iniziative.
Certamente, il modo in cui i capitali non finanziari e la produzione di valori esterni entrano nel modello di business dell’impresa privata e nel suo bilancio richiede l’adozione di standard e parametri di riferimento ben precisi; un’operazione tutt’altro che facile. Da concordare sono, ad esempio, le metriche per calcolare i valori esterni prodotti dall’azienda, e le modalità con cui si elabora un bilancio integrato nei due aspetti dell’utile aziendale e degli impatti positivi all’esterno dell’azienda.
Ma non vi è dubbio che questa è una via innovativa per riportare, in termini corretti e adeguati alle sfide future, l’impresa al centro del territorio, valorizzare il buon lavoro di un imprenditore, ricostruire un corretto e costruttivo rapporto tra pubblico e privato, che la prevalente logica assistenziale rischia di distruggere in questa situazione di emergenza, con vero pregiudizio per le prospettive future.
Fabrizio Zucca
Accademic fellow, Bocconi Business School, Milano
Business Advisor per l’Italia della Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo (BERS)
Membro del Comitato Scientifico dell’Eurispes