Lavoro, infortuni e lockdown: in aumento le morti bianche

Gli infortuni, a volte gravi e nella peggiore dei casi anche mortali, costituiscono una delle evidenze più drammatiche dello stato di diffusa precarietà e insicurezza ancora presenti nel mercato del lavoro italiano. Senza un’adeguata azione di prevenzione e contrasto, l’Italia continuerà a registrare, ogni anno, dati drammatici per le menomazioni, le sofferenze e i decessi che interessano migliaia di lavoratori. Ciò ovviamente vale in particolare per quelle attività in cui il rischio d’infortunio è storicamente più elevato e persistente. Tra questi ultimi settori, certamente l’edilizia, l’agricoltura, i servizi domiciliari, l’industria manifatturiera e chimica e molte attività che sono considerate nuove ma in realtà espressione del frazionamento tipico del mercato del lavoro nel corso degli ultimi decenni.

Osservando i dati pubblicati dall’Inail riguardanti il primo semestre 2020, ad esempio, risulta che le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate sono state 570. Si tratta di un dato allarmante considerando che esso è aumentato di 88 casi rispetto ai 482 registrati nello stesso periodo del 2019 (+18,3%). L’incremento è influenzato dal numero dei decessi avvenuti e protocollati al 30 giugno 2020 a causa dell’infezione da Covid-19 in àmbito lavorativo.
A livello nazionale, inoltre, rispetto al primo semestre dello scorso anno, si registra solo una riduzione degli infortuni mortali in itinere, passati da 144 a 85 (-41%), mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono aumentati da 338 a 485 (+43,5%). Gli infortuni in itinere costituiscono un fenomeno che meriterebbe una lunga riflessione sia per la loro costante ripetitività, spesso drammatica, sia per i fenomeni di “nascondimento” e “sofisticazione” da parte di criminali di varia natura. Questi ultimi, infatti, cercano di nascondere l’incidente al solo scopo di evitare problemi giudiziari che potrebbero obbligarli ad esporre dinnanzi all’Autorità giudiziaria le modalità e i processi organizzativi della relativa filiera produttiva.

Al 30 giugno del 2020 risultano quattro incidenti plurimi avvenuti nei primi sei mesi, per un totale di otto decessi: il primo in gennaio, costato la vita a due lavoratori vittime di un incidente stradale a Grosseto; il secondo in febbraio, con due macchinisti morti nel deragliamento ferroviario avvenuto in provincia di Lodi; il terzo in marzo, con due vittime in un incidente stradale in provincia di Torino e l’ultimo in giugno, con due operai travolti dal crollo di un muro a Napoli. Un recentissimo caso, accaduto il 7 settembre scorso ad un lavoratore indiano impiegato in una azienda agricola del Comune di San Felice Circeo, in provincia di Latina, deceduto per via di un grave colpo alla testa causato dalla manovella con la quale stava avvolgendo il telo della serra mentre era in piedi su un muletto ad un’altezza di oltre tre metri, ha fatto riemergere il tema della sicurezza in tutta la sua drammaticità in uno dei territori a più alta concentrazione d’infortunio, soprattutto in àmbito agricolo. Peraltro, a quanto risulta, il lavoratore sarebbe stato impiegato senza contratto e privo delle fondamentali misure di sicurezza necessarie e rigorosamente previste dalla normativa vigente. Un caso che avviene a distanza di poche settimane da un altro registrato in un’importante azienda agricola ancora della provincia di Latina, in cui un lavoratore agricolo, ancora una volta indiano, cadendo insieme con un suo compagno di lavoro e connazionale da un’altezza di circa quattro metri e raccolto da alcuni suoi colleghi per essere probabilmente portato in altro luogo – come le indagini stanno accertando e testimoniato da varie persone – avrebbe riportato danni rilevanti alla colonna vertebrale. Episodi che indicano un deficit di legalità nel sistema produttivo italiano che si lega a diffusi stati di irregolarità e di sfruttamento della manodopera impiegata, peraltro di varie nazionalità, italiana compresa.

Nel corso del 2019, gli incidenti plurimi avvenuti tra gennaio e giugno erano stati nove, con 18 casi mortali denunciati (16 dei quali stradali). Dall’analisi territoriale dei dati Inail emerge una diminuzione di tre casi mortali al Centro (da 104 a 101) e di 14 nelle Isole (da 48 a 34). Il Nord-Ovest si contraddistingue, invece, per un incremento di 90 casi mortali (da 123 a 213), complici soprattutto gli aumenti che hanno interessato Lombardia (+73) e Piemonte (+12). Anche il Sud registra 13 casi mortali in più (da 102 a 115) e il Nord-Est due in più (da 105 a 107).
L’incremento rilevato nel confronto tra i primi sei mesi del 2020 e del 2019 è legato soprattutto alla componente maschile (+69 decessi); in aumento le denunce di infortunio mortale dei lavoratori italiani (da 391 a 485) mentre risultano in calo quelle dei lavoratori non comunitari (da 58 a 53) e comunitari (da 33 a 32). Dall’analisi per fasce d’età, si contraddistinguono per un aumento dei decessi quelle degli over 55, rispetto alla diminuzione registrata nelle altre.

Per quanto riguarda, infine, le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel primo semestre 2020, queste sono state 20.337 con 12.238 in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 (-37,6%) per via, sostanzialmente, del lockdown. Le prime tre malattie professionali denunciate tra gennaio e giugno del 2020 continuano a essere, nell’ordine, le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, del sistema nervoso e quelle dell’orecchio, seguite dalle malattie del sistema respiratorio e dai tumori. A questo tema si associa quello della tempestività dei risarcimenti e dei tempi, spesso eccessivamente lunghi, impiegati dall’Autorità giudiziaria nel ricostruire i fatti e le varie dinamiche realmente accadute allo scopo di riconoscere diritti, risarcimenti rispetto ad episodi che continuano a causare morti sul lavoro e attese prolungate per conoscere la necessaria verità.

 

 

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