Come valutare in termini economici il rendimento di un bene come il capitale umano?
Secondo l’Ocse nella maggior parte dei paesi sviluppati coloro che sono in possesso di un titolo di studio paragonabile alla laurea specialistica italiana (biennio di perfezionamento dopo la laurea triennale) guadagnerebbero circa il 45% in più di coloro che hanno conseguito la sola licenza superiore. Motivo per cui due paesi su tre in Europa aumentano l’investimento destinato all’istruzione, nella misura dell’1% circa nel 2014 rispetto all’anno precedente, come rivela il recente Rapporto di Eurydice (la rete di informazione sull’istruzione in Europa) National Sheets on Education Budgets in Europe 2014. Tale investimento si configura come prioritario all’interno della strategia Europa 2020 per la crescita sostenibile dell’Unione, muovendosi verso la direzione di una formazione permanente a sostegno del mercato del lavoro e come deterrente nei confronti della disoccupazione, per una maggiore inclusione sociale e lavorativa della popolazione.
Tra il 2013 e il 2014, la spesa nazionale destinata all’istruzione ai prezzi correnti nei paesi considerati è aumentata oltre il 5% in 6 paesi e di un valore compreso tra l’1% e il 5% in 16 nazioni monitorate, mentre le restanti 9 fanno registrare risultati negativi.
In testa alla classifica si colloca l’Ungheria (+9,52%), in cui riforme strutturali sono andate di pari passo con aumenti salariali accordati ai docenti, seguita dalla Turchia (+7,05%), in cui sono in aumento tutti i soggetti che ruotano attorno all’istruzione, dagli studenti agli insegnanti, dagli edifici scolastici ai servizi offerti, dalla Lettonia (+6,81%), dall’Estonia, (+6,36%), da Malta (+5,41%), in cui una maggiore spesa per i salari pubblici si somma ad un consistente investimento per lavori tutt’ora in corso nel campus dell’Università della città e dall’Irlanda del Nord (+5,16% contro una performance negativa registrata nel resto della regione, che ha fatto segnare un -1,53%).
Altri dati positivi, che si attestano sotto la soglia del 5%, sono stati registrati in Lituania (+4,15%), Svezia (+3,82%), Danimarca (+3,18%), Islanda (+3,02%), Polonia (+2,58%), Norvegia (+2,47%), Romania (+2,27%), Francia (+1,66%), Slovenia (+1,59%) e Paesi Bassi (+1,45%).
Stabili risultano invece, con una variazione che si aggira attorno all’1%, il Belgio fiammingo (+0,92%), l’Italia (+0,60%), la Slovacchia (+0,37%), l’Inghilterra (+0,10%), la Spagna (+0,08%), il Lussemburgo (+0,08%) e il Belgio francese (-0,07%).
Infine i risultati peggiori sono quelli raggiunti da quella parte del Belgio in cui si parla la lingua tedesca (-18,22%), come frutto della più generale contrazione della spesa, dalla Repubblica Ceca (-3,33%), dall’Austria (-2,72%), dalla Finlandia (-2,39%), dalla Grecia (-2,11%), dalla Croazia (-1,95%) e dal Galles (-1,88%).
Quando nel 2010 l’Unione europea ha pianificato una strategia decennale per rendere i suoi paesi economicamente solidi, ha individuato una serie di punti imprescindibili per l’ottenimento del risultato, tra cui la riduzione al di sotto del 10% del tasso di abbandono scolastico (popolazione compresa tra i 18 e i 24 anni d’età che, avendo conseguito la licenza superiore, non prosegue la carriera scolastica né risulta impegnata in altra attività di formazione professionale) e l’aumento al 40% dei laureati entro i 34 anni di età.
Non molti risultati sono ancora stati raggiunti in tal senso: l’Italia si attesta infatti su valori non consoni ad uno Stato avanzato.
Le dimensioni dell’abbandono scolastico in Italia sono ancora molto elevate (17% contro la media europea che si attesta a quota 11,9%), soprattutto se paragonate agli altri paesi (fanno peggio di noi soltanto Spagna e Portogallo, Malta e Romania), e la sua riduzione procede ad una velocità troppo bassa negli ultimi anni per poter raggiungere l’obiettivo comunitario. Motivo per cui è stato fissato un target nazionale da raggiungere, vista la lontananza da quello europeo, a quota 15-16%. Sono soprattutto i ragazzi ad abbandonare gli studi prima delle ragazze (20,2% vs 13,7%) ed esiste un enorme divario tra i nativi italiani e i cittadini extracomunitari (14,8% contro 34,4%). Senza contare i costi che il fenomeno si porta dietro, che potrebbero essere stimati tra i 20 e i 100 miliardi di euro. Il sistema dell’istruzione e quello della formazione sono impegnati nella lotta contro l’abbandono scolastico (stanziando fondi per il recupero) due soggetti di importanza fondamentale che probabilmente necessitano di un maggior dialogo tra loro per scendere in campo con strategie comuni e mirate.
Se osserviamo i dati relativi all’educazione terziaria, ovvero alla percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni nel nostro Paese, scopriamo non soltanto di essere appena a metà strada dall’obiettivo fissato ma anche il fanalino di coda dell’Europa (22,4% contro una media dell’Unione del 36,5%), con una differenza anche qui abissale tra uomini e donne che riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7% contro 27,2%). E anche in questo comparto (istruzione terziaria), come per l’abbandono scolastico, l’obiettivo italiano è stato ridimensionato rispetto al target europeo (26-27% contro il 40% comunitario).
Alcuni obiettivi di Europa 2020 | Obiettivo principale dell’UE | Obiettivi Italia |
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Alcuni obiettivi di Europa 2020 | 75% | 67-69% |
R&S in % del Pil | 3% | 1,53% |
Abbandono scolastico (%) | 10% | 15-16% |
Istruzione terziaria in % | 40% | 26-27% |
Riduzione della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale in numero di persone (V.A.) | 20 milioni | 186mila |
Tanti e ben conosciuti i mali che affliggono la scuola italiana: docenti troppo anziani (ben oltre il 50% ha più di 50 anni), scarsa spesa pubblica, elevato numero di studenti per docente, precariato, eccessiva mobilità del personale di ruolo.
Negli ultimi anni l’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse in cui la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria è rimasta invariata, mentre si conta un sostanziale risparmio che, pur aumentando le ore annue di insegnamento per i docenti e diminuendo lievemente le ore di istruzione per gli studenti, ha avuto come risultato finale una maggiore efficienza nello sfruttamento delle risorse a disposizione, senza lesinare sulla qualità della formazione scolastica (Education at a glance 2014, Oecd).
Secondo lo studio Inchiesta sulle competenze degli adulti condotto dall’Ocse che ha messo a confronto 24 paesi su una scala standardizzata di competenze su sei livelli, ci ritroviamo ad occupare l’ultimo gradino delle classifiche sulle competenze linguistiche (capacità di capire e affrontare in modo appropriato testi scritti) e matematiche (capacità di utilizzare concetti numerici e matematici).
Soltanto il 3,3% degli italiani infatti (contro una media Ocse dell’11,8%) vanta una competenza linguistica pari al livello 4 o 5, mentre la maggior parte della popolazione si attesta al livello 2 (42,6%), il 26,4% al livello 3 e il 27,7% al livello 1 o addirittura al di sotto di questo (contro una media Ocse del 15,5%): circostanze che sintetizzano le capacità di riempire semplici formulari, comprendere il significato di semplici frasi e leggere con fluidità un testo scritto.
Per quanto riguarda invece le competenze matematiche sale di poco la popolazione con capacità assimilabili ai livelli più alti (4,5%), così come aumenta il numero di quanti non hanno conoscenze in materia o ne hanno a livelli elementari (32% contro una media Ocse del 19%), mentre il 39,1% si attesta al livello 2 e il 24,4% al livello 3.
Investire sui cervelli è la sfida del momento. Maggiore è il capitale umano di una nazione maggiore sarà di conseguenza il suo livello di sviluppo, misurabile in una più alta produttività, migliore sfruttamento delle tecnologie, sviluppo di nuove idee, minori incentivi a delinquere, maggior senso civico e maggiore prevenzione contro le malattie, direttamente connessa all’allungamento della prospettiva di vita. In particolare, analisi condotte dal Servizio Studi della Banca d’Italia hanno appurato che ogni anno in più di istruzione riduce del 4% rispetto alla media la probabilità di ammalarsi o stare in cattiva salute. Tutti rendimenti sociali positivi e di non trascurabile incidenza.
L’importanza cruciale dell’istruzione per la salute, la crescita e il miglioramento del Paese è dunque un dato di fatto. E non sarebbe male pensare attraverso interventi articolati e politiche attive anche a come trattenere i “cervelli formati”, dando loro l’opportunità di esprimere in patria il livello di conoscenze acquisito, al servizio del progresso del proprio Paese.